La favorita del Mahdi/Parte III/Capitolo III
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte III - Capitolo II | Parte III - Capitolo IV | ► |
CAPITOLO III. — Il supplizio dei prigionieri.
All’indomani i dintorni della grande zeribak formicolavano di guerrieri accorsi da tutte le parti del campo.
Alcuni si arrampicavano sulle spalle dei compagni più alti, altri sulle gobbe dei cammelli o sui dorsi dei cavalli, degli asini, dei buoi, che sparivano totalmente sotto la folla, e altri ancora sugli alberi che ombreggiavan il recinto, accomodandosi alla meglio fra i rami.
S’udiva per ogni dove un gridìo, un rullare di tamburi e di tamburoni, uno squillare di trombe e un salmodiare dei versetti dell’Alcorano, fragori che spesso venivano coperti da urla disperate. Zuffe accanite succedevano qua e là in mezzo alla folla, che finivano con una coltellata o con una sciabolata, e dai rami capitombolavano uomini che venivano gettati giù dai forti, senza badare se si rompevano la testa o si fiaccavano il collo.
Tutti volevano passare innanzi, tutti volevano guadagnare le palizzate della zeribak nel cui interno dovevano venire giustiziati i prigionieri egiziani.
Soli due uomini non partecipavano a quella forte curiosità e si tenevano in disparte, seduti tranquillamente sulla cima di una collinetta sabbiosa, chiaccherando colla maggior calma del mondo, senza quasi degnarsi di volgere uno sguardo al recinto.
Uno era un uomo di alta statura vestito da beduino, col coftan calato sul volto in modo da non vedere che una barba nera e ispida.
L’altro era uno scièk negro, tozzo, robusto, dal volto feroce, senza barba, con due occhi grandi e brillanti, naso assai schiacciato e labbra sporgenti. Portava un gran turbante sul capo, una rahàd (cintura) riboccante d’armi alle reni e ornata di spessi cordoncini, un paio di larghi calzoni alla turca e alle braccia numerose anella d’avorio e file di chàraz (perline di vetro).
— Dunque tu mi raccontavi? diceva lo scièk.
— Che egli è qui, rispose il beduino con accento straniero.
— Sei proprio sicuro?
— Sicurissimo, El-Mactud.
— Quando l’hai veduto?
— La decorsa notte passando dinanzi ad un tugul guardato da venticinque guerrieri. Al chiarore dei fuochi lo vidi sdraiato a terra col volto fra le mani.
— Puoi esserti ingannato, disse lo scièk.
— Ma no, non mi sono ingannato, te l’assicuro. Lo conosco troppo bene.
— Ma non militava sotto Hicks pascià?
— Quando lo lasciai era con Dhafar pascià, non posso quindi sapere se egli abbia raggiunto il generale inglese.
— A ogni modo non so capacitarmi come abbia abbandonata la sua bandiera per passare sotto quella di Ahmed.
— Ti narrai che egli amava una donna e che questa gli fu rapita.
— Ebbene?
— Forse spera di ritrovarla qui.
— Quale grado occupa? chiese lo scièk.
— L’ignoro come te. Sulla soglia della sua capanna ho veduto venticinque guerrieri, e so che ieri sera ebbe un colloquio con Ahmed Mohammed, poichè lo videro uscire dal tugul.
— Bisogna sapere qual grado gli fu conferito e se è amico di Ahmed.
— Lo sapremo, e per quanto potente egli qui sia, lo annienterò, lo farò cadere nella polvere! Basta che pronunci il nome della donna, che egli amò perchè Ahmed lo condanni a morte.
— Ma che cosa ti fece che lo odii tanto?
— Disonorò mia sorella e poi l’uccise, disse il beduino cercando di dare alla sua voce un tono cupo.
— Allora bisogna vendicarsi.
— Mi vendicherò.
— Fa come noi baggàra Salem che ci atteniamo alla legge del taglione insegnataci dalla Bibbia, dal Minu e dal Corano. Aèn be aèn (occhio per occhio); uèden be uèden (orecchio per orecchio); ed-dàn b’ed dàn (sangue per sangue).
— Aspetta che io lo abbia in mano e poi ne vedrai di belle.
— Così va bene, io sarò sempre pronto ad aiutarti.
— Zitto, ecco Ahmed Mohammed, disse il beduino alzandosi.
In lontananza, appariva Ahmed, col turbante verde dei discendenti del profeta ed in completo assetto da guerra. Montava un superbo cavallo bianco condotto a mano da due dervis e dietro a lui caracollavano gli scièk di tutte le tribù ed una banda di Abù-Rof colle scimitarre sguainate e gli stendardi spiegati.
