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alcun insorto. Essi si trovarono dinanzi ad una serie di scoscese colline, in cima ad una delle quali alzavasi un tugul conico.
— Quello là, disse Omar, è il luogo dell’appuntamento. Saliamo con precauzione, Fathma. Potrebbe darsi che Tepele si trovasse di già sul posto.
Aggrappandosi ai cespugli, aiutandosi l’un l’altro e sempre nel più profondo silenzio, essi guadagnarono la cima della collina, piana, sparsa di macigni e di cespugli, con un profondo burrone nel mezzo, dalle pareti tagliate a picco e nel cui fondo urlavano bande numerose di sciacalli.
Omar si spinse fino al tugul ma era oscuro e deserto.
— Benone, mormorò egli ritornando presso Fathma. Non sono ancora giunti ma non staranno molto a venire. Ti senti forte padrona?
— Più forte e più risoluta che mai, rispose Fathma. Lascia che venga la mia rivale e io ti farò vedere di quanto sia capace un’araba.
Ella mostrò al negro un fitto cespuglio distante appena venti passi dal tugul e vi si nascosero nel mezzo, cogli occhi fissi sulla sottostante pianura.
Erano passati appena dieci minuti che dal nord fu visto venire innanzi un uomo semi-nudo armato di una lunga lancia. Omar conobbe in lui Tepele, l’amico di Takir.
— Sta attenta Fathma, mormorò il negro all’orecchio della compagna.
Tepele era giunto ai piedi del colle. Lo salì con una agilità da scimmia, passò a pochi passi dal cespuglio, entrò nel tugul e accese un po’ di fuoco.
D’improvviso Fathma afferrò fortemente il braccio d’Omar e lasciò uscire dalle labbra contratte una sorda esclamazione.
— Guardala! diss’ella con voce arrangolata. Guardala!
Una donna armata di fucile e affatto sola, era apparsa sul limitare del palmeto. La luna che batteva su di lei, rendeva perfettamente visibili i suoi lineamenti e il costume greco che indossava.
— Erano passati due mesi, quando una notte ebbi camminavo dinnanzi e lui camminava dietro a me.