La Costa d'Avorio/31. La spedizione notturna

31. La spedizione notturna

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Capitolo XXXI

La spedizione notturna


Era calata la notte da qualche ora, ma la capitale del Dahomey era ancora in orgia.

Sulla grande piazza ove erano state scannate tante vittime, e nelle vie adiacenti, la folla beveva e danzava furiosamente attorno a dei falò giganteschi, al suono dei più barbari e più strani istrumenti che si possa immaginare.

La birra di sorgo, il ginepro ed il rhum di tratta scorrevano a fiumi, ma quegli insaziabili bevitori non ne avevano mai abbastanza. Vuotati dei barili, altri se ne portavano accanto ai fuochi, e danzatori e suonatori ricominciavano la gazzarra.

Dovunque si udivano echeggiare urla, spari d’armi da fuoco e dovunque scoppiavano risse furibonde che terminavano a colpi di coltello, di lancia o di fucile, ma chi si occupava dei morti?... Era molto se lasciavano ancora in vita i feriti.

Nell’ampio palazzo reale l’orgia doveva aver raggiunto il colmo. Tutte le strette finestre, che avevano l’aspetto di feritoie, erano illuminate e da quelle uscivano pure urla e canti di gente già ebbra e spari d’armi. Di tratto in tratto delle palle uscivano e sibilavano per la piazza abbattendo qualche negro e qualcuna delle amazzoni che intrecciavano danze dinanzi alla piattaforma.

Era Geletè che si divertiva a mandare quei pericolosi regali ai suoi fedelissimi sudditi o che provava qualche nuovo fucile ricevuto in regalo dai capi della costa.

Mentre la popolazione tutta della capitale, il re, i ministri, i soldati e le amazzoni continuavano la gazzarra con crescente animazione, una piccola truppa d’uomini, che era uscita quasi di nascosto dall’apatam dell’ambasciata, attraversava rapidamente le vie meno frequentate e meno illuminate, tenendosi rasente alle pareti delle capanne.

Era composta d’Alfredo, d’Antao, di Gamani, dell’amazzone e suo padre. Nessuno portava lo splendido costume dei borgani, ma tutti erano armati di fucili.

Chi li avesse veduti, avrebbe potuto crederli un piccolo gruppo [p. 226 modifica]di soldati del re incaricati di mantenere l’ordine nei quartieri più lontani della città o di eseguire qualche segreta missione.

Passarono dinanzi a parecchi falò, senza rispondere all’invito dei bevitori e delle danzatrici di arrestarsi per vuotare un bicchierino e scomparvero fra un dedalo di viuzze oscure e assolutamente deserte, arrestandosi in una piccola piazza coperta da sette od otto gigantesche palme.

— Ci siamo, — aveva detto il padre di Urada, arrestandosi in un luogo dove maggiore era l’oscurità.

— Dove si trova?... — chiese Alfredo, con una viva emozione.

— Dietro a quella muraglia, — rispose il dahomeno, indicando un’alta e massiccia parete che univa le grandi capanne occupanti i due angoli della piazza.

— Sei certo di non ingannarti?

— Oh!... Certissimo.

— I sacerdoti veglieranno però nella stanza del mio Bruno?...

— Stanno gozzovigliando nella capanna centrale che contiene i feticci più pregiati ed a quest’ora saranno tutti ubriachi, avendo io veduto introdurre nel recinto due casse piene di bottiglie di ginepro mandate dal re.

— Sì, — disse Gamani, che aveva osservato attentamente la muraglia. — Il padroncino deve trovarsi dietro a questa cinta, nella piccola capanna sacra.

— Allora andiamo a torcere il collo ai sacerdoti ed a liberare il ragazzo, — disse Antao. — Mi vendicherò su quelle canaglie delle terribili emozioni fattemi provare quest’oggi dal gran macellaio Geletè I.

— Sì, affrettiamoci, — rispose Alfredo. — Finchè dura l’orgia della popolazione non abbiamo da temere di venire importunati, ma è meglio sbrigarsi presto. Hai la fune, Gamani?...

— Sì, padrone.

— Sei capace di giungere sulla muraglia?...

— Sì, purchè abbia un punto d’appoggio qualunque.

— L’avrai. —

Si appoggiò contro la parete piantandosi per bene sulle gambe e inarcando la robusta schiena, poi disse ad Antao:

— Sali che io non cederò. —

Il portoghese, con un solo slancio, si trovò sulle spalle dell’amico.

— Ci sono, — disse. [p. 227 modifica]

— Manca molto alla cima?...

— Meno di due metri, Alfredo.

— Tocca a te, Gamani.

Il negro, agile e lesto come tutti quelli della sua razza, s’arrampicò rapidamente su quei due corpi, posò i piedi sulle spalle del portoghese, poi si slanciò in alto aggrappandosi all’orlo superiore della muraglia.

Issarvisi sopra, mettersi a cavalcioni, sciogliere la fune a nodi che portava stretta attorno al corpo e gettare un capo ai compagni, fu l’affare di un solo momento.

Alfredo fu pronto a salire ed a raggiungerlo, gettando uno sguardo nell’interno della cinta.

Quantunque l’oscurità fosse profonda, vide tra le palme che formavano dei grandi gruppi, parecchie grandi capanne disposte in semi-cerchio ed alcune più piccole che stavano disseminate lungo le muraglie.

Tutte quelle abitazioni erano oscure e parevano disabitate, ma una, la più vasta e la più lontana, era illuminata ed anche abitata, poichè vi si sentivano voci rauche, grida, scrosci di risa e canti.

— Sono i sacerdoti che vuotano le bottiglie del re, — disse Gamani ad Alfredo.

— Credo che non ci daranno alcun disturbo.

— E la capanna abitata da Bruno?... La vedi, Gamani?... — chiese Alfredo, con ansietà.

— È quella laggiù, — rispose il negro, indicandogli una piccola costruzione, col tetto piatto, che si rizzava fra quattro grandi sicomori. — La riconoscerei fra mille.

— Ah!... È là, il povero ragazzo!... E forse ci aspetta da parecchie notti e chissà fra quali ansie!... Ma noi questa notte lo salveremo. —

Intanto Antao, Urada e suo padre, dopo d’aver fatto il giro della piazza per essere certi di non essere spiati, li avevano raggiunti.

Gamani lanciò la fune dall’altra parte della muraglia e pel primo si calò nel recinto, nascondendosi sotto la cupa ombra d’un albero di dimensioni gigantesche. Alfredo e tutti gli altri, nel più profondo silenzio, lo seguirono.

— Finalmente!... — mormorò Antao, che non poteva stare zitto due minuti. — Se quei beoni non lasciano le bottiglie, rapiremo il nostro piccolo Bruno. Che bella sorpresa per Kalani!... Creperà di rabbia. [p. 228 modifica]

— Non ne avrà il tempo, — disse Alfredo, con voce sorda. — Dopo Bruno mi occuperò di lui. Guidaci, Gamani.

— Perlustriamo prima i dintorni, — consigliò il padre di Urada. — Se qualche sacerdote ci scorge darà l’allarme ed allora più nessuno di noi uscirebbe vivo di qui.

— Quanti sacerdoti vi sono nel recinto?... — chiese Alfredo.

— Ordinariamente ve n’erano dodici, — rispose Gamani.

— Anche se ci sorprendono, non saranno tanti da darci dei fastidi.

— Tanto più che saranno ubriachi, — aggiunse Antao.

— Andiamo a perlustrare il recinto, Gamani, — disse Alfredo. — Questo luogo ti è famigliare?

— Sì, padrone, — rispose il negro.

— Voi ci aspetterete qui, — continuò il cacciatore, rivolgendosi ad Antao, Urada ed al vecchio. — Sorveglierete la fune affinchè non ci venga tagliata la ritirata.

— Nessuno si avvicinerà senza il mio consenso, — disse il portoghese. — Morte di Giove!... Il primo che mi capita fra i piedi lo mando a tener compagnia ai defunti monarchi di questa grande macelleria.

— Silenzio ed aprite gli occhi. —

Alfredo e Gamani abbandonarono l’ombra cupa delle palme e tenendosi nascosti dietro ad un filare di cespugli, si diressero verso la capanna principale, dalle cui finestre, che erano assai basse, si poteva vedere comodamente quanto succedeva nell’interno.

Procedevano cauti, tenendosi curvi verso terra e girando dovunque gli sguardi per timore che vi fosse qualche sacerdote in sentinella dinanzi alle capanne contenenti i feticci, ma pareva che per quella notte i guardiani del sacro recinto si occupassero più delle bottiglie di ginepro regalate dal re che delle divinità protettrici del regno.

Giunti presso la grande capanna, Alfredo e Gamani, dopo essersi assicurati che al di fuori non vi era alcuno, guardarono cautamente attraverso una finestra. Alla luce d’una lampada fumosa, che spandeva all’intorno dei riflessi sanguigni, scorsero sette od otto negri adorni d’orpelli d’ogni specie, sdraiati attorno ad una stuoia, mentre altri tre o quattro, probabilmente ubriachi, russavano in un angolo della stanza.

Quei sacerdoti trincavano allegramente le bottiglie del re, [p. 229 modifica]ridendo e schiamazzando. Dovevano averne bevute già parecchie, poichè non erano più in grado di mantenersi ritti e di quando in quando cadevano sconciamente a terra, non risollevandosi che dopo molte fatiche.

— Bah!... — disse Alfredo a Gamani. — Questi ubriachi non sono più in caso di opporre resistenza e non ci saranno d’impiccio. Ci sono tutti?...

— Mi sembra che non manchi alcuno, — rispose il negro.

— Allora affrettiamoci a salvare il mio Bruno. —

Tornarono rapidamente verso i compagni, informandoli del felice esito della loro perlustrazione e certi di non venire inquietati da quegli ubriaconi, si diressero senz’altro verso una piccola capanna, entro la quale doveva trovarsi il ragazzo.

La capannuccia era chiusa da una specie di cancello coperto da stuoie, che impediva di vedere nell’interno, ma Alfredo, che in quel momento decisivo si sentiva tanto forte da sfondare una parete, con uno strappo violento lo scardinò, gettandolo a terra.

Senza attendere che Gamani accendesse la lanterna che aveva portato con sè, il cacciatore si slanciò nell’interno, chiamando:

— Bruno!... Bruno!... Svegliati!... Siamo noi!... —

Invece di udire la ben nota voce del fratello, udì una voce minacciosa che chiedeva:

— Chi viene a disturbare Ahantu?...

— Morte di Urano e di Nettuno!... — esclamò Antao. — Chi è che ha parlato?... —

Alfredo si era arrestato come fosse stato fulminato, ma il suo stupore fu però di breve durata. Strappò a Gamani la lanterna, impugnò una pistola e s’avanzò risolutamente nella capanna coll’arma tesa, pronto ad abbattere qualsiasi ostacolo.

Un negro, col capo coperto di penne d’uccelli di rapina ed il corpo avvolto in un ampio mantello di cotonina rossa a disegni strani che somigliavano a teschi di morto incrociati con ossa umane, si era bruscamente alzato da un lettuccio formato da stuoie sovrapposte.

Nella destra teneva uno di quei lunghi e larghi coltellacci usati dai dahomeni.

Vedendo entrare quegli sconosciuti, con un balzo repentino si gettò in fondo alla capanna sfondando, con un urto irresistibile, la leggera parete di vimini e si slanciò all’aperto fuggendo attraverso i viali del recinto e urlando con quanta voce aveva. [p. 230 modifica]

Alfredo, Antao e Gamani, passato il primo istante di stupore, gli si erano lanciati dietro minacciando di ucciderlo se non si arrestava, ma il negro, che pareva fosse impazzito per lo spavento, continuava a fuggire come un cervo, girando e rigirando attorno alle capanne ed ai tronchi degli alberi.

— Fermati, non vogliamo farti male!... — gridavano Alfredo e Gamani, mentre il portoghese, furibondo, giurava su tutti i pianeti di scorticarlo vivo se non cessava dall’urlare.

Finalmente, dopo una lunga corsa, il sacerdote si cacciò in una capanna. I due bianchi e Gamani credettero di poterlo raggiungere e costringerlo al silenzio, ma si erano ingannati, poichè quell’indemoniato aveva già dato l’allarme e che allarme fragoroso!... Armatosi d’una specie di mazza, si era messo a percuotere, con una foga diabolica, una grande lastra di metallo che pendeva dal tetto della capanna, facendo un tale fracasso da svegliare anche un ubriaco. Pareva che tuonassero dei piccoli pezzi d’artiglieria.

Gamani, con un pugno poderoso, aveva mandato a gambe levate quell’ostinato, ma ormai tutti gli abitanti del recinto e dei dintorni dovevano aver udito quella campana di nuova specie.

— Siamo presi!... — aveva esclamato Antao, impallidendo. — Ma prima scorticherò vivo questo birbante!...

— Non ci hanno ancora in mano, — disse Alfredo. — Prima che gli abitanti siano qui, noi avremo superata la muraglia, Gamani, lega ben bene quest’uomo.

— È già legato, padrone, — rispose il negro. — Credo anzi che non si muoverà per un bel po’, poichè non dà segno di vita.

— Meglio così: orsù, in ritirata.

— E Bruno?... — chiese Antao.

— Andiamo a frugare le capanne prima, ma temo che non si trovi più qui. Forse Kalani l’avrà condotto seco, ma lo ritroveremo. Antao, non dubitare o meglio li troveremo tutti e due. —

Abbandonarono precipitosamente la capanna e si slanciarono attraverso ai viali. Avevano veduti alcuni lumi dalla parte opposta del recinto e s’affrettavano per tema di venire sorpresi dai sacerdoti che stavano vuotando le bottiglie del re.

Ai piedi della muraglia s’incontrarono con Urada e suo padre. Un breve e rapido dialogo s’impegnò fra il vecchio ed Alfredo.

— Nulla?...

— Nulla; il ragazzo è scomparso. Credi che si trovi da Kalani? [p. 231 modifica]

— Lo sospetto, — rispose il vecchio.

— Come potremo saperlo?...

— Interrogando uno dei sacerdoti.

— Ma è stato dato l’allarme.

— Portiamone via uno e andiamo ad interrogarlo in un posto sicuro.

— Hai ragione: a me Gamani!... Vieni, Antao!... Voialtri salite intanto sulla muraglia. —

Stava per slanciarsi attraverso ai viali per piombare addosso ai sacerdoti che erano già usciti dalla capanna e che s’avanzavano fra le piante, tentennando e sorreggendosi l’un l’altro per mantenersi un po’ ritti, quando Urada lo trattenne, dicendogli:

— Odi, padrone?... —

Alfredo ed i suoi compagni si erano arrestati. Al di là della muraglia si udivano delle persone schiamazzare ed interrogarsi reciprocamente.

— Hanno dato l’allarme, — dicevano alcune voci.

— Che sia scoppiato il fuoco?...

— Che i sacerdoti corrano qualche pericolo?...

— Che i feticci sieno sdegnati pei sacrifici di quest’oggi?...

— Bisogna andare a vedere.

— Andate ad avvertire i soldati.

— Morte di papà Giove e di tutti i suoi figli!... — esclamò Antao, rabbrividendo. – Vedo la mia testa nelle mani dei macellai di Geletè!...

— Non è ancora perduta la nostra testa, — disse Alfredo, con voce risoluta. — Nè Kalani, nè Geletè ci avranno così facilmente nelle loro mani. —

Poi volgendosi verso Gamani:

— È tutto chiuso il recinto?...

— Vi è una sola porta che di notte si chiude.

— Ebbene, seguitemi.

— Ma cosa vuoi fare, Alfredo? – chiese Antao.

— Lo saprai. Per ora sgominiamo i sacerdoti. —