Quando fu vicino alla zeribak un gran grido emesso da duecentomila persone echeggiò:
— Viva Ahmed Mohammed! Salute all’inviato di Dio!
Ahmed con un cenno della mano fece tacere tutti quei clamori. Scese d’arcione, s’inginocchiò a terra, borbottò alcune preghiere, poi andò a sedersi su di un palco che dominava la zeribak. Gli sceicchi e i dervis più rinomati presero posto dietro a lui.
— Dove sono i prigionieri? chiese il beduino allo sceicco.
— Eccoli là, circondati da una compagnia di baggàra.
— Non ne abbiamo molti da assassinare. Non ne vedo che quattro.
— Ma in mezzo ad essi vedo anche un ufficiale.
— Un ufficiale!... Ira di Dio! chi può essere mai?
— Qualche ufficiale preso a Kahghill.
— Eh!... esclamò d’improvviso il beduino saltando indietro. Non è possibile!... Io m’inganno!...
— Che hai?
— Quell’ufficiale che è fra i prigionieri... Ira di Dio! È lui!...
— Ma chi?
— Abd-el-Kerim?
— È impossibile.
— Te lo dico io; È proprio lui!
— Ma se hai veduto questa notte una guardia di onore dinanzi al suo tugul.
— Mi sono ingannato. Erano guerrieri che vegliavano perchè non fuggisse. Vieni El-Mactud: la vendetta di Ahmed Mohammed ha preceduta la mia.
Il beduino e lo scièk si precipitarono giù dalla collina, raggiunsero la folla che stringevasi attorno alla zeribak e facendosi largo a furia di gomiti, si confusero nel mezzo.
Proprio in quel momento Abd-el-Kerim e i tre egiziani venivano condotti in una loggia circondata da guerrieri armati fino ai denti. Il primo era calmo, sorridente, noncurante, gli altri invece penavano a stare in piedi; erano pallidi, disfatti, in preda ad un terrore indescrivibile.
La loro comparsa fu accolta dalle diciotto tribù con urla selvaggie, con maledizioni, con insulti, con un agitar minaccioso di braccia; più di un’arma fu diretta contro di essi e più di un fucile li tolse di mira. Però, ad una parola di Ahmed Mohammed, il silenzio tornò a farsi e le armi vennero abbassate.
S’udì un fragoroso rullar di noggàra e di darabùke. e un bufalo fu fatto entrare nella zeribak fra frenetici battimani.
Era un bell’animale, d’alta taglia, tigrato, colle corna lunghe e aguzze. Appena entrato e liberato dai legami, si mise a saltellare all’impazzata pel recinto, mugghiando furiosamente e cozzando contro le palizzate. Faceva paura a vederlo colla bocca piena di bava e quegli occhi grandi, accesi, che roteavano in un cerchio sanguigno; si capiva che prima di farlo entrare, i baggàra lo avevano irritato, lo avevano reso furioso.
Un egiziano fu incitato a discender nell’arena dopo di averlo armato di una scimitarra, ma il disgraziato, ebbro di paura, non ardì muoversi e si mise a strillare come se lo uccidessero. Quattro guerrieri però lo afferrarono, lo sollevarono e lo scaraventarono nel recinto.
— Kuàies! Kuàies-ktir! (bello! bello assai!) urlarono gli spettatori.
Il povero uomo, quantunque stordito dal capitombolo fatto, si rialzò gettando attorno gli sguardi smarriti, supplicando a mani giunte gli astanti di salvargli la vita. I negri gli risero in faccia, gli sputarono addosso e aizzando il buffalo con spaventevoli vociferazioni e con sassi.
— A morte a morte l’infedele! urlavano gli uni.
— Prendi la scimitarra, vigliacco! urlarono gli altri.
Il bufalo aveva subito scorto la vittima. Emise un muggito da far agghiacciare il sangue, si battè i fianchi colla coda, abbassò la testa e si precipitò innanzi colla rapidità del lampo.
Tutti credettero di vedere l’egiziano sventrato, ma ciò non accadde. Vistoselo capitare addosso il disgraziato prigioniero si era messo a correre disperatamente attorno al recinto cercando, ma invano, di arrampicarsi sulle palizzate. Per dieci minuti riuscì a tenersi lontano dal terribile animale che sollevava nubi di polvere galoppando furiosamente per tutti i versi, poi si arrestò cercando di tenergli testa.
Uomo e animale si scontrarono in mezzo al recinto. L’egiziano che aveva raccolto la scimitarra, tirò un colpo alla cieca che cadde nel vuoto. Non ebbe il tempo di rialzare l’arma; l’animale furibondo, sprofondò le aguzze sue corna nel petto di lui, poi, sollevatolo non ostante gli spaventevoli contorcimenti, sbattè furiosamente contro la palizzata. La vittima orribilmente schiacciata, precipitò inerte al suolo insanguinando le sabbie.
