La favorita del Mahdi/Parte III/Capitolo II
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CAPITOLO II. — Il Mahdi.
Mohammed Ahmed nacque nel 1843 a Dongola nella Nubia; Amina chiamavasi sua madre e Adullah suo padre, il quale esercitava la professione di falegname.
Fino dall’età di 7 anni questo strano personaggio destinato a diventare così grande, così potente, frequentò la scuola mussulmana e con tanta passione che a 12 anni aveva completati gli studi dell’Alcorano.
Grazie all’affezione dei suoi due fratelli stabiliti come calafati a Shindi e di un suo zio costruttore di barche sul Nilo Bianco, potè proseguire i suoi studî a Chartum1 sotto i due celebri maestri El-Gouradchi e Abd-el-Ayim, figli dello sceicco El-Tayeb.
Non tardò a diventare un fanatico missionario dell’islamismo e credette essere il suo compito quello di paralizzare e distruggere il potere degli europei che impedivano il commercio degli schiavi e comandavano al vicerè d’Egitto di ricostruire l’antico impero arabo, di raggruppare attorno a sè tutti i credenti del profeta e di fondare una religione universale colla comunità dei beni.
Il 1868 lasciava Chartum, e si affigliava alla confraternita dei Sid-abd-el-Kader-el-Gilani, alleata alla famosa setta dei Senusi. Più tardi si recava a Tormamat, cinquanta miglia al settentrione di Chartum e vi fondava una scuola per propugnare le sue idee, ma ricevuto nel 1870 il titolo di fakir, l’abbandonava per ritirarsi nella rocciosa isola di Abat, che sotto il 13° grado divide il corso del Nilo.
Scavatasi una grotta, sul luogo stesso ove dicevasi che esisteva un tesoro, si metteva a praticare strane cerimonie, standosene per ore intere colle braccia tese in aria, i piedi nell’acqua e la faccia rivolta alla Mecca e piangendo continuamente sulla corruzione universale.
Colla sua pietà, colle sue penitenze, Ahmed non tardò a formare numerose schiere di proseliti fra i baggàra che abitavano lo sponde del Nilo.
Erano passati così dieci anni, quando un bel giorno l’anacoreta vide una barca attraversare il fiume e approdare alla sua isola. Era montata da una deputazione di baggàra.
Ahmed stava snocciolando la sua corona e con matematica regolarità, fingendo di nulla aver veduto. I baggàra aspettarono che avesse terminato poi gli offrirono le loro braccia e le loro armi per iscacciare dal Kordofan e dal Dar-Fur gli egiziani che essi consideravano come infedeli, dacchè si erano alleati agli inglesi.
L’anacoreta in sulle prime resistette, ma ad un tratto afferrò la scimitarra che i baggàra gli presentavano e alzando gli occhi al cielo, gridò:
— Humdu-Hah! Io sarò il braccio dell’Onnipotente! La sua benedizione sarà per noi!
Le antiche profezie annunciavano la comparsa di un Mahdi nel nuovo secolo che cominciava appunto nel 1881, il quale doveva avere per distintivo il braccio destro più lungo del sinistro e una verruca sulla gota destra. La comparsa di questo Mahdi, aggiungevano le profezie, verrebbe annunciata da sette imani di nome Ahmed o Mohammed i quali avrebbero in diverse epoche e in diverse parti del mondo fatta propaganda religiosa e preparato così il terreno.
Ahmed Mohammed concepì l’ardito disegno di farsi credere il Mahdi aspettato invece di uno degli imani. Si allungò, non si sa come, il braccio destro, si fece nascere la verruca2 sulla guancia destra e poco prima dell’agosto 1881, dichiarava di essere il Mahdi vale a dire «colui che Dio guida sulla via retta».
Egli scrisse allora ai fakir che era l’uomo scelto da Dio per riformare l’islamismo. Malimed Saleh, un fakir dotto e influente, lo consigliò di mettersi alla testa dei baggàra che lo avean gridato loro capo e di fare la guerra ai nemici della religione.
Mohammed Ahmed non indugiò ad accrescere vieppiù la schiera dei proseliti: la maggioranza delle popolazioni vedeva in lui un eletto del Signore e credeva di peccare verso Allàh a non prestare orecchio all’appello del Mahdi.
Baggàra, Denka, Bongo, Scianghiè, Barabrà, Abù-Rof, Foriani e Arabi tutti accorsero sotto le sue bandiere e quando egli li ebbe assicurati che i cannoni dei nemici avrebbero vomitato acqua invece di fuoco e ferro, e che coloro che cadrebbero sul campo di battaglia salirebbero in paradiso, cominciò arditamente la ribellione.
Il terreno era mirabilmente adatto per una generale sommossa.
I governatori egiziani colle loro angherie e colle loro crudeltà avevano ridotto le popolazioni alla disperazione; tutte attendevano fremendo un’occasione qualsiasi per impugnare le armi e scuotere l’odioso giogo; tutte attendevano fremendo il dì della vendetta che doveva essere ben terribile.
L’Egitto, venuto a conoscenza dei primi movimenti insurezzionali, intimò al Mahdi di recarsi a Chartum. Non avendo Mohammed risposto, Reuf pascià, governatore del Sudan, gli spedì contro un battaglione di scilluk.
Il profeta era preparato. I scilluk furono distrutti dalle sue orde. Reuf, sgomentato, affrettossi a spedire nel Sudan una forte colonna di truppa sotto gli ordini di Rescid-Bey, ma ebbe ugual sorte; caddero sul campo dal primo all’ultimo.
Il pericolo s’avvicinava. Reuf in persona, con 3000 uomini, si mise in campagna e riuscì a sconfiggere le orde dei ribelli.
Ma Mohammed non era uomo da scoraggiarsi nè da cedere così facilmente il campo.
Riparò al sud del Sennar, levò nuove tribù, risalì il Bahr-el-Abiad e la primavera del 1882, scontratosi a Kadir con Reuf pascià e i suoi 8000 uomini, li sconfiggeva. Appena 27 egiziani scamparono al massacro.
Tale vittoria ebbe un’eco grandissima nei deserti africani. Tutte le popolazioni si entusiasmarono per questo fatto che aveva profondamente impressionato la loro vivace fantasia. L’esercito del Mahdi si accrebbe colla rapidità del lampo come si accrebbe smisuratamente il suo prestigio. Tutti volevano prender parte a questa guerra santa, tutti volevano combattere sotto gli ordini di un inviato di Dio.
Mohammed Ahmed proseguì la sua marcia vittoriosa nel Sudan preceduto da un’avanguardia di dervisci che usavano tutte le loro arti per rendere infedeli le truppe del vicerè d’Egitto.
Il novembre 1882 le sue orde entravano nella cittadella di Bara dopo di aver massacrato 850 basci-bozuk che si recavano a El-Obeid, e 1000 egiziani che si recavano nella città da lui presa.
Il 15 gennaio, dopo un assedio di parecchi mesi, entrava in El-Obeid, la capitale del Kordofan; 3500 egiziani furono trucidati e gli altri passarono sotto le sue bandiere.
L’Egitto, occupato a guerreggiare contro Arabi-pascià, non pensava più al Sudan e la rivoluzione ingigantiva facendo scomparire tutte le guarnigioni egiziane abbandonate nelle città. Ma la fortuna del Mahdi s’oscurò e la sua potenza per qualche tempo vacillò e corse pericolo di sfasciarsi.
Il governo egiziano, uscito salvo dalla rivoluzione d’Arabi-pascià e datosi in braccio all’Inghilterra, non tardò a spedire nuovi eserciti nei paesi sollevati a rivolta. Il Mahdi il 23 febbraio del 1883 veniva rotto da Abd-el-Kerim a Mikrai-el-Datkel; il 12 marzo subiva la seconda sconfitta da Soliman pascià, e il 29 aprile la terza da Hicks e Aladin pascià presso la fortezza di Kava sul Nilo.
Il Mahdi fu obbligato a ritirarsi nel Kordofan, ma la sua stella, per un momento offuscata, ritornò a brillare più splendida che mai. Spediti Osman Digma e Mohammed Taher nel Sudan orientale, l’uno come emiro e l’altro come ulema principale, a sollevare i beduini, riprese la marcia interrotta dalle precedenti sconfitte. Saputo che Aladin e Hicks pascià con 11,000 egiziani si avanzavano verso la sua capitale, il 2 novembre, alla testa di oltre duecentomila guerrieri movevasi ad incontrarli e li massacrava tutti a Kasghill.
Liberato il paese da tutti quei prepotenti che il 1876 l’avevano invaso o rovinato, il povero fakir, diventato terribile guerriero, si ritirava sotto El-Obeid dove lo troviamo attualmente nell’umile sua capanna.
