L'avvenire!?/Capitolo ventisettesimo

Capitolo ventisettesimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo ventisettesimo
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CAPITOLO VENTISETTESIMO




Non so il perchè; ma nella mia antica vita, nel pomeriggio della domenica io era sempre malinconico, i colori svanivano e tutto per me era privo d’interesse; le ore, che di solito scorrevano veloci, perduta la loro rapidità, volgevano lentamente verso il tramonto. Forse n’era causa l’associazione delle idee; ma io [p. 164 modifica]malgrado le circostanze assai diverse, mi sentii estremamente accasciato nella prima domenica che passai nel 20° secolo.

Eppure non era senza un motivo che mi sentiva così; non era l’indefinita malinconia di cui ho parlato, ma un sentimento giustificabile, cagionato dalla mia situazione. Il signor Barton nel suo sermone, colla costante allusione al profondo abisso morale esistente fra il secolo al quale appartenevo e quello in cui mi trovavo, aveva scosso fortemente il sentimento del mio abbandono. Pensandoci bene, egli aveva parlato filosoficamente; però le sue parole dovevano persuadermi che io, quale rappresentante di un’epoca aborrita, ispiravo a coloro che mi circondavano la compassione mista a curiosità e ripugnanza.

L’amorevolezza insolita colla quale mi trattavano il dottor Leete e la sua famiglia e specialmente la bontà d’Editta, mi avevano impedito di comprendere il loro vero sentimento a mio riguardo, che doveva essere quello della generazione intera alla quale essi appartenevano.

Il pensiero di ciò era affannoso, pure lo avrei potuto sopportare per quanto si riferiva al dottor Leete e alla sua gentile moglie; ma la persuasione che Editta dividesse lo stesso sentimento mi affliggeva oltre misura.

L’effetto accasciante prodotto su me da questa tardiva manifestazione di un fatto evidente, pose in chiaro a’ miei occhi una circostanza, che il lettore probabilmente ha già indovinato — io amavo Editta.

E non vi è da meravigliarsi. L’occasione che favorì il principio della nostra intimità fu quando le sue mani mi trassero dal vortice della pazzia. Il fatto che l’interesse ch’essa mi dimostrava, era il soffio vitale che mi sosteneva in questa nuova vita e mi rendeva possibile il sopportarla, e la mia abitudine di considerarla come l’intermediario fra me e il mondo che mi circondava, erano le circostanze che avevano già prima deciso il risultato, che la sua ammirabile amabilità personale solo doveva giustificare. Era inevitabile che essa mi apparisse, come è solitamente il caso degli innamorati, quale una donna unica nel mondo.

Ora, che ad un tratto mi rendeva conto delle folli speranze [p. 165 modifica]che cominciavo ad accarezzare, non soffrivo soltanto ciò che un innamorato può soffrire; ma una gran solitudine, un completo abbandono invasero il mio animo, rendendomi infelice, più di quanto lo sarebbe stato un altro nel mio caso.

I miei ospiti vedevano chiaramente ch’io era abbattuto, e cercavano ogni mezzo per distrarmi; Editta specialmente, come potevo scorgere, si affliggeva per cagion mia; ma per me che ero stato tanto pazzo di sognare d’ottenere qualcosa di più della sua amicizia, nella quale invece non riconosceva che compassione; per me dico non c’era più speranza. Dopo il mezzogiorno rimasi nella mia stanza, e verso sera mi recai in giardino; il cielo era annuvolato e spirava un’aria autunnale calda e tranquilla; passando vicino all’appartamento sotterraneo mi colse il desiderio d’entrarvi e là mi sedetti silenzioso.

«Questa,» pensai, «è l’unica mia casa, rimarrò qui per sempre». Cercavo un soccorso e provavo di trovare una triste consolazione rivivendo nel passato e richiamando alla mente le persone care che mi circondavano nella mia prima vita. Tutto era vano, ogni cosa era morta là dentro; già da cento anni splendevano le stelle sulla tomba di Editta Bartlett e su tutte quelle dell’intera nazione.

Il passato era spento, schiacciato sotto il peso di un secolo ed io era escluso dal presente; in nessun luogo v’era posto per me; io non era nè morto, nè veramente in vita.

Mentre parlavo ad alta voce, fui sorpreso da queste parole, dette con voce timida: «Scusatemi di avervi seguito, signor West!».

Mi voltai quasi impaurito e vidi Editta che stava sulla porta della stanza sotterranea, e mi guardava sorridendo con un’espressione di affettuoso dolore.

«Se v’importuno, mandatemi via,» disse, «ma vi vedevamo contristato e ce ne duole, mi avevate promesso di avvisarmi quando la malinconia vi avrebbe sopraffatto, e non avete mantenuta la parola».

Mi alzai e mi diressi verso la porta, provando di sorridere, ma credo che non vi riuscii, poichè l’aspetto dell’amabilità di Editta mi richiamò ancor più sensibilmente alla memoria, la causa della mia sventura.

[p. 166 modifica]«Mi sento solo, ecco tutto,» dissi, «non avete mai pensato che la mia condizione è molto più triste di quella d’ogni altro essere umano, e che davvero occorrerebbe una nuova parola per descriverla?»

«Oh, non dovete parlare così, non dovete sentire tanto dolore, non ve lo permetto!» esclamò cogli occhi umidi. «Non siamo noi i vostri amici? La colpa è vostra se non ci lasciate il piacere di esservi amici, così non potreste più sentirvi solo».

«Voi siete buona con me, più di quanto lo possa comprendere, ma credete voi ch’io non sappia, che il vostro affetto è compassione, dolce compassione; ma sempre soltanto compassione?

Sarei un pazzo, se non sapessi ch’io non posso figurare davanti a voi come gli altri uomini, perchè io sono un mostro straniero, una creatura naufragata in mare sconosciuto e scampata dalla morte, il cui abbandono, malgrado la sua stranezza, vi muove a pietà; siccome foste tanto benigni, io fui così stolto da figurarmi la possibilità di immedesimarmi del secolo, di sentire come uno di voi, di comparire come un altro uomo della vostra specie; ma il sermone del signor Barton m’insegnò quanto sia vano un tal pensiero, e quanto a voi deve parer grande l’abisso che ci divide».

«Oh! questo orribile sermone!» esclamò essa piangendo, «quanto meglio sarebbe stato se non l’aveste ascoltato! Che cosa sa il signor Barton di voi? Vecchi libri polverosi gli hanno parlato dei vostri tempi, ecco tutto; che v’importa di lui, non v’inquietate per ciò ch’egli ha detto; non lo sapete che noi, perchè vi conosciamo, pensiamo altrimenti?

Oh! signor West, voi non immaginate ciò che io provo nel vedervi così afflitto; non posso reggere a questo dolore. Come posso fare per persuadervi che noi sentiamo e pensiamo ben diversamente?»

Come allora, quand’essa venne a me nell’altra crisi del mio destino, mi stese le mani in atto d’aiuto, e come allora le afferrai; il suo petto agitato da una violenta emozione lasciava indovinare i battiti del cuore e le sue dita tremavano fra le mie mani. In lei, combatteva la pietà, come ira divina, contro gli ostacoli che [p. 167 modifica]la condannavano all’impotenza; la compassione femminile non apparve mai sotto più dolce aspetto. Tanta bellezza e tanta bontà m’intenerirono, e l’unica risposta opportuna mi sembrò quella di dirle la verità, invero io non nutrivo la minima speranza; ma non temeva neppure d’irritarla, poichè era tanto pietosa.

Così le dissi. «Sono un ingrato, di non mostrarmi contento della bontà che mi usaste e mi usate ancora; ma siete cieca e non vedete che questo non basta alla mia felicità? non vedete che ciò succede, perchè io sono un pazzo e oso dirvi che vi amo?»

A queste mie parole essa arrossì e chinò gli occhi: ma non tentò di liberar dalle mie le sue mani, stette alcuni istanti immobile sospirando profondamente, poi arrossì ancor più di prima e mi guardò con un incantevole sorriso.

«Siete ben certo di non essere voi il cieco?» disse; e fu tutto; ma non chiedevo altro, poichè ciò mi diceva, per quanto fosse incredibile, che questa raggiante figlia d’un secolo dorato, m’offriva in dono non solo la sua pietà, ma anche il suo amore. E pensavo che dovesse essere una deliziosa allucinazione, anche quando la strinsi fra le mie braccia.

