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— Elenka! balbettò Omar che provò involontariamente un brivido.
— Appena che mi capita a tiro di fucile io l’abbatto! Ho il sangue che mi bolle e nubi di fuoco dinanzi agli occhi. Oh! la vendetta!... la vendetta!...
— Non ti muovere, padrona! Se tu l’ammazzi prima che abbia a parlare con Tepele non sapremo più mai dove potremo trovare Abd-el-Kerim. Frenati per mezz’ora.
L’almea che si era rizzata sulle ginocchia col remington in mano, tornò a sdraiarsi.
— Aspetterò, mormorò.
La greca dopo aver esitato, si era messa a salire la dirupata china saltando di sasso in sasso, di scheggione in scheggione come un’antilope. Si fermò tre o quattro volte, girò e rigirò attorno al tugul dalle cui fessure uscivano raggi di luce, poi entrò. Fathma e Omar balzarono fuori dal cespuglio, e si appostarono ai lati della porta, spingendo gli sguardi nell’interno della capanna.
— Frenati, mormorò un’ultima volta Omar.
— Non aver paura di nulla, rispose Fathma. Ora Elenka è mia!
CAPITOLO XV. — Due tigri
Tepele, che si era accoccolato accanto al fuoco, nello scorgere la greca si era subito alzato andandole incontro. Egli le baciò la mano, la fece sedere su di un angareb malandato e gettò una nuova bracciata di legne secche sul fuoco.
— Ebbene Tepele, disse la greca, con un leggiero tremito nella voce. Sai alfine qualche cosa?
— Sì, ma dov’è Takir?
— Non ha potuto venire. Su, narra, fa presto che ho l’inferno nel cuore. Dove si trova? È vivo?... È morto?...
— Posso assicurarvi che Abd-el-Kerim è vivo.
Elenka scattò in piedi come una pazza.
— È vivo!... Vivo!... ripetè ella con un’esplosione