La madre (Deledda)/Capitolo 16
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Egli sedette, deponendo il cappello sulla
sedia accanto, davanti alla tavola apparecchiata:
e mentre la madre gli versava
il caffè, domandò con voce tranquilla:
— La lettera l’avete portata?
Ella disse di sì, accennando verso la cucina per timore che il ragazzo sentisse.
— Chi c’è di là?
— Antioco.
— Antioco? — egli chiamò, e il ragazzo d’un balzo gli fu davanti, col berretto in mano, dritto in attenti come un piccolo soldato.
— Antioco, bisogna che vai in chiesa e prepari per portare, più tardi, l’estrema unzione al vecchio.
Il ragazzo non poteva rispondere, per la gioia. Dunque egli non era più in collera, non pensava a mandarlo via e sostituirlo con un altro?
— Aspetta: hai mangiato?
— Non ha voluto nulla; non vuole mai nulla, — disse la madre.
— Siedi lì, — ordinò allora Paulo; — dategli qualche cosa, mamma: e tu mangia.
Non era la prima volta che Antioco sedeva alla mensa del prete: obbedì dunque senza timidezza; ma il cuore gli batteva un poco: si accorgeva che qualche cosa era mutata a suo riguardo; che il prete gli parlava diverso del solito; non poteva dire perchè né come, ma gli parlava diverso del solito.
Ed egli lo guardava nel viso, quasi lo vedesse la prima volta; con gioia ma anche con soggezione: soggezione e gioia e tutto un miscuglio di sentimenti nuovi, di gratitudine, di speranza, di orgoglio, gli riempivano il cuore come di un nido d’uccellini tiepidi, pigolanti, pronti a volare.
— Poi alle due verrai per la lezione; è tempo di cominciare sul serio il latino: scriverò per una grammatica nuova, perchè la mia è vecchia dell’altro secolo.
Antioco aveva smesso di mangiare: s’era fatto rosso e offriva i suoi servigi con entusiasmo senza domandarne il perché. Il prete lo guardava e sorrideva; d’un tratto però volse il viso verso il finestrino sul cui sfondo dorato tremolavano i cespugli del ciglione e parve pensare ad altro. E Antioco sentì ch’era di nuovo solo, di nuovo abbandonato. Con tristezza levò le briciole dalla tovaglia, ripiegò accuratamente la salvietta, e riportò le tazze in cucina: e voleva anche lavarle, e le avrebbe lavate bene perchè era abituato a pulire i bicchieri nella bettola; ma la madre del prete non glielo permise.
— Va: va in chiesa e prepara, — gli disse sottovoce, spingendolo; ed egli uscì, ma prima di andare in chiesa fece una corsa da sua madre per avvertirla che pulisse bene la casa perchè il prete voleva farle visita.
La madre del prete intanto era rientrata nella stanzetta da pranzo ove il suo Paulo s’indugiava a tavola con un giornale davanti.
Di solito egli, quando stava in casa, si ritirava nella sua camera; quella mattina invece aveva paura a rientrarvi: leggeva il giornale, ma pensava ad altro; pensava al vecchio cacciatore moribondo, il quale gli aveva confessato che fuggiva la compagnia degli uomini perchè essi «sono il male stesso». E gli uomini per scherno lo chiamavano Re, come Cristo i Giudei.
Ma neppure la confessione del vecchio interessava Paulo: egli pensava piuttosto ad Antioco, e alla madre e al padre di Antioco, ai quali voleva chiedere se in loro coscienza sapevano quel che si facevano abbandonando il ragazzo alle sue fantasticherie, alla sua decisione incosciente di farsi prete: in fondo però sentiva che neppure questo gli premeva molto: quello che gli premeva era di sfuggire al suo vero pensiero; e quando vide la madre rientrare piegò la testa sembrandogli ch’ella sola indovinasse quel suo vero pensiero.
Piegò la testa ma disse a sè stesso: no, no, no.
No, non voleva interrogarla oltre: la lettera era stata consegnata; che altro doveva sapere?
La pietra del sepolcro era al suo posto: ah, come gli pesava sulla nuca! Però, com’egli si sentiva vivo, sepolto vivo sotto quella pietra!
La madre sparecchiava, rimettendo ogni cosa nell’armadio che serviva da credenza.
Nel silenzio si sentiva il pigolio degli uccelli sul ciglione, il picchio cadenzato del tagliapietre: pareva che il mondo finisse lì, che l’ultima stanza abitata da gente viva fosse quella piccola stanza bianca, coi suoi mobili nerastri, col pavimento di mattoni antichi sul quale la luce verde e dorata del finestrino alto spandeva come un tremulo riflesso d’acqua e dava all’ambiente la fisionomia d’una prigione in fondo a un castello solitario.
Egli aveva bevuto il suo caffè come gli altri giorni, e mangiato i suoi biscotti come gli altri giorni. Adesso leggeva le notizie del mondo lontano: sì, tutto era come negli altri giorni; ma la madre avrebbe preferito ch’egli salisse nella sua camera e vi si chiudesse; o, poichè stava lì, la interrogasse di nuovo a chi e come aveva consegnato la lettera. Andò fino all’uscio di cucina, con una tazza in mano; tornò presso la tavola, con la tazza in mano.
— Paulo, la lettera l’ho consegnata proprio a lei. Era già alzata. Era nell’orto.
— Va bene, — egli disse, senza sollevare gli occhi dal giornale.
Ma ella non poteva andarsene, non poteva non parlare. Qualche cosa di più forte della sua volontà, della volontà stessa di lui, glielo imponeva. Inghiottì la saliva salata che le riempiva la bocca e guardò dentro la tazza, nel paesaggio giapponese annerito dal colore del caffè.
— Era nell’orto. Perchè si alza presto. Io andai dritta da lei e le diedi la lettera. Nessuno vedeva. Lei la prese e la guardò; poi guardò me e non l’aprì. Io dissi: non c’è risposta. E stavo per andarmene; ma lei disse: aspettate. E aprì la lettera, come per farmi vedere che non era un segreto; e diventò bianca come il foglio; poi mi disse: andate con Dio.
— Basta, basta, — egli impose, senza sollevare gli occhi; ma la madre vide le ciglia di lui sbattersi e il viso farsi bianco come s’era fatto quello di Agnese; per un momento credette ch’egli svenisse; poi lo vide arrossire, col sangue che dal cuore gli rifluiva tutto al viso, e anche lei si rianimò. Erano momenti terribili, che però bisognava affrontare e vincere. Aprì la bocca per dire qualche altra cosa, per mormorare almeno: «vedi cos’hai fatto? male a te e a lei», ma egli aveva sollevato il viso, scuotendo un po’ la testa indietro per ricacciare giù il cattivo sangue della passione, e fissandola con occhi minacciosi diceva:
— Adesso basta. Avete inteso che basta? Non voglio assolutamente più sentire parlare di questo: altrimenti farò quello che minacciavate di far voi ieri sera: me ne andrò.
Infatti s’alzò, bruscamente, e invece di risalire nella sua camera, uscì di nuovo. La madre andò in cucina, con la tazza che le tremava fra le mani: e depose la tazza, e s’appoggiò all’anta del forno, smarrita. Le pareva ch’egli se ne fosse andato via per sempre: anche se tornava non era più il suo Paulo, era un disgraziato preso dalla cattiva passione, uno che guardava con occhi minacciosi, come il ladro in agguato, chiunque osasse attraversargli la strada.
Ed egli infatti camminava come uno che era fuggito di casa, per non rientrare nella sua camera, poiché aveva l’impressione che Agnese vi si fosse introdotta di nascosto e lo attendesse, bianca in viso, con la lettera in mano: era fuggito di casa per fuggire sé stesso; ma la passione lo portava via peggio che il vento della notte scorsa.
Attraversò il prato senza sapere perchè, e gli sembrò di venir sbattuto contro i muri della casa e dell’orto di lei, e respinto dall’urto tornasse indietro, fino alla piazza, sul cui parapetto sedevano i vecchi e stavano affacciati i ragazzi e i mendicanti. Parlò con gli uni e con gli altri, senza ascoltare la loro voce: poi scese la strada del paesetto, giù fino al sentiero della valle, senza veder nulla del paese, della strada e della valle. Tutto l’universo s’era capovolto, gli si era versato dentro, in un caos di pietre, di rottami, di rovine; ed egli vi si piegava sopra a guardare, come i ragazzini guardavano i burroni della valle dai macigni lungo il sentiero.
E ritornò su verso la chiesa. Le straducole del paesetto erano deserte; dai muriccioli dei cortili si sporgeva qualche pesco coi frutti maturi, e sul cielo chiaro di settembre passava una placida greggia di nuvolette bianche.
In qualche casa si sentiva il rumore del telaio, in qualche altra un pianto di bambino lattante.
La guardia campestre, incaricata anche del servizio urbano, unica autorità del luogo, vestita mezzo da cacciatore mezzo da funzionario, coi calzoni turchini filettati di rosso e una giacca di velluto stinto, perlustrava le strade col suo grosso cane al guinzaglio. Era un cane nero e rosso, con gli occhi iniettati di sangue: aveva del lupo e del leone, e tutti i paesani, i contadini della valle, i pastori e i cacciatori dell’altipiano, i ragazzi e i ladri, lo conoscevano e lo temevano. La guardia se lo portava appresso notte e giorno, anche perchè aveva paura che glielo avvelenassero. Nel vedere il prete, il cane ringhiò, ma a un cenno del padrone ristette quièto, a testa bassa.
La guardia si fermò e salutò militarmente il prete; poi disse con solennità:
— Questa mattina presto sono stato a vedere il malato. Ha la febbre a quaranta: polso cento e due. Secondo il mio debole parere, ha infiammazione ai reni. La nipote voleva che io gli somministrassi il chinino (la guardia aveva in consegna i medicinali e si permetteva di visitare ì malati, oltre che per dovere d’ufficio, per darsi l’illusione di sostituire il medico, il quale saliva al paesetto solo due volte la settimana). Ma io dissi: piano, donna; secondo il mio debole parere qui ci vuole la purga, non il chinino. La donna piangeva, senza lacrime, però; così Dio mi fulmini se giudico temerariamente. E voleva che andassi di galoppo a chiamare il dottore. Il dottore viene domani mattina, domenica, dissi io, e se ti preme tanto manda per conto tuo un uomo a chiamarlo. Il malato può pagarsi la visita del medico, per morire, dopo aver passato tutta la vita senza spendere. Ho parlato bene?
Attese, grave, l’approvazione del prete. Ma il prete guardava il cane, docile e mansueto per volontà del padrone, e pensava:
— Poter condurre così al guinzaglio le nostre passioni!
— Ah, sì, — disse distratto, — si può aspettare fino a domani mattina la visita del dottore. Però il malato è grave.
— Ebbene, se è grave, — insistè la guardia con fermezza e non senza un tantino di sdegno per l’indifferenza del prete, — si mandi un uomo a chiamare il medico. Il malato può pagare; non è nullatenente. Ma la nipote non ha obbedito neppure al mio ordine, non gli ha dato la purga che io stesso ho somministrato e preparato.
— Dovevamo prima somministrargli la santa comunione.
— Lei mi insegna che ad un infermo sì può somministrare la santa comunione senza che sia digiuno.
— Ebbene, — disse il prete, perdendo la pazienza, — il vecchio non ha voluto la purga. Stringeva i denti, e li ha tutti forti ancora; e dava pugni come un sano.
— E allora la nipote, secondo il mio debole parere, non deve permettersi di ordinare a me, alla guardia urbana e campestre, come ad un suo servo qualunque, di andare a chiamare d’urgenza il dottore. Qui non si tratta di un ferimento, nè di un fatto qualsiasi di dipendenza della medicina legale. La guardia ha ben altre cose a cui provvedere. Devo adesso andar giù fino al guado del fiume perchè ho avuto denunzia che qualche benefattore ha messo della dinamite nell’acqua per ammazzare le trote. La riverisco.
Ripetè il saluto militare e s’avviò. Alla scossa, il cane, partecipando subito allo sdegno represso del padrone si mosse scuotendo la coda feroce, e non ringhiò più, ma volse un poco la testa verso il prete guardandolo in viso coi suoi terribili occhi d’assassino.
Più su ecco Antioco affacciato al parapetto della piazza all’ombra tremula di un olmo: aspettava, dopo aver preparato ogni cosa per l’estrema unzione al vecchio; e nel vedere il prete corse, precedendolo nella sagrestia, col càmice in mano.
In breve furono tutti e due pronti: il prete col càmice, la stola, il vaso d’argento con l’olio santo; Antioco coperto fino ai piedi di una cappa rossa, con un ombrello di broccato a frange d’oro che teneva aperto badando che il sacerdote e il vaso d’argento rimanessero nell’ombra, mentre lui, nel sole, appariva più rosso per il contrasto con la figura bianca e nera del prete. Una serietà grave, quasi tragica, gl’irrigidiva il viso: gli pareva di esser lui il custode del tabernacolo, di aver avuto dal Signore la missione di proteggere il sacro vaso col crisma. Cosa che non gl’impedì di ridere silenziosamente, stringendo i denti, nel vedere che i vecchi, al passare del sacramento, si precipitavano giù goffamente dal parapetto e i ragazzi s’inginocchiavano con la faccia contro il muro invece che verso il prete. Questi ultimi però s’alzarono subito e fecero corteo al sacramento. Egli scuoteva il campanello davanti ad ogni porta per avvertire la gente che passava il Signore: i cani abbaiavano e il rumore dei telai cessava: le donne sporgevano la grossa testa dai finestrini e dalle logge di legno, e tutto il paesetto era scosso da un tremito di mistero.
Una donna che saliva dalla fontana con un’anfora d’acqua sul capo si fermò, depose l’anfora per terra e vi si inginocchiò accanto.
E il prete impallidì perchè riconobbe una serva di Agnese: ecco, quella era l’acqua con la quale Agnese avrebbe lavato le sue lagrime. E gli parve che anche l’anfora umida stillante piangesse. Sentì uno sbigottimento tale che strinse forte fra le mani il vaso d’argento quasi per sostenervisi.
Il corteo dei ragazzi aumentava a misura che si avvicinavano alla casa del vecchio: eccola sull’orlo della strada, fra questa e la valle: è una casetta alta, di pietra schistosa, con un solo finestrino senza vetri: davanti le sì stende un cortiletto sterrato, circondato di una muriccia.
La porta era spalancata, e il prete sapeva che il malato giaceva vestito su una stuoia nella stanza terrena. Entrò dunque, pregando, mentre Antioco chiudeva l’ombrello e scuoteva forte il campanello agitandolo verso i ragazzi per scacciarli come mosche: ma la stanza terrena era deserta, la stuoia vuota. Forse il malato aveva acconsentito a mettersi a letto, o vi era stato facilmente trasportato, agonizzante come era.
Il prete spinse l’uscio verso un’altra stanza interna, ma anche questa era vuota: si affacciò allora alla porta e vide la nipote del vecchio che scendeva la strada zoppicando, affannata, con una bottiglia in mano. Era stata dalla guardia campestre per farsi dare la medicina.
— Dov’è il malato? — le chiese il prete, mentr’ella entrava facendosi il segno della croce. Non vedendo il nonno sulla stuoia, spalancò gli occhi e diede un grido di spavento.
Fuori, i ragazzi che spiavano dalla muriccia saltarono fino alla porta, e poichè Antioco sì opponeva alla loro invasione, cominciarono a dargli spintoni e a tirarlo per la cappa: ma appena il prete, dopo aver seguito la zoppa nelle stanze interne, riapparve sull’uscio, sempre col suo vaso d’argento in mano, tutti si ritrassero silenziosi.
— E non c’è! E dove sarà andato? — gridava la nipote del vecchio, correndo di qua e di là per la casa.
Allora un bambino, sbucato ultimo dalla siepe del sentiero, si fece avanti con le mani in tasca e disse tranquillo:
— Cercate il Re? È andato giù.
— Giù, dove?
— Giù, — ripetè il bambino accennando col naso verso la valle.
La nipote si precipitò giù per il sentiero, e i ragazzi dietro di lei; il prete accennò ad Antioco di riaprire l’ombrello e tutti e due, piano piano, gravi e silenziosi, mentre la gente usciva nella strada e la notizia della fuga del vecchio correva di bocca in bocca, tornarono su alla chiesa.