— Kuàie! Kuàies-ktir! strepitarono i guerrieri.
Il bufalo fu tosto preso al laccio dai baggàra che si tenevano a cavalcioni della palizzata. Il cadavere dell’egiziano, deformato, sventrato, fu trascinato via per essere dato a pasto delle belve delle foreste e vennero precipitati giù gli altri due egiziani, uno dei quali, spezzatosi una gamba, rimase disteso a terra strillando e invocando Allàh e il Profeta.
Altri due bufali furono fatti entrare e il sanguinoso spettacolo ricominciò. Fu breve: il primo egiziano venne sventrato al primo urto, e il secondo arrampicatosi sulla palizzata, venne ucciso da una lancia scagliatagli da un Abù-Ròf.
Non restava che Abd-el-Kerim, il quale aveva assistito impassibile alla sventurata fine dei suoi compagni d’armi. Egli discese nell’arena colla scimitarra in pugno, lo sguardo sfavillante d’ardire, attendendo con calma straordinaria la comparsa del leone che doveva attaccarlo.
Uno dei dervis, per ordine di Ahmed intimò alla tumultuante folla il più profondo silenzio, dopo di che venne fatto entrare il re delle foreste africane. Era un vecchio leone, lungo due metri, alto più di uno dalla maestosa figura, dal portamento ancora fiero, che ruggiva orribilmente scuotendo la villosa giubba.
Un fremito di spavento corse per le membra dei guerrieri del Mahdi alla vista di quell’animale che gode un terribile fama appo tutte le popolazioni africane. Ognuno ammutolì e guardò quasi con terrore l’arabo che non si era nemmeno mosso dall’apparire di quel formidabile campione.
Per alcuni istanti il leone si accontentò di far udire la sua voce, battendosi i fianchi colla coda, un colpo della quale è bastante per rompere le gambe ad un uomo, poi si mise a ronzare attorno all’arabo che presentavagli la fronte riparandosi dietro la scimitarra come dietro ad uno scudo.
D’improvviso si arrestò e si raccolse su sè stesso guardando con occhi di fuoco l’arabo. Spiccò un salto innanzi, ma le forze per una causa sconosciuta, gli vennero meno e ricadde tre passi lontano.
Un grido di sorpresa sfuggì da tutti i petti. La cosa era così strana che tutti credettero che quella improvvisa mancanza di forza dovesse attribuirsi ad un miracolo di Allàh.
— Miracolo! miracolo! gridarono alcuni dervis, alzando le braccia verso il cielo.
— Si aizzi il leone! tuonò una voce.
— Silenzio! gridò Ahmed Mohamed.
Per la seconda volta il leone si raccolse su sè stesso ruggendo e si slanciò innanzi, e per la seconda volta ricadde senza forze. Un sorriso spuntò sulle labbra di Ahmed che guardava fisso Abd-el-Kerim sempre impassibile.
— Miracolo! Miracolo! ripeterono i dervis.
— Fuori un altro leone! tuonò la medesima voce che aveva comandato di aizzarlo,
Nell’istesso momento Abd-el-Kerim si slanciava contro al leone che era incapace di muoversi e che ruggiva spaventosamente e con un colpo di scimitarra gli apriva la testa rovesciandolo agonizzante al suolo.
Da un capo all’altro della pianura rimbombò un solo grido:
— È salvo! Viva l’arabo!
— A morte l’arabo! gridò per la terza volta la voce sconosciuta.
— Bravo! Bravo!
— Fuori un altro leone!
— Ahmed Mohammed scattò in piedi colle braccia alzate, gli occhi volti al cielo, e con voce d’ispirato gridò:
— Popoli del Kordofan! Quell’uomo è stato toccato dalla grazia di Allàh e io lo nomino mio guerriero. Tutti a terra!
I guerrieri caddero col volto nella polvere. Solo un uomo rimase in piedi colle pugna tese verso Abd-el-Kerim. Quest’uomo era il beduino.
— A morte l’infedele! tuonò egli con voce furente.
— A terra! ripetè il Mahdi. A terra!
Il beduino fu atterrato dalla mano nervosa dello sceicco El-Mactud,
— Taci se non vuoi perderti, gli sussurrò all’orecchio lo sceicco.
— Popoli del Kordofan, fedeli seguaci della vera religione, ripigliò Ahmed Mohammed. Io dichiaro quell’uomo libero, non solo, ma gli conferisco il grado di sceicco. Allàh me lo comanda. Che i voleri di Allàh siano esauditi.