«Se ho perduto il senno,» esclamai, «lasciatemi sempre così».

«Sono io che ho perduto il senno,» mormorò essa liberandosi dalle mie braccia, quando appena avevo gustata la dolcezza delle sue labbra.

«Oh! Oh! che cosa dovete pensare di me che mi sono quasi slanciata al collo di un uomo che non conosco che da una settimana; non era mia intenzione che lo indovinaste così presto; ma mi dolevo tanto per voi, che non sapevo più che cosa dicessi, no, no; voi non mi vedrete più se non saprete prima chi sono; in seguito, signor mio, dovrete domandarmi umilmente perdono perchè pensate — e ne sono certa — che io vi ho dimostrato troppo presto il mio amore. Quando saprete chi sono, converrete meco che era dovere e debito di amarvi al primo incontro e che nessuna fanciulla di sentimenti retti avrebbe al mio posto potuto agire diversamente».

Come si può facilmente supporre, sarei stato felicissimo di [p. 168 modifica]rinunciare alle spiegazioni, ma Editta era decisa di non lasciarsi più baciare, finchè venisse giustificato ogni sospetto per la troppa fretta di regalarmi il suo amore ed io volentieri accompagnai il grazioso indovinello in casa.

Quando fummo vicino a sua madre, essa, arrossendo, le sussurrò qualche cosa nell’orecchio e corse via.

Ed ora mi doveva esser noto quanto di più sorprendente si sia presentato nel corso della mia vita; appresi dalla signora Leete, che Editta era nientemeno che la pronipote della mia perduta fidanzata, Editta Bartlett.

Costei dopo avermi pianto per quattordici anni, fece un matrimonio di stima e lasciò un figlio che fu il padre della signora Leete. La Signora Leete non aveva conosciuto sua nonna, ma tenutala sempre in gran conto, avendo udito a parlar molto di lei, diede a sua figlia il nome di Editta; questa circostanza fece sì che la fanciulla, crescendo, s’interessasse a tutto ciò che si riferiva alla sua bisnonna, e specialmente alla tragica istoria della supposta morte del suo fidanzato nell’incendio della sua casa.

Questo fatto era proprio adatto ad accendere la fantasia d’una giovinetta romantica, ed il caso poi che nelle sue vene scorresse il sangue dell’infelice eroina aumentava l’interesse di Editta; un ritratto di Editta Bartlett con alcune carte, fra le quali un piego di lettere mie, costituivano un caro ricordo della famiglia; il ritratto rappresentava una bellissima fanciulla di cui si potrebbe immaginare quanto di più dolce e di più poetico vi sia; le mie lettere poi davano ad Editta soggetto di farsi un’idea chiara della mia personalità, e quelle due cose unite bastavano per fare rivivere la vecchia e triste istoria nella giovinetta, che soleva dire per ischerzo ai suoi genitori, ch’essa non andrebbe a marito finchè non trovasse un amante come Giuliano West, e uno simile al giorno d’oggi non c’era più.

Tutto questo era naturalmente il prodotto dell’esaltazione giovanile di una fanciulla, non mai occupata da una propria storia d’amore, e non vi sarebbero state conseguenze se in quella tal mattina, nel giardino di suo padre, la volta crollata non avesse palesato l’identità d’un abitatore in quel luogo sotterraneo, e [p. 169 modifica]l’immagine nel medaglione sospeso al collo non fosse stata riconosciuta per quella di Editta Bartlett; di modo che, in relazione con altre circostanze, si dedusse che io non potevo essere altri che Giuliano West, ed anche se non fosse stato il caso d’un ravvivamento, disse la signora Leete, che un simile evento, a suo credere, avrebbe influito potentemente sulla vita di sua figlia.

La supposizione che per una disposizione del destino, la sua sorte doveva essere unita alla mia, avrebbe avuto per quasi ogni altra donna un’attrattiva irresistibile.

Ed ora mi trovavo nel caso di giudicare se essa aveva avuto troppo fretta nel regalarmi il suo amore alla mia prima dichiarazione, considerando che alcune ore dopo il mio ritorno alla vita, fu a lei che mi rivolsi con maggior confidenza, cercando una consolazione nella sua compagnia. Io credo che in questo tempo l’amore si sviluppa più presto e si manifesta più apertamente che nel secolo decimonono.

Lasciai la signora Leete per recarmi da Editta; quando la trovai, le presi le mani fra le mie, beandomi lungamente nella contemplazione del suo dolce viso; in questo sguardo risorse la memoria di quell’altra Editta, da cui mi separò un sì terribile avvenimento, ed il mio cuore era colmo di sentimenti deliziosi, teneri e delicati, poichè questa rammentandomi la mia perdita, ne compensava il dolore.

Mi sembrava che dai suoi occhi mi guardasse Editta Bartlett, offrendomi una consolazione con un sorriso; la mia sorte era non solo la più strana, ma la più felice che abbia potuto toccare ad un uomo, non ero più solitario ed abbandonato in questo mondo straniero; e il mio amore che credeva perduto, si era personificato e mi riconsolava.

Quando finalmente, trasportato dalla riconoscenza e dalla tenerezza, strinsi quell’adorabile fanciulla tra le mie braccia, le due Editte si riunirono nel mio pensiero, formandovi un insieme che non si sciolse più, di modo che non era possibile distinguerle l’una dall’altra.

Osservai che Editta era confusa: una così strana conversazione quale la nostra in questo pomeriggio, non ha certo mai avuto [p. 170 modifica]luogo fra fidanzati; essa desiderava ch’io le parlassi molto di Editta Bartlett e del mio amore per lei, e ricompensava le mie tenere parole dirette ad un altra, con lagrime, sorrisi e strette di mano.

«Voi non dovete amare troppo me in me stessa,» disse, «al suo posto sarò molto gelosa e non sopporterò che la dimentichiate. Voglio dirvi qualche cosa di straordinario; non credete che gli spiriti qualche volta ritornino sulla terra per compiere un opera che stia loro a cuore? Se vi dicessi, che ho pensato talora, che il suo spirito viva in me — che il mio vero nome sia Editta Bartlett e non Editta Leete, che pensereste voi? Io non lo posso sapere, noi non possiamo dire precisamente chi siamo; ma lo si può sentire. — Vi stupite nell’osservare quanto abbia influito la sua sulla mia vita? Così, vedete, non vi occorre fatica per amarmi; se rimanete fedele a lei, io non diventerò facilmente gelosa».

Il dottor Leete era uscito e non lo vidi che sul tardi. Da quanto parve egli era preparato alla notizia che gli recavo e mi strinse cordialmente la mano.

«In circostanze abituali, signor West, direi che questa promessa di matrimonio è avvenuta dopo conoscenza troppo breve; ma le nostre, sono circostanze tutt’altro che comuni.

Per essere sincero, dovrei dire,» aggiunse ridendo, «che malgrado ch’io consenta con gioia a questa promessa di matrimonio, voi non dovete ringraziarmi, poichè il mio consenso è una pura formalità; compresi che questo doveva succedere, appena spiegato il segreto del medaglione. Oh mio Dio!, credetemi, se Editta non ci fosse stata per sciogliere il voto della sua bisnonna, temo che la fedeltà di mia moglie avrebbe avuto da sostenere una dura lotta».

Alla sera il giardino era rischiarato da una magnifica luna; Editta ed io passeggiammo fino a mezzanotte, familiarizzandoci col nostro amore.

«Che cosa avrei fatto, se non mi aveste amata?» esclamò essa. «Io temeva molto che ciò accadesse, e che cosa avrei dovuto fare? eppure sentivo d’essere consacrata a voi. Tosto che [p. 171 modifica]ritornaste alla vita, ne fui sicura come se essa mi avesse detto ch’io dovevo esser vostra, perchè essa non potè esserlo; ma ciò non poteva avverarsi che per la vostra volontà. Oh! quanto volontieri subito quella mattina vi avrei detto chi ero; ma non osavo aprir la bocca e non volevo che papà e mamma ve lo dicessero».

«E dev’essere proprio questo che impedivate a vostro padre di dirmi!» ripresi, richiamando alla mia mente il discorso udito, mentre rinveniva dal mio sbalordimento.

«Appunto questo,» disse Editta ridendo. «Lