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Abd-el-Kerim coi capelli irti, gli occhi sbarrati, non respirava più. Egli si chiedeva se quel terribile rivale sapesse che l’amante di Fathma era il prigioniero che gli stava dinanzi.
— Maledetta donna, proseguì Ahmed. L’amavo, aveva da me tutto quello che desiderava, aveva a sua disposizione duecentomila guerrieri pronti a farsi uccidere per lei, era più di una sultana, e mi obliò, mi abbandonò. Ma verrà forse un dì che la riavrò nelle mie mani e le farò scontare a caro prezzo il tradimento. Oh! quel dì si pentirà di aver burlato l’inviato di Allàh!
— Ma è viva, adunque? chiese Abd-el-Kerim che non si teneva più.
— Si dice che è viva, ma nessuno lo assicura.
— Ah!
— Che hai?
— Nulla, mormorò l’arabo prestamente. Ho la punta di una freccia in un braccio e mi fa soffrire.
— Soffrirai ancora per poco, disse Ahmed con un sorriso crudele.
— Perchè?
— Perchè domani, a meno che non sii protetto da Allàh, morrai.
— Ma io non voglio morire! esclamò l’arabo.
— Come, pochi minuti fa non t’importava di morire ed ora mi dici che non vuoi morire. Quale cangiamento è mai avvenuto nel tuo animo?
— È entrata una speranza.
— Quale?
— Che la donna che io amai e che credo perduta sia viva come la tua.
Lo sguardo acceso del Mahdi si annebbiò diventando malinconico, quasi tenero.
— Sai che tu mi piaci? gli disse, posandogli le mani sulle spalle.
— Io!
— Sì, tu mi piaci e vorrei vederti ufficiale nel mio esercito. Disgraziatamente mi hai ucciso un potente scièk e bisogna che io lo vendichi.