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la ricchezza dei poveri. 77

allo sconcio spettacolo degli allievi usciti che alla porta mendicano; nè udremmo la risposta frequente nei giovani carcerati, richiesti donde vengano: «Dall’Albergo dei Poveri.»

Ci pensi il nuovo Municipio. Là ci sono 1,235,786 lire che appartengono di diritto ai poveri e non ai benestanti, mentre nei fondaci o nei bassi il vero povero muore di fame e di stento.

In una delle mie prime visite all’Albergo dei Poveri di Napoli provai grata meraviglia nella scuola femminile delle Sordo-mute, tenuta da una Suora di Carità che vi venne espressamente da Pisa. Le quindici o venti disgraziate ivi raccolte mi fecero impressione, per lo stato di salute assai più florido di quello delle altre ragazze rinchiuse. Il vitto, affatto insufficiente in generale, è, per queste, abbondante e nutritivo. Tutte le ragazze nate sordo-mute parlano ed intendono quanto voi dite, con tale rapidità e sicurezza da sembrarvi impossibile che non vi odano.

Non solamente risposero a tutte le domande della maestra sulla nascita, sui nomi del padre e della madre, sull’età, il numero e il nome dei sensi a loro man canti; non solamente ci diedero una lezione compiuta di geografia, l’una correggendo l’altra del più piccolo errore; ma appena terminato l’esame, cominciarono ad interrogarmi: «Chi sei? Donde vieni?» e saputo il nome e la patria, scrissero il primo sulla lavagna, e cercarono la seconda sulla mappa. Mostrarono con grande soddisfazione i loro quaderni; scrittura bellissima; quesiti in aritmetica bene sciolti; tèmi uguali, se non superiori a quelli delle altre ragazze dell’istessa