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Ahmed Mohammed, nel vedersi innanzi il tenente arabo, si era arrestato colla fronte aggrottata, accarezzandosi nervosamente la nera e folta barba. I suoi occhi che mandavano lampi di viva luce con riflessi a due colori, si fissarono in quelli dell’arabo che si sentì affascinato nell’egual guisa che gli uccelli si sentono affascinati dallo sguardo dei serpenti.
— Chi sei? chiese Ahmed, dopo alcuni istanti di muta contemplazione.
L’arabo a quella interrogazione si scosse; un fremito passò sul suo volto che divenne livido.
— Abd-el-Kerim, articolò egli.
— Sei arabo, se non m’inganno.
— Sì, sono arabo, nativo di Berber.
— Sai chi io sono?
— Mohammed Ahmed.
— No, disse il profeta, Sono il Mahdi!
— Come vuoi.
— Non lo credi?
Abd-el-Kerim non rispose, ma sostenne impavido lo sguardo di fuoco che gli slanciò Ahmed.
— A quale esercito appartenevi? chiese il Profeta cangiando tono.
— A quello di Dhafar pascià.
— Sicchè tu sei partito da Chartum?
— Non lo nego.
— Dove ti hanno fatto prigioniero?
— Presso El-Dhuem.
— Sai cosa è accaduto dell’armata di Hicks pascià?
— L’ignoro.
Il Mahdi battè tre volte le mani. Un iman entrò quasi subito portando un sacco legato.
— Sai cosa contiene questo sacco? chiese Ahmed all’arabo.
— No.
Ahmed aprì il sacco e tirò fuori una testa umana bruttata di sangue, priva degli occhi e seccata dall’ardente sole equatoriale.
Egli la mostrò ad Abd-el-Kerim che indietreggiò inorridito.
— La conosci questa testa? chiese Ahmed con accento feroce.
— No, balbettò l’arabo.
— È la testa di Hicks pascià3. Io ho distrutto nella foresta di Kasghill tutto l’esercito egiziano, mi capisci, arabo rinnegato, e ben pochi sono sfuggiti alla catastrofe e nessuno portò la terribile novella a Chartum. Io, l’inviato d’Allàh, Mohammed Ahmed, ho fulminato tutti i nemici che con incredibile audacia marciavano sulla città santa. Tutti andranno all’inferno: è la punizione di coloro che rimangono sordi alla voce del Signore.
— Ah! quanto sei terribile! mormorò Abd-el-Kerim che tremava ancora per l’emozione.
— È giustizia, rispose Ahmed ricollocando la testa nel sacco.
Poi volgendosi verso l’iman inginocchiato:
— Abù-Mogara, gli disse. Farai collocare tutte le teste dei visi bianchi sulle porte di El-Obeid, onde tutta la popolazione possa vederle.
L’iman uscì coll’orribile sacco sulle spalle. Nella capanna regnò per parecchi minuti un lugubre silenzio, poi il Mahdi, accennando all’arabo un angareb, gli disse:
— Siedi e narrami cosa si dice di me a Chartum. Si crede che io sia l’inviato di Dio che ha la santa missione di ricostituire l’antico impero arabo, di raggruppare attorno a me tutti i credenti del profeta, di porre un argine all’invasione degli infedeli, di fondare una religione universale colla comunità dei beni?
— No, nessuno lo crede.
Un lampo di collera brillò negli occhi del Mahdi e i suoi denti stridettero.
— Lo so, che il vice-re Tewfik mi accusa di essere un falso profeta, sperando di allontanare da me gli arabi che io vorrei salvare dalle mani degli inglesi, ma non credeva che le popolazioni dividessero l’opinione di quel miserabile, di quel vigliacco che vendette il suo regno pur di rimanere sul trono.
Sta bene: non avrò pietà per nessuno. Gli empi cadranno sotto la mia scimitarra nell’egual guisa che caddero Hicks pascià e i suoi soldati a Kasghill.
— Ma che pretenderesti di fare colle tue orde?
— Lo vedrai appena saranno terminati i raccolti e organizzate le mie truppe. Ho sotto di me diciotto tribù che formano un esercito di duecentomila uomini che non temono nè il ferro, nè il fuoco. Scenderò in Egitto, e quando sarò entrato nel Cairo e che avrò rovesciato Tewfik, passerò alla Mecca, per far cadere il sultano dei turchi.
— Ma sai, Ahmed, che abbiamo gl’inglesi in Egitto?
— E credi tu che io abbia paura dell’Egitto?
— Ma ti manderà contro inglesi e abissini.
Ahmed alzò le spalle.
— Non li temo, disse. Passerò a fil di spada gli uni e gli altri.
— Sono molti, Ahmed.
— E anche i miei sono molti.
— E se riuscissero a vincerti?
— Non mi avranno vivo. Quando vedrò che ogni lotta sarà vana, mi farò uccidere alla testa delle mie tribù.
Per alcuni istanti rimase silenzioso colla fronte aggrottata, lo sguardo cupo, le braccia incrociato sul petto, poi rialzando bruscamente la testa:
— Sai quale morte ti attende? chiese ad Abd-el-Kerim.
L’arabo, quantunque si aspettasse questa domanda, trasalì e fissò sul Mahdi due occhi atterriti.
— No, disse poi. Del resto, non la temo.
— Eppure tu sei giovane, bello e mi dissero anche che tu sei prode.
— Eppur desidero la morte, disse l’arabo con profonda tristezza.
— Perchè? che ti è accaduto per desiderare la morte? chiese Ahmed con sorpresa.
Abd-el-Kerim mandò un sospiro e portò ambe le mani al cuore.
— Ahmed, disse con voce cupa. Se tu avessi posseduto e amato una donna bella, divina, che ti idolatrava, e poi te l’avessero rapita e forse uccisa, ti rincrescerebbe il morire? Sai, Ahmed, ho perduto una donna che io adorava, una donna per la quale io avrei commesso dei delitti e compiuto dei miracoli. Che importa a me se mi uccidono, quando il vivere è un continuo tormento, un continuo martirio, un continuo delirio?
Ahmed indietreggiò emettendo un sospiro che parve un ruggito. Le vene del collo gli si gonfiarono prodigiosamente, quasicchè volessero scoppiare e la sua faccia, poc’anzi tranquilla, diventò burrascosa. Grosse goccie di sudore colavano dalla sua fronte rigandogli le sfregiate gote.
— Ah! Tu amavi una donna che di poi scomparve! esclamò egli con voce arrangolata. Sei anche tu infelice; ti compiango! Anch’io rimpiansi per lungo tempo una donna che io amai con tutte le forze dell’anima mia e che poi non rividi più.
S’arrestò anelante, commosso e nel medesimo tempo irritato, e si mise a passeggiare per la capanna colle braccia incrociate e la testa china sul petto.
— Come si chiamava quella donna? chiese l’arabo nella cui mente gli balenò un terribile sospetto.
Ahmed si strinse nelle spalle e diventò più cupo.
— Forse si chiamava....
— Chi? domandò Ahmed arrestandosi di colpo.
Abd-el-Kerim stava per pronunciare il nome di Fathma, ma lo assalì una inquietudine tale, sentì uno stringimento di cuore tale, che non lo pronunciò.
Ebbe paura che quella donna che aveva tanto amata e che era stata un tempo la favorita dell’uomo che gli stava dinanzi, fosse la medesima che il Mahdi rimpiangeva. Vide subito l’abisso in cui stava per precipitarvi e si arrestò.
— Ebbene? chiese Ahmed. Si chiamava?...
— Non mi rammento più il nome, balbettò l’arabo confuso.
— Te lo dirò io, allora. Era una donna superba, bella come una urì del paradiso di Mohammed, dagli occhi grandi e fulgidi come diamanti neri, e dai capelli più fini della seta. Il suo nome era... Fathma!
Abd-el-Kerim si morse furiosamente le labbra per trattenere il grido che stavagli per sfuggire e tradirlo. Diventò spaventosamente pallido, vacillò come colpito da una mazzolata sul capo e le braccia gli caddero senza forze lungo i fianchi.
Il Mahdi amava Fathma! Il Mahdi rimpiangeva la donna che Abd-el-Kerim aveva tanto amata! L’arabo, pietrificato, credeva di essere lo zimbello di un sogno.
— Si chiamava Fathma! esclamò con voce soffocata.....
— Sì, rispose il Mahdi che tutto assorto nella sua cupa disperazione non s’era accorto della commozione dell’arabo. Hai udito parlare, a Chartum, di questa donna che mi straziò l’anima? Si diceva che era fuggita in quella città.
— No!.. No!.. mormorò Abd-el-Kerim che tremava verga a verga.
— Si diceva che era diventata l’amante di un ufficiale arabo. Se potessi averlo nelle mani quest’uomo... Guai! guai il giorno che la sua cattiva stella lo condurrà al mio campo...
Abd-el-Kerim coi capelli irti, gli occhi sbarrati, non respirava più. Egli si chiedeva se quel terribile rivale sapesse che l’amante di Fathma era il prigioniero che gli stava dinanzi.
— Maledetta donna, proseguì Ahmed. L’amavo, aveva da me tutto quello che desiderava, aveva a sua disposizione duecentomila guerrieri pronti a farsi uccidere per lei, era più di una sultana, e mi obliò, mi abbandonò. Ma verrà forse un dì che la riavrò nelle mie mani e le farò scontare a caro prezzo il tradimento. Oh! quel dì si pentirà di aver burlato l’inviato di Allàh!
— Ma è viva, adunque? chiese Abd-el-Kerim che non si teneva più.
— Si dice che è viva, ma nessuno lo assicura.
— Ah!
— Che hai?
— Nulla, mormorò l’arabo prestamente. Ho la punta di una freccia in un braccio e mi fa soffrire.
— Soffrirai ancora per poco, disse Ahmed con un sorriso crudele.
— Perchè?
— Perchè domani, a meno che non sii protetto da Allàh, morrai.
— Ma io non voglio morire! esclamò l’arabo.
— Come, pochi minuti fa non t’importava di morire ed ora mi dici che non vuoi morire. Quale cangiamento è mai avvenuto nel tuo animo?
— È entrata una speranza.
— Quale?
— Che la donna che io amai e che credo perduta sia viva come la tua.
Lo sguardo acceso del Mahdi si annebbiò diventando malinconico, quasi tenero.
— Sai che tu mi piaci? gli disse, posandogli le mani sulle spalle.
— Io!
— Sì, tu mi piaci e vorrei vederti ufficiale nel mio esercito. Disgraziatamente mi hai ucciso un potente scièk e bisogna che io lo vendichi.
— Sicchè anch’io morrò?
— No, io ti darò il mezzo di salvarti.
Abd-el-Kerim si gettò ai piedi di Ahmed mandando un grido di gioia.
— Odimi, disse Ahmed, rialzandolo. I miei guerrieri hanno la barbara abitudine di far sventrare i prigionieri condannati a morte, dai bufali o dai leoni. È bensì vero che armano il condannato d’una scimitarra, ma, come puoi immaginarti, difficilmente scampano alla morte. Se però ammazzano l’animale sono proclamati guerrieri e quindi posti in libertà.
— E così combatterò contro i bufali?
— No ti metterò di fronte un leone al quale avrò dato prima una bevanda che lo priverà della sua forza, che lo ubbriacherà. Ti sarà facile ucciderlo con un colpo di scimitarra.
— Ah! grazie! Ahmed!
— Come vedi, io ti salvo dalla morte, ma bisogna che tu diventi mio seguace, che mi adori e rispetti come adoravi e rispettavi Mohammed il primo profeta.
— Farò tutto quello che vorrai. E i mei compagni li salverai?
— È impossibile. Non ardirei tentarlo. Va, ora, ritorna fra i prigionieri e arrivederci a domani alla zeribak.
Battè le mani: due guerrieri entrarono inginocchiandosi dinanzi a lui.
— Conducete quest’uomo nella capanna dei prigionieri, disse a loro il Mahdi. Badate che se qualcuno lo tocca, lo insulta o lo percuote è uomo morto.
Un istante dopo Abd-el-Kerim e i guerrieri uscivano dal tugul di Mohammed ed entravano in quello dei prigionieri, sotto il quale, distesi per terra, strettamente legati, tremanti di spavento e d’angoscia stavano i tre egiziani.
Vedendo Abd-el-Kerim, uno di essi, il meno maltrattato, si alzò penosamente sulle ginocchia interrogandolo con uno sguardo lagrimoso.
— Siamo perduti, rispose l’arabo.
— Non c’è più speranza adunque? balbettò l’egiziano,
— Nessuna.
— È una iena adunque questo Mahdi?
— Taci, se vuoi vivere fino a domani.
L’egiziano emise un sordo gemito e ricadde col volto nascosto fra le mani.
Note
- ↑ Pare che Mohammed Ahmed a Chartum negoziasse in belve. Anzi dicesi che egli abbia fornito di belve quasi tutti i giardini zoologici di Europa.
- ↑ Questa verruca si dice che gli sia stata fornita da un certo Scandorper, nativo di Meklemburgo, ex lavoratore di capelli e clown. Questo tedesco, tempo addietro, era stato ai suoi servigi e suo confidente.
- ↑ L’illustre missionario D. Luigi Bonomi mi assicurò che quella testa non apparteneva a Hicks pascià, ma al barone di Cettendorge, capitano di Stato Maggiore.