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pesco coi frutti maturi, e sul cielo chiaro di settembre passava una placida greggia di nuvolette bianche.
In qualche casa si sentiva il rumore del telaio, in qualche altra un pianto di bambino lattante.
La guardia campestre, incaricata anche del servizio urbano, unica autorità del luogo, vestita mezzo da cacciatore mezzo da funzionario, coi calzoni turchini filettati di rosso e una giacca di velluto stinto, perlustrava le strade col suo grosso cane al guinzaglio. Era un cane nero e rosso, con gli occhi iniettati di sangue: aveva del lupo e del leone, e tutti i paesani, i contadini della valle, i pastori e i cacciatori dell’altipiano, i ragazzi e i ladri, lo conoscevano e lo temevano. La guardia se lo portava appresso notte e giorno, anche perchè aveva paura che glielo avvelenassero. Nel vedere il prete, il cane ringhiò, ma a un cenno del padrone ristette quièto, a testa bassa.
La guardia si fermò e salutò militarmente il prete; poi disse con solennità: