Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Sala del Governatore.

Ibraim e Marmut.

Marmut. Vengo a darti una nuova. Sappi che il grande Alì,

Quell’uom sì formidabile, vuol terminar suoi dì.
Non so dir veramente come l’affar sia stato,
Ma so che con un colpo l’han mezzo conquassato.
Alla città tornando affaticato e stanco,
Gli si vedeva il sangue a scorrere dal fianco.
Si è fatto visitare, e l’uom che il male ha scorto,
Dissegli allegramente: pria di doman sei morto.
Alì balzò in due piedi, alzar volea la daga,
Provandosi di dare al medico la paga;
Ma forza non avendo, fece una gran cascata,

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E il medico fuggendo, gli fece una risata.

Il povero corsaro che là m’avea veduto,
Senza poter parlare, mi domandava aiuto.
Io, tirandomi indietro un po’ per la paura.
Dicogli: vi prometto di darvi sepoltura.
Prese un poco di fiato, si getta in sul soffà.
Chiamami a lui vicino, ed io mi tiro in là.
Disse: Marmut, son morto. Rispondo, o amico mio,
Spiacemi che a tal passo ci ho da venire anch’io...
Poi stralunando gli occhi, e bestemmiando in fretta,
Disse: Morir mi duole prima di far vendetta.
Ma verrò spirto 1 ignudo a vendicar miei scorni.
Io dissi nel mio core: Eh, se ci vai, non torni.
Chiamati i suoi domestici, disse a me: Tu che sei
D’Ibraim confidente, recagli i voti miei.
Digli che se mio fallo suoi sdegni ha meritato,
Ne ho pagata la pena, e mi ha punito il fato.
Digli (nel ricordarmelo da piangere mi viene)
Che il mio, quand’anche io muora, tener non gli conviene.
Che nel prezzo de’ schiavi tocca una parte a me,
E che questa mia parte io la regalo a te.
(mostrando di pianger per tenerezza
Ibraim. Ti conosco, Marmut: con simile legato
Non benefica un furbo un uom ch’è disperato.
Alì ch’è delinquente per legge, è reo di morte.
Se muor senza il carnefice, dee ringraziar la sorte,
E se a lui semivivo non troncasi la testa,
Sappia che non giustizia, ma che pietade è questa.
I beni suoi si aspettano soltanto al regio fisco,
Vero o falso il legato di un reo non eseguisco.
E perchè d’avarizia non voglio esser tacciato.
Di quel che a lui si aspetta, altr’uso ho destinato.
Marmut. (Perduto ho questa volta del bell’ingegno il frutto.
Se andò fallito il colpo, perder non voglio in tutto).

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Signore, i mercatanti aspettano impazienti

Di compensare Argenide, se venderla consenti.
Quando non si concluda, essi anderanno via,
Perderai tu l’incontro, ed io la senseria.
Ibraim. Pria che si renda2 Argenide agli avidi mercanti,
Di renderle giustizia vuo’ procurare innand:
Del pubblico interesse si aspetta a me la cura,
Ma ho pietà degli schiavi per legge di natura.
So che se alcun de’ nostri degli Europei va in mano,
Trova dai cuor pietosi un trattamento umano.
Ed io serbo nell’alma questo pensiero impresso,
Uso quella pietade che piaceria a me stesso.
Marmut. Ma signore, in tal guisa...
Ibraim.   Sono i tuoi pari, indegno,
Per cui barbaro è detto degli Africani il regno.
Pochi corsar feroci, pochi sensali avari,
Che vendon l’altrui sangue per merci o per danari,
Bastano a screditare l’onor di questi lidi,
Fan che da noi si credono della barbarie i nidi.
Uomini siam noi pure, abbiam ragione in petto,
Sentiam d’umanitade, proviam tenero affetto.
Frequenti in ogni terra si trovano gli eroi,
E trovansi per tutto i vili pari tuoi.
Marmut. Grazie del complimento. (So io quel che farò;
Gli darò una querela, e mi vendicherò.
Tanti amici ho in Marocco che gli faran la festa.
Stimo quattro zecchini più assai della sua testa).

SCENA II.

Lisauro, l’Offiziale con i Soldati, e detti.

Offiziale. Signor, qual imponesti, eccoti il reo prigione.

