La favorita del Mahdi/Parte II/Capitolo XIV
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CAPITOLO XIV. — L’appuntamento
Il campo si era già addormentato da un bel pezzo, quando Omar, tutto trafelato per la lunga corsa, giungeva alla tenda.
Fathma, sdraiata sulla coperta, col capo appoggiato su di uno zaino, dormiva tranquillamente e O’Donovan vegliava accoccolato presso di lei, fumando una sigaretta e leggendo alcune note del suo libriccino al vacillante chiarore di una torcia resinosa infissa nel suolo.
Al rumore che fece il negro entrando, il reporter alzò il capo.
— Finalmente, diss’egli. Dove sei andato?
— A dire due parole ad un soldato mio amico, disse Omar con aria imbarazzata. Come sta Fathma? Ebbe ancora il delirio?
— No, e spero non delirerà più.
La conversazione cadde lì, il negro e il reporter si sdraiarono a terra, l’uno accendendo il suo scibouk e l’altro ripigliando la lettura del suo notes.
La notte, sotto la tenda passò abbastanza tranquilla. Fathma si svegliò due o tre volte in preda al delirio, ma fu cosa da poco. Nell’accampamento invece vi furono parecchi allarmi, molti colpi di fucile ed anche un attacco da parte degli insorti che fu respinto dalla carica di uno squadrone di basci-bozuk e dal fuoco delle mitragliatrici.
Appena il sole spuntò, O’Donovan saltò in piedi.
— Omar, diss’egli. Oggi non tornerò nella tenda avendo da fare una escursione nei dintorni del campo con lo Stato Maggiore. Questa sera, però, prima che il sole tramonti, sarò qui. Veglia sulla malata.
Il negro lo seguì fuori della tenda, poi, quando vide che era un bel tratto lontano, s’affrettò a rientrare chiamando ripetutamente la sua padrona.
La povera almea, alla voce del fedele schiavo, non tardò a svegliarsi. Ella si rizzò a sedere, girando attorno sguardi smarriti. Era pallida, abbattuta, aveva la disperazione scolpita in volto e tremava come avesse una potentissima febbre. Afferrò convulsivamente le mani che le tendeva Omar e le strinse con frenesia.
— Omar!... Omar!... esclamò essa con voce cavernosa.
— Come state mia disgraziata padrona? chiese il negro che frenava a gran pena le lagrime tremolantegli sotto le ciglia.
— Ah! Omar, sono stata alfine colpita proprio al cuore, sono stata alfine curvata dal potente soffio della fatalità! Povere mie speranze infrante, povero Abd-el-Kerim.
Un singhiozzo le montò alla gola e soffocò la sua voce. Gli occhi le si appannarono e l’abbronzato suo volto si rigò di pianto.
— Tutto a me d’intorno è ruinato, ripigliò ella con disperato accento, tutto è finito, tutto è perduto. Oh! l’orribil sogno!... Aver tanto sperato, aver tanto sofferto, tanto lottato e poi non rivederlo... è spaventevole, è mostruoso!... Aveva sperato di rivedere ancora quegli occhi che mi avevano vinto, che mi avevano domato, di riudire ancora quella voce che mi aveva giurato eterno amore nelle foreste del Bahr-el-Abiad, quella voce che mi faceva saltare il cuore in petto, che mi rapiva in estasi; aveva sperato di rivederlo ai miei piedi ebbro d’amore, di essere alla fine felice dopo tanti strazi... e non lo rivedrò invece più mai... Allàh, dammi la forza di resistere che io muoio!... Oh Dio! quanto sono infelice!
Ella nascose il volto fra le mani, si rovesciò all’indietro e pianse. Omar, che non riusciva a frenare egli pure le lagrime, la risollevò.
— Padrona, non disperarti così, non piangere. Tutto non è terminato ancora, diss’egli. Lo ritroveremo, te lo giuro, e più presto di quello che tu credi.
— Perchè illudermi, Omar? Non spero più; tutto è irremissibilmente perduto, tutto! tutto!
— Ma no, non è perduto, tutto padrona. Anzi potei raccogliere, ieri sera, alcune notizie su Abd-el Kerim, e posso assicurarti che non è morto.
Fathma scattò in piedi come una leonessa. Ella afferrò Omar per le braccia scuotendolo quasi con furore.
— Notizie di lui! di Abd-el-Kerim! esclamò ella con una voce che l’emozione strozzava. Omar!.... Omar!... non farmi morire dalla gioia, non farmi balenare una speranza che forse non esiste.
— Te lo giuro, padrona, io ho avuto notizie di lui.
— Dov’è? Dove l’hanno condotto?.... Dimmelo, Omar, dimmelo!
— È prigioniero dello sceicco Tell-Afab.
— Ah!... dove si trova questo sceicco?... Io voglio vederlo.
— È impossibile, padrona. Si è recato al sud a combattere contro alcune tribù che si sono ribellate al Mahdi; dopo ritornerà certamente a El Obeid.
— Ed è sano il mio Abd-el-Kerim?
— Questo lo sapremo questa sera a mezzanotte.
L’almea lo guardò cogli occhi stravolti.
— A mezzanotte! esclamo ella con sorpresa. Da chi? Come?
— Da un ribelle che si chiama Tepele.
— E tu conosci questo ribelle? Oh! vorrei abbracciarlo quest’uomo.
— Sarebbe pericoloso, padrona, si correrebbe il rischio di buscarsi qualche colpo di lancia. Ascolta quanto m’è toccato questa notte.
L’almea tornò a sedersi, tutta inondata di gelido sudore e tremante per la violenta emozione. Omar, accoccolatosi a lei accanto, le narrò per filo e per segno l’incontro di Takir, la gita di questi fuori del l’accampamento, il colloquio che aveva tenuto col ribelle Tepele, l’appuntamento per la mezzanotte con Elenka e infine il dramma sanguinoso che seguì la scrittura del biglietto.
Fathma l’ascoltò in silenzio, senza dare il più piccolo segno di collera o di gioia, ma quand’ebbe finito si alzò colle pistole in pugno, dirigendosi verso l’uscita della tenda.
— Dove vai? gli chiese Omar, spaventato, mettendosi risolutamente dinanzi.
— Vado alla tenda della greca, rispose Fathma con voce sorda. Fra mezz’ora le avrò fatto saltare le cervella.
— Ma tu vuoi perderci tutti e due! No, padrona, non lo farai.
— Ma sai Omar che ho il sangue che mi bolle? Sai che per ucciderla darei volentieri la mia vita?
— E se io ti fornissi il mezzo di ucciderla egualmente, senza che tu abbi a correre pericolo alcuno?
— Come? Parla, Omar, parla.
— Aspettiamo questa notte innanzi tutto. Appena il campo si sarà addormentato noi raggiungeremo il tugul e ci nasconderemo nell’interno o lì vicini. Elenka verrà, noi assisteremo al suo colloquio col ribelle Tepele, poi, quando sarà rimasta sola, o nel tugul o nella foresta noi l’assaliremo e la scanneremo come io ho scannato Takir. Ti pare? Nessuno ci vedrà, nessuno saprà nulla, non rimarrà nemmeno la più piccola traccia dell’assassinio, poichè i leoni e le iene s’incaricheranno di far sparire il cadavere.
— E O’Donovan? Egli vorrà venire con noi e ci sarà d’ostacolo.
— Niente affatto, egli non verrà. Lascia fare a me, e vedrai che tutto andrà bene.
— Ma sei certo che Elenka si recherà all’appuntamento?
— Più che certo. Io vado a farle recapitare il biglietto scritto da Takir. Quando leggerà che trattasi di sapere ove trovasi Abd-el-Kerim non esiterà un solo istante a partire.
— Se così fosse!... Oh!... quale ebbrezza, nel vederla morta ai miei piedi in un lago di sangue.
— La vedrai morta, padrona. Rimani adunque, pazienta ancora alcune ore.
— E sia, aspetterò la mezzanotte, L’ora sarà più propizia per la vendetta.
— Allora io mi reco alla tenda di Elenka.
— E se ti conosce?
— Non mi riconoscerà perchè non sarò già io che le consegnerò il biglietto.
Il negro sturò una bottiglia di caffè, l’ultima che possedeva O’Donovan, vi aggiunse alcune goccie di wiscky che trovò in una fiaschetta e ne fece tranguggiare buona parte all’almea. Ne sorseggiò qualche poco, poi uscì per compiere la difficile missione.
L’almea, in preda ad un’ansia indescrivibile, si sdraiò sul limitare della tenda colla testa fra le mani e il volto cupo. Venne il mezzodì; il rancio composto di pochi grani di durah, d’una piccola porzione di carne di cammello morto di fatica e di alcune goccie di acqua putrida e calda, fu dispensato, ma Omar non comparve.
Passarono altre otto lunghe ore. Già Fathma cominciava a temere che gli fosse accaduto qualche disgrazia, che fosse stato scoperto e preso, quando comparvero dinanzi alla tenda il negro e il reporter del Daily-News.
— By-good! esclamò allegramente O’Donovan. entrando. Di già in piedi, mia buona amica! Come state?
— Molto bene, rispose Fathma guardando Omar che le fece un rapido cenno.
— Non posso fare a meno di ammirarvi, riprese il reporter. Siete d’acciaio.
— Sono araba, ecco tutto.
— Che avete pensato di fare? Rimarrete al campo?
— Per ora sì. In seguito vedrò.
— Sapete che siamo lì lì per levare le tende e marciare su El-Obeid?
— Ah! di già?
— Sicuro. Oggi Aladin e Hicks pascià si sono riuniti collo Stato Maggiore e hanno deciso di partire
— E quando?
— Probabilmente domani. Ma ho paura che succeda dei guai.
— Perchè?
— I due pascià non s’intendono sulla via da sciegliersi per marciare su El-Obeid. Hicks vuole andarvi per la pianura che è la via più corta, Aladin invece vuole andarvi pei monti e fare alto a Melbass prima di dare battaglia.
— E cosa hanno concluso? chiese Fathma.
— Che l’esercito si separerà in due corpi. L’uno marcierà su El-Obeid e l’altro su Melbass.
— Che ne dite di questa separazione?
— Io dico che ci condurrà ad una catastrofe, disse tristemente O’Donovan. Lo vedrete, Fathma, saremo schiacciati dal Mahdi.
Nella tenda regnò per alcuni istanti un penoso silenzio. D’improvviso Fathma s’avvicinò al reporter che era diventato pensieroso, e posando le mani sulle spalle di lui, gli disse:
— O’Donovan, ho un piacere da chiedervi.
— Parlate amica mia, rispose l’irlandese con voce affettuosa. Sono ai vostri ordini.
— A mezzanotte devo trovarmi fuori dell’accampamento per parlare con un ribelle. Mi darà importanti notizie su Abd-el-Kerim.
— Oh! fe’ il reporter sorpreso. Vi recate ad un appuntamento!
— Sì, questo ribelle, al quale io salvai, due anni addietro, la vita, parlò oggi con Omar. Egli disse che a mezzanotte potrebbe darci notizie esatte sul luogo ove fu tratto il mio fidanzato. Non bisogna che io manchi.
— Ebbene, ci andremo tutti e tre.
— No, voi non potete venire. Il piacere che vi chiedo è che voi rimaniate nella tenda.
— Che io rimanga qui!... E perchè?
— Perchè la presenza di un bianco, di un infedele, potrebbe irritare quel selvaggio.
— Ma, se quel ribelle vi tendesse invece un agguato? La mia compagnia è un remington di più che parlerebbe, ve l’assicuro, con una precisione terribile.
— Non abbiate timore che ci si giuochi un brutto tiro, O’Donovan. Quel selvaggio Baggàra è un uomo di parola e mi ha giurato sul Corano che nessuno ci torcerà un capello.
— Quando è così, rimarrò nella tenda.
— Giuratelo.
— Lo giuro.
— Grazie, O’Donovan, disse Fathma con voce commossa. Prima che l’alba spunti noi saremo di ritorno e sapremo che sarà successo del mio infelice Abd-el-Kerim.
La sua faccia s’alterò fortemente e la voce le si spense in un singhiozzo.
— Andiamo, padrona, disse Omar porgendole il remington.
L’almea che aveva chinato il capo sul seno, lo rialzò con un gesto d’indomita fierezza. I suoi occhi si accesero d’una cupa fiamma e le nari si dilatarono straordinariamente.
— Vieni, Omar! esclamò ella. Là ci aspettano.
Strinse la mano al reporter e uscì a rapidi passi col negro, inoltrandosi silenziosamente fra la moltitudine di tende. Erano quasi le undici di notte quando oltrepassati gli avamposti, entravano nel palmeto.
— La via? chiese Fathma. La conosci tu?
— A menadito, rispose Omar. Cammina dietro di me e sta bene attenta. Il ribelle assicurò Takir che non correrebbe alcun pericolo ma non bisogna fidarsi.
— Verrà la mia rivale?
— Sicuramente, Fathma.
— Come hai fatto a consegnarle il biglietto di Takir?
— Lo diedi ad un soldato che per un pugno di parà lo portò. Egli mi disse che la greca, nel leggerlo, mandò un grido di gioia immensa.
— Ah! esclamò Fathma coi denti stretti e accarezzando l’impugnatura dell’jatagan. Allunghiamo il passo; sono impaziente di vedere il luogo dove cadrà per sempre la mia odiata rivale!
Al disotto di quella foresta v’era oscurità perfetta; era molto se qualche raggio lunare, azzurrognolo, d’infinita dolcezza, penetrava fra il fitto fogliame delle palme, dei tamarindi e dei colossali baobab, a formare una chiazza biancastra sul suolo erboso o coperto di immani radici che uscivano da terra come serpenti. Mille urla, mille ruggiti, mille scrosci di risa s’udivano a destra e a manca, emessi dagli sciacalli, dei leoni e dalle iene che si disputavano i cadaveri degli Egiziani o dei ribelli rimasti sul terreno nella scaramuccia della notte precedente. Di quando in quando, verso le lontane pianure o verso il campo, echeggiavano scoppi rumorosi di remington o di moschettoni seguiti poco dopo dagli allarmi degli avamposti.
Omar e Fathma, procedendo silenziosi come ombre e colla massima circospezione, in capo a mezz’ora ebbero attraversato il palmeto senza aver incontrato alcun insorto. Essi si trovarono dinanzi ad una serie di scoscese colline, in cima ad una delle quali alzavasi un tugul conico.
— Quello là, disse Omar, è il luogo dell’appuntamento. Saliamo con precauzione, Fathma. Potrebbe darsi che Tepele si trovasse di già sul posto.
Aggrappandosi ai cespugli, aiutandosi l’un l’altro e sempre nel più profondo silenzio, essi guadagnarono la cima della collina, piana, sparsa di macigni e di cespugli, con un profondo burrone nel mezzo, dalle pareti tagliate a picco e nel cui fondo urlavano bande numerose di sciacalli.
Omar si spinse fino al tugul ma era oscuro e deserto.
— Benone, mormorò egli ritornando presso Fathma. Non sono ancora giunti ma non staranno molto a venire. Ti senti forte padrona?
— Più forte e più risoluta che mai, rispose Fathma. Lascia che venga la mia rivale e io ti farò vedere di quanto sia capace un’araba.
Ella mostrò al negro un fitto cespuglio distante appena venti passi dal tugul e vi si nascosero nel mezzo, cogli occhi fissi sulla sottostante pianura.
Erano passati appena dieci minuti che dal nord fu visto venire innanzi un uomo semi-nudo armato di una lunga lancia. Omar conobbe in lui Tepele, l’amico di Takir.
— Sta attenta Fathma, mormorò il negro all’orecchio della compagna.
Tepele era giunto ai piedi del colle. Lo salì con una agilità da scimmia, passò a pochi passi dal cespuglio, entrò nel tugul e accese un po’ di fuoco.
D’improvviso Fathma afferrò fortemente il braccio d’Omar e lasciò uscire dalle labbra contratte una sorda esclamazione.
— Guardala! diss’ella con voce arrangolata. Guardala!
Una donna armata di fucile e affatto sola, era apparsa sul limitare del palmeto. La luna che batteva su di lei, rendeva perfettamente visibili i suoi lineamenti e il costume greco che indossava.
— Erano passati due mesi, quando una notte ebbi la brutta idea di invitarlo a cacciare il leone. Io camminavo dinnanzi e lui camminava dietro a me.
— Elenka! balbettò Omar che provò involontariamente un brivido.
— Appena che mi capita a tiro di fucile io l’abbatto! Ho il sangue che mi bolle e nubi di fuoco dinanzi agli occhi. Oh! la vendetta!... la vendetta!...
— Non ti muovere, padrona! Se tu l’ammazzi prima che abbia a parlare con Tepele non sapremo più mai dove potremo trovare Abd-el-Kerim. Frenati per mezz’ora.
L’almea che si era rizzata sulle ginocchia col remington in mano, tornò a sdraiarsi.
— Aspetterò, mormorò.
La greca dopo aver esitato, si era messa a salire la dirupata china saltando di sasso in sasso, di scheggione in scheggione come un’antilope. Si fermò tre o quattro volte, girò e rigirò attorno al tugul dalle cui fessure uscivano raggi di luce, poi entrò. Fathma e Omar balzarono fuori dal cespuglio, e si appostarono ai lati della porta, spingendo gli sguardi nell’interno della capanna.
— Frenati, mormorò un’ultima volta Omar.
— Non aver paura di nulla, rispose Fathma. Ora Elenka è mia!