La Costa d'Avorio/16. Le formiche carnivore
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Capitolo XVI
Le formiche carnivore
Se il portoghese avesse abitato per qualche anno in quelle regioni equatoriali, non avrebbe di certo riso vedendo avanzarsi, attraverso alla foresta, quella colonna di formiche che si distendeva come un serpente gigantesco e tanto meno avrebbe chiamato pazzo il negro, se avesse conosciuto da quale specie di insetti stavano per venire assaliti.
L’Africa, al pari dell’America meridionale, è straordinariamente popolata di formiche di varie specie, quasi tutte assai più grandi di quelle che abbiamo in Europa e, cosa davvero strana per insetti di così piccole dimensioni, quasi tutte avidissime di carne e quindi ferocissime.
Alcune, come le bianche per esempio, che vivono in nidi di forma piatta che rassomigliano a giganteschi funghi, si limitano a divorare i legni vecchi delle piante di cotone o le travi delle capanne dei negri, compromettendo la sicurezza delle abitazioni; altre nere, che si tengono nascoste nelle sabbie, si accontentano di mordere ferocemente i piedi dei negri, causando acuti dolori, ma vi sono altre ancora che vogliono delle vittime da scarnare.
Tali sono le termiti, le più grandi della specie e le formiche rosse, le quali si nutrono di carne, cercandola dovunque con una avidità senza pari.
Guai all’uomo o all’animale che sorprendono addormentati presso i loro formicai od anche in piena foresta durante le loro peregrinazioni!... In un momento li coprono, mettono in opera le loro piccole ma formidabili tenaglie e malgrado la resistenza disperata della vittima, in poco tempo, anzi in pochi minuti, la divorano viva non lasciando che le ossa, ma così ripulite che il migliore preparatore anatomico non farebbe di più.
Ma ve ne sono altre ancora ben più formidabili delle termiti, delle rossastre, delle biancastre, delle formiche acqua bollente, ecc. e queste sono quelle conosciute dai popoli dell’Africa equatoriale col nome di lascicuai.
Questi insetti sanguinari sono gli zingari della specie, poichè non hanno dimore stabili, quindi non fabbricano nidi. Errano continuamente in mezzo alle foreste, marciando in file lunghe parecchi chilometri, divorando sul posto quanti animali, piccoli o grossi, feroci o inoffensivi possono sorprendere ed obbligando perfino i negri a fuggire, quando quei piccoli mostri incontrano sulla loro via dei villaggi.
Quelle formiche che s’avanzavano attraverso al bosco in fitti battaglioni, dovevano essere state cacciate in quella direzione dai negri fuggiaschi, onde cercare di sbarrare la via agli inseguitori e forse per far loro perdere gli animali.
L’incendio che avvampava in direzione del fiume, bruciando una prateria di erbe secche, non doveva aver avuto altro scopo e le lascicuai, che hanno una così grande paura del calore da tenersi persino al riparo dei raggi solari, si erano affrettate a deviare, fuggendo nel bosco.
Fortunatamente Asseybo le aveva scorte a tempo e sospettando un tiro birbone da parte dei ladri, e con quella rapida marcia era riuscito a far passare la piccola carovana, prima che la via fosse stata tagliata da quell’esercito di feroci insetti.
— Un ritardo di pochi minuti e noi venivamo arrestati e forse per parecchi giorni, — disse Alfredo, che si era affrettato ad allontanarsi da quella fiumana di corpicini nerastri.
— Ma credi che questa emigrazione continui molto?... — chiese Antao.
— Chissà di quanti miliardi di formiche si comporrà quell’esercito. Non vedi come la colonna si mantiene stretta?...
— Infatti non è più grossa d’un serpente, ma che ordine di marcia!... I nostri soldati non camminerebbero meglio.
— E guarda come quei battaglioni mantengono una linea rigorosamente diritta e compatta.
— È vero, Alfredo, e neppure un insetto si sbanda.
— Gli ufficiali non lo permetterebbero.
— Gli ufficiali?...
— Sì, Antao. Se noi potessimo avvicinarci senza correre il pericolo di venire assaliti, potrei farti vedere i capi che marciano sui fianchi delle colonne per impedire qualsiasi sbandamento.
— Oh!... È incredibile!... Quanta intelligenza in insetti così piccoli!...
— Quegli ufficiali appartengono alle caste guerriere.
— Ma come, forse che le formiche sono divise in caste?...
— Certamente, Antao. Le termiti, per esempio, sono divise in due caste nettamente distinte che non si possono mai mescolare: le guerriere, che sono le più forti e le più grandi, incaricate esclusivamente di difendere i formicai, e le industriali che devono solamente occuparsi dello scavo delle gallerie sotterranee e del fornimento dei viveri.
— È incredibile! — esclamò Antao, al colmo dello stupore.
— Ma vi è di più, amico mio. Certe specie di formiche, oltre queste due caste ne hanno una terza costituita dagli schiavi.
— Morte di Saturno!... Ma vi sono anche le formiche schiaviste?...
— Sì, Antao, e queste sono le formiche chiamate amazzoni e quelle color sangue che abitano l’America meridionale.
— Ma le formiche schiave appartengono alla stessa specie?...
— Mai più. Quando le amazzoni o le color sangue hanno bisogno di schiavi, intraprendono delle spedizioni contro le formiche dette nero-cineree, nè più nè meno come fanno i di schiavi dell’Africa centrale. Essendo più forti, vincono facilmente le avversarie, invadono i loro formicai, non senza però incontrare là dentro una tenace resistenza, e s’impadroniscono delle larve nero-cineree. Più umane dei cacciatori di negri, non le maltrattano, nè incrudeliscono contro i vinti, ma se le portano nei loro formicai, le affidano alle cure di altre schiave, le fanno nutrire al pari delle altre e quando sono completamente sviluppate le obbligano a lavorare, ma senza adoperare la violenza.
— E non pensano a ribellarsi, quelle disgraziate prigioniere?...
— Tutt’altro, Antao, poichè fra le diverse caste, tra le quali non vi è differenza di trattamento, regna una buona armonia invidiabile e le guerriere e le schiave finiscono coll’amarsi come se appartenessero ad una stessa famiglia.
— Quanto avrebbero da imparare certi popoli da quei piccoli esseri!... — esclamò Antao. — Si può dire che sono maestri di civiltà.
— Padrone, — disse in quel momento Asseybo. — Prima che le lascicuai s’accorgano della nostra presenza, affrettiamoci a frapporre il fiume fra noi e loro. Le erbe della prateria vanno spegnendosi e le formiche potrebbero deviare ancora.
— Ma ritroveremo le tracce dei fuggiaschi, ora che la cenere le avrà ricoperte?...
— Se i ladri hanno attraversato il fiume in questo luogo, vuol dire che esiste un guado da loro conosciuto. Se lo troviamo anche noi, sulla sponda opposta ritroveremo anche le loro tracce.
— È vero, Asseybo. Andiamo a cercare questo guado. —
L’incendio della prateria, che si estendeva dalle rive del Volta ai primi alberi della grande foresta, era già cessato in parecchi luoghi per mancanza di combustibile e si poteva tentare il passaggio senza correre alcun pericolo. Avvampava però ancora verso il nord, seguendo il corso del fiume, lanciando in aria nuvoloni di fumo denso e nembi di scintille, ma i grossi tronchi degli alberi pareva che opponessero una barriera insuperabile e forse più di tutto era il terreno umido che impediva alle fiamme di estendersi.
La piccola carovana, che non voleva perdere troppa via per non lasciare tempo ai ladri di dileguarsi dopo di essersi sbarazzati del bottino, si avventurò sulla cenere ancora calda che copriva la pianura, ma i tre negri, che erano scalzi, furono ben presto costretti a salire sui cavalli per non guastarsi le piante dei piedi.
La traversata si compì senza incidenti e mezz’ora dopo i cinque uomini ed i due animali si trovavano sulla riva sinistra del Volta.
Questo fiume, che è uno dei più grandi che solcano le regioni della Costa d’Avorio, quantunque bagni il possedimento inglese, è ancora oggidì poco conosciuto e non si sa quale sia la lunghezza del suo corso, nè si conosce precisamente dove abbia le sue sorgenti.
Pare però che venga formato da due considerevoli corsi d’acqua ai quali furono ultimamente imposti i nomi tedeschi di Schwarger e di Weisser e che avrebbero le loro sorgenti l’uno nella regione di Tiebas, verso il 12° di lat. N e 13° di long. E e l’altro sulla regione dei Gurunssi verso il 13° di lat. ed il 16° di long.
Si sa che si apre il passo attraverso le regioni dei Dafina, dei Mandinghi e dei Gamman, che poi piega verso l’est scorrendo lungo la frontiera degli Ascianti per scaricarsi in mare per un largo estuario, nei dintorni della cittadella di Ada, una delle più piccole del possedimento inglese della Costa d’Avorio.
Là dove era giunta la piccola carovana, il fiume aveva una larghezza considerevole, superiore ai quattrocento metri, ma l’acqua era bassa e poteva permettere il guado, senza il pericolo di un assalto da parte dei coccodrilli che sono numerosi su quel corso d’acqua.
— Il passaggio sarà facile, — disse Asseybo, che era sceso sulla sponda per misurare la profondità della corrente. — Se i ladri lo hanno attraversato, noi possiamo fare altrettanto.
— Credi che siano passati di qui? — chiese Alfredo.
— Sì, padrone, poichè laggiù vedo che il fiume si restringe e l’acqua sarà tanto alta da affogare un cavallo grande quanto un elefante. —
I due europei si spogliarono non conservando che le maglie, poi, tenendo nella sinistra le carabine, scesero nel fiume dietro ad Asseybo, seguìto dai due schiavi che conducevano i cavalli.
Sott’acqua ad una profondità di un metro, pareva che si estendesse un banco di sabbie di notevole larghezza, poichè nè a destra nè a sinistra il fondo non accennava a mancare. Se si prolungava molto innanzi, vi era la probabilità che la carovana potesse guadare il fiume senza bagnare le casse contenenti le provviste e le munizioni.
La corrente, che era debole, favoriva la traversata; il negro però non procedeva che con estrema prudenza e se non dopo d’aver ben esplorato il fondo con un bastone acuminato, non ignorando quali ospiti pericolosi ricoverava il fiume. Quelle precauzioni gli salvarono la vita, giacchè nel momento che stava per varcare un canaletto aperto nel banco di sabbia, mise i piedi su di una massa ruvida che subito gli sfuggì, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
Immaginandosi di che cosa si trattava, fu pronto a retrocedere e fu una vera fortuna per lui, perchè tutto d’un tratto una coda mostruosa, armata di grosse scaglie ossee, emerse sferzando l’acqua a destra ed a sinistra, col fragore del tuono.
— Morte di Urano! — gridò Antao. — Un ippopotamo?...
— Un coccodrillo! — gridò Alfredo. — Fermi tutti!... —
Il mostro, che forse sonnecchiava in fondo al fiume, sentendosi disturbare, aveva avventato quel poderoso colpo di coda sperando di abbattere l’importuno; vedendo però che nessuno era caduto sul banco, cacciò fuori la sua orribile testa, mostrando la sua enorme gola e battendo le potenti mascelle armate di lunghi denti.
Comprese senza dubbio con quali nemici aveva da fare, perchè subito s’immerse e, contrariamente a quanto si aspettava il portoghese, s’affrettò ad allontanarsi.
— Ecco un coccodrillo pauroso, — disse Antao, che aveva armata la carabina. — Mi avevano detto che erano formidabili, ma sembra che questo non lo fosse affatto.
— Che i coccodrilli siano realmente terribili predatori è vero, sono però anche eccessivamente prudenti, — rispose Alfredo. — Se ti hanno narrato che assalgono sempre quando si vedono delle persone vicine, hanno mentito.
— L’avevo anche letto sui libri di molti viaggiatori.
— Fole, Antao. Questi sauriani si tengono quasi sempre lontani dagli uomini e si guardano bene dall’assalirli. Non dico però che se tu cadessi in un fiume popolato da quei bestioni ti lascerebbero raggiungere tranquillamente la sponda.
— Si dice che è pericoloso attingere acqua nei fiumi da essi abitati.
— È vero, per le donne che sono inermi. Quei mostri le attendono nascosti presso le rive e quando quelle disgraziate si curvano per riempire i loro vasi, con un salto le afferrano e le trascinano in fondo al fiume.
Del resto sono così diffidenti, che basta la vista di un battello qualunque per metterli in fuga. Se sono molti si lasciano talvolta anche avvicinare; se sono pochi prendono il largo e difficilmente si lasciano uccidere.
— Ed il coccodrillo che abbiamo fatto fuggire non verrà nuotando sott’acqua, a tagliarci le gambe?
— Non crederlo. Basterà che Asseybo batta l’acqua col suo bastone per farlo fuggire. —
Il negro, passato il primo istante di sorpresa, si era rimesso in cammino continuando a frugare il fondo per accertarsi della sua solidità e per non mettere i piedi su un secondo rettile che poteva ammazzarlo con un solo colpo di coda.
Il banco fortunatamente si prolungava attraverso a tutto il fiume e mantenendosi sempre compatto, sicchè la piccola carovana potè, dopo venti minuti, giungere felicemente alla riva opposta, la quale era coperta da alberi altissimi e frondosi.
Asseybo stava per salire il pendìo, quando mostrò ai due europei un banco mezzo nascosto da un gruppo di rocce, sul quale stavano raggruppati dodici o quindici coccodrilli fra grandi e piccoli, scaldantisi ai torridi raggi del sole.
— Che magnifica collezione! — esclamò Antao. — Mi sentirei tentato di sparare qualche palla contro quei mostruosi animali.
— Sarebbe polvere sprecata, — rispose Alfredo. — Le loro scaglie sono così dure, da far rimbalzar la palla della tua carabina. I soli punti vulnerabili sono le ascelle e la gola, ma da rettili che ci tengono alla loro pelle, non mostrano nè le prime, nè la seconda.
— Ma... guarda, Alfredo!... — esclamò il portoghese, stupito. — Non vedi tu degli uccelli entrare nelle gole aperte di quei mostri?...
— Sì, — rispose il cacciatore sorridendo.
— E non chiudono le bocche per mangiarli?... È vero che mi sembrano piccoli.
— Sono gli amici dei coccodrilli.
— Quegli uccelli?...
— Sì, Antao. Sono i troichilus, volatili che mai si separano da quei formidabili rettili quando questi si tengono a galla e che rendono a quelle bestiacce dei buoni servigi, sbarazzando le loro mandibole dei numerosi insetti che le ingombrano.
— Ed i coccodrilli rispettano quei piccoli volatili?
— Lo vedi come si cacciano impunemente fra le potenti mascelle, soffermandovisi a lungo.
— Non avrei mai creduto che quei bruti sapessero cos’è la riconoscenza.
— Ah!...
— Cos’hai?...
— Vedi quei piccoli animali che s’avanzano prudentemente sulle sabbie della riva?... —
Il portoghese guardò nella direzione indicata e vide, a due o trecento passi, quattro animali, grossi un po’ più d’un gatto, ma col corpo più lungo, le gambe corte, il muso assai acuto, gli orecchi corti ma larghi, ed il pelame lanoso, lungo, giallo ruggine, a riflessi fulvi verso la coda.
Procedevano lentamente, procurando di tenersi celati dietro le ripiegature del terreno, ma di quando in quando si arrestavano per rimuovere le sabbie con un lesto colpo di zampa.
— Dei gatti qui? — esclamò Antao. — Forse dei gatti selvatici?
— No, sono i più fieri nemici dei coccodrilli.
— Quegli animali così piccoli?... Vuoi burlarti di me?...
— Non ne ho mai avuta l’intenzione. Quegli animaletti sono gli icneumoni e fanno guerra ai coccodrilli divorando le uova che questi depongono fra le sabbie onde il sole le faccia schiudere.
— I furbi!...
— Ma quanto sono utili, mio caro. Senza gli icneumoni ben presto i coccodrilli diventerebbero così numerosi, da rendere i fiumi dell’Africa inaccessibili anche alle grosse barche. Orsù, lasciamo quegli animaletti alle loro occupazioni e pensiamo ai ladri o guadagneranno tanta via da non poterli più raggiungere. Stiamo in guardia, poichè ora siamo sul territorio degli Ascianti. —