Marmut. (Lisauro, raccomandati alla mia protezione).
(piano a Lisauro

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Lisauro. Ibraim, qual potere di carcerar ti è dato

Un che la libertade col prezzo ha ricomprato?
Qual colpa, qual delitto, contro di me t’accende?
D’Alì forse il destino? Ciò la ragione offende.
Alì tentò svenarmi colla sua destra ardita,
Eccoti viva ancora dell’empio una ferita.
È noto del ribaldo l’ardir, la prepotenza,
E se perciò m’insulti, insulti l’innocenza.
Marmut. Anzi per tal ragione dovrebbe esser premiato.
(ad Ibraim
(Non dubitar, Lisauro, io sono il tuo avvocato).
(piano a Lisauro
Ibraim. No, non è la tua colpa aver ferito a morte
Un che se stesso espose incontro alla sua sorte.
So separare anch’io la temeraria offesa
Dalla concessa all’uomo necessaria difesa.
Dal comandato arresto pena non dei temere,
Mio bisogno è soltanto ridurti al tuo dovere.
Nè lusingar potevami vederti a me tornato,
Senza che le mie guardie ti avessero scortato.
Dimmi, e fa che il mentire non sia colpa novella:
Conosci tu una schiava che Argenide s’appella?
Lisauro. La conosco.
Ibraim.   Rammenti d’aver seco trattato?
Lisauro. So che l’amai un tempo, e che divenni ingrato.
Ibraim. Prossimo è al pentimento, chi l’error suo comprende.
Lisauro. Pentimento forzato inutile si rende.
Ibraim. Qual ragion ti ha condotto a abbandonar la Greca?
Lisauro. Il poter di Cupido che la ragione accieca.
Ibraim. La tua fiamma è Zandira.
Lisauro.   Zandira è l’idol mio.

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SCENA III.

Zandira e detti.

Zandira. No, traditore indegno, no, che tua non son io;

Tutto soffrir potei quel che a’ miei danni osasti,
Ma sofferir non posso l’amor che mi celasti.
Come potevi, ingrato, arder per me d’affetto,
Del primo amor serbando vive le piaghe in petto?
Ah che a tradire avvezzo con vergognoso eccesso,
Meco tu meditavi il trattamento istesso.
Finger la patria ardisti, scusar ti fece amore,
Scusa trovar non speri la fellonia del cuore.
Se a concepir le fiamme stata foss’io primiera,
Svelar dovea gl’impegni un’anima sincera;
E l’amor mio veggendo deluso e disprezzato,
Per sì giusta cagione, sì che ti avrei lodato.
Ma tu, perfido, fosti il seduttore audace,
Fosti tu che al mio seno rubò la cara pace;
E l’amor tuo primiero contro al dover scordato,
Una seconda vittima sagrificasti al fato.
Chi manca altrui di fede, fede trovar non speri,
Sedur più non mi lascio dai sguardi lusinghieri.
Duolmi d’averti amato, lo dico e lo protesto:
Amami, o mi disama, t’abborro e ti detesto.
Lisauro. Giusta mercè si rende a un perfido, a un ingrato,
Questo novello insulto mancava a un disperato:
Pena mi dava in morte il tuo sperato affetto;
Ora il fin de’ miei giorni con più coraggio aspetto.
Ibraim. Se la ragion ti assiste, se non perdesti il lume,
Cambiar puoi la tua sorte, cambiando il tuo costume.
Serba la data fede, torna all’amor primiero.
Lisauro. Eh la lusinga è vana. Pace sperar non spero.
Deve abborrirmi Argenide, or che un infido io sono;
E se il perdon mi offrisce, non curo il suo perdono.

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SCENA IV.

Argenide e detti.

Argenide. Ah crudel, non lo curi il mio perdon cortese?

Sazio non è il tuo core di replicarmi offese.
Di’ che tu m’odii, ingrato, di’ che mi sei nemico.
Non dir ch’io t’abborrisco, non dir quel ch’io non dico.
Tu mi lasciasti, è vero, seguendo un’altra bella;
Ma se fedel tornasti, per te sarei pur quella.
Perchè t’ho amato un giorno, quella son io d’allora;
Tu che un dì mi sprezzasti, vuoi disprezzami ancora?
Se di perdon il nome la tua alterezza offende,
Chiamala pur giustizia, quella che il tuo ti rende.
Sì, questo core è tuo malgrado il rio abbandono:
Quel ch’era tuo sprezzasti, or quel ch’è tuo ti dono.
Usane a tuo talento, di me fa ciò che brami.
Tua morirò, se m’odii; tua viverò, se m’ami.
Lisauro. (Ah, che il rimorso interno colla passion contrasta,
E i suoi contrasti il core a superar non basta).
Zandira. Se alla bontà non cedi, se non ti vince amore,
Chiuso nel sen spietato hai di una belva il core.
Se men ragione avessi d’odiare i tuoi costumi,
Spegner saprei le fiamme della tua Greca ai lumi.
La pietà, la giustizia sarebbe a me bastante,
Quando d’amore ardessi per rinunziar l’amante.
Donna, non creder mai ch’abbia a formar obbietto
Alle tue brame oneste il mio secondo affetto.
(ad Argenide
Lodo la tua costanza, loda il mio labbro stesso
Quell’amor, quella fede che onora il nostro sesso.
Noi servirem d’esempio ai traditori indegni,
Come l’onesto amore 3 ad operar c’insegni.
Tu serbando la fede a un amatore ingrato,
Io rinunziando4 un core ad altro cor legato.

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Indi decida il mondo di noi chi ha più valore,

Io cedendo un amante, tu amando un traditore.
Argenide. Mostri il tuo cor, Zandira, tenero e generoso.
Fosse così Lisauro all’amor mio pietoso!
Lisauro. (Sospirando mostra la sua agitazione.
Ibraim. Fra colei che ti sprezza, e l’altra che ti adora,
Dubiti nella scelta, e non risolvi ancora?
(a Lisauro
Marmut. Di dubitar, meschino, egli ha le ragion sue.
(ad Ibraim
Siegui l’usanza nostra; prendile tutte due.
(a Lisauro

SCENA V.

Canadir e detti.

Canadir. Ah signor, liberatemi da tanti rei timori.

Vengono tutto il giorno mercanti e compratori;
E quelli di Marocco vantano in faccia a me,
Voler la mia figliuola comprar per il suo re.5
Ibraim. Data ho a lor la parola. Mancar non fora onesto,
Quando di ritrattarla non abbiasi il pretesto.
Sarebbe una ragione dire: Altrui fu legata;
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Argenide dal sposo fu compra e riscattata.
Della metà del prezzo far io le posso un dono,
Ma dell’altra metade dispotico non sono.
E se non ha Lisauro l’alma a pietà disposta,
Mirerà l’infelice ad un serraglio esposta.
Argenide. Misera me!
Zandira.   Può darsi alma sì cruda ed empia,
Che l’onor suo calpesti, che il dover non adempia?
Lisauro. Ah d’insultar cessate un misero infelice,

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D’Argenide il riscatto sperar più non mi lice.

Quello ch’io possedeva, per onta e per mercede
Gettai nel vicin bosco di Radovich al piede.
Sparsi restaro al suolo quegl’infelici avanzi...
Marmut. Come! il denar nel bosco?
Lisauro.   Sì, lo gettai poc’anzi.
Marmut. Con licenza, signori, subito andrò ben io...
E se il denar ritrovo... (se lo ritrovo, è mio). (parte

SCENA ULTIMA.

Radovich e detti.

Radovich. Signor, vano soccorso di mendicar non giova.

Il soccorso non manca, ’ve7 Radovich si trova.
Pria di spiegar le vele verso il paterno tetto,
Tutti i schiavi Europei di riscattar prometto.
Già so di tutti il prezzo; eccolo a te dinanti:
Sciogli le lor catene, e numera i contanti.
Argenide ed il vecchio, la serva, i marinari,
Tutti tutti son pronto cambiar coi miei danari;
Qual con amor sincero quell’empio ho riscattato,
Che rendersi non teme al benefizio ingrato.
Nulla da voi richiedo in ricompensa, o amici;
Premio siami il contento di rendervi felici;
Premio co’ suoi tesori, premio conceda il Cielo
All’amor della patria, e della fede al zelo.
Ti perdonai, Zandira, l’amor che il cuor t’accese;
Mira d’un’alma ingrata le vergognose imprese.
La mia fede confronta coi tradimenti suoi.
Lascio di te medesma dispor, come tu vuoi.
Tu che ai deliri estremi fosti da amor guidato,
(a Lisauro
Pentiti dei trascorsi, torna alla sposa allato.
Ti riscattai credendoti nato in terren Schiavone,

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Godo di averlo fatto per un di tua nazione.

Tutti son miei fratelli i sudditi felici,
Che del Leon son nati sotto i gloriosi auspici.
Donna, finor piangesti per l’amor tuo schernito:
(ad Argenide
Spera mirare un giorno il tuo crudel pentito.
E tu, vecchio onorato, di cui pietoso io sono,
(a Canadir
Per le mie man ricevi di provvidenza il dono.
Ibraim generoso, alle natie contrade
Noi promettiamo il vanto recar di tua pietade.
Narrando a chi vi crede barbari ed inumani,
Che la virtude impera ancor fra gli Affricani.
Di me tu pur rammenta, narra ai corsari tuoi,
Che rispettarci imparino, che temino di noi.
Ch’è della gloria Illirica il mar pieno e la terra,
Che siam fedeli in pace, e vittoriosi in guerra.
Ibraim. Ebbi per voi finora stima, dover, rispetto;
Ora con voi mi lega un più sincero affetto.
Zandira. Ah sì, del suolo Illirico e dell’Europa intera
Sei, Radovich, l’esempio, tu sei la gloria vera.
Tu mi risvegli in petto della mia patria il vanto,
E trattener non posso per tenerezza il pianto.
Pianto di gioia è questo, di una viltà incapace.
Non ti pensar ch’io pianga pel traditor mendace.
L’amai per un inganno, poscia è l’amor durato,
Finchè quel cor non vidi di fellonia macchiato.
Ora dal sen lo stacco col più geloso impegno,
Un che vantare il nome della mia patria è indegno.
Sì, Radovich pietoso, sei liberal con tutti;
Fa che goder io possa di tua bontade i frutti.
Deh, se per mia fortuna tua il genitor mi rese,
Scordati del passato, non rammentar le offese.
Rendami il pentimento degna del tuo perdono,
Chiamami ancor tua sposa, dammi la destra in dono.

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Radovich. So che in te l’innocenza, so che onestà si onora,

Mia ti ho chiamato un tempo, mia ti dichiaro ancora.
Zandira. Oh me contenta appieno.
Argenide.   (Di me che sarà mai?)
(piano a Canadir
Canadir. (Segui a sperar nel Cielo, e rasserena i rai).
Ibraim. Ma che fai tu, Lisauro, che taci e ti confondi?
Il tuo dover conosci? sei più crudel? rispondi.
Lisauro. Dal mio dolore oppresso, dal mio rossor convinto,
Fugge il pensier dal labbro entro al mio sen respinto.
Deh! se pietade ancora per un ingrato avete,
Anime generose, voi di me disponete.
Zandira. Io più di tutti offesa, quasi a perir costretta,
Vo’ di quel cor disporre, sia grazia, o sia vendetta.
Torna al primiero laccio, torna alla sposa in seno;
E i suoi sofferti oltraggi lava col pianto almeno.
Porgi a colei la destra. (a Lisauro, che eseguisce
  Porgila a lui tu pure.
(ad Argenide, che eseguisce
Pensa alle tue vicende, pensa alle tue sventure.
(a Lisauro
E in avvenir rammenta che non v’è pace al mondo,
Quando per l’innocenza il cuor non è giocondo.
Deh Radovich pietoso, che nel mio amor confidi,
Partiam da queste arene, torniamo ai patrii lidi.
Fede, costanza, amore, solo a te il cor destina,
Sai che non sa mentire chi nata è Dalmatina.
Questo costume antico del nostro ciel si ammira,
Nuovo zel, nuova fede, chi vi comanda inspira;
E per mare e per terra siete alla gloria nati,
Oh dell’Adriaco impero popoli fortunati.


Fine della Commedia.


Note

  1. In tutte le antiche edizioni è stampato: spirito.
  2. Ed. Zatta: venda.
  3. Nel testo: amor.
  4. Ed. Pitteri: rinonziando.
  5. Nelle edd. Pitteri e Savioli c’è l’interrogativo.
  6. Nell’ed. Zatta: Sarebbe una ragione il dir che altrui legata ecc.
  7. Così l’ed. Zatta. Nell’ed. Pitteri è stampato per errore: .