Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/84

80 ATTO QUINTO
E il medico fuggendo, gli fece una risata.

Il povero corsaro che là m’avea veduto,
Senza poter parlare, mi domandava aiuto.
Io, tirandomi indietro un po’ per la paura.
Dicogli: vi prometto di darvi sepoltura.
Prese un poco di fiato, si getta in sul soffà.
Chiamami a lui vicino, ed io mi tiro in là.
Disse: Marmut, son morto. Rispondo, o amico mio,
Spiacemi che a tal passo ci ho da venire anch’io...
Poi stralunando gli occhi, e bestemmiando in fretta,
Disse: Morir mi duole prima di far vendetta.
Ma verrò spirto 1 ignudo a vendicar miei scorni.
Io dissi nel mio core: Eh, se ci vai, non torni.
Chiamati i suoi domestici, disse a me: Tu che sei
D’Ibraim confidente, recagli i voti miei.
Digli che se mio fallo suoi sdegni ha meritato,
Ne ho pagata la pena, e mi ha punito il fato.
Digli (nel ricordarmelo da piangere mi viene)
Che il mio, quand’anche io muora, tener non gli conviene.
Che nel prezzo de’ schiavi tocca una parte a me,
E che questa mia parte io la regalo a te.
(mostrando di pianger per tenerezza
Ibraim. Ti conosco, Marmut: con simile legato
Non benefica un furbo un uom ch’è disperato.
Alì ch’è delinquente per legge, è reo di morte.
Se muor senza il carnefice, dee ringraziar la sorte,
E se a lui semivivo non troncasi la testa,
Sappia che non giustizia, ma che pietade è questa.
I beni suoi si aspettano soltanto al regio fisco,
Vero o falso il legato di un reo non eseguisco.
E perchè d’avarizia non voglio esser tacciato.
Di quel che a lui si aspetta, altr’uso ho destinato.
Marmut. (Perduto ho questa volta del bell’ingegno il frutto.
Se andò fallito il colpo, perder non voglio in tutto).

  1. In tutte le antiche edizioni è stampato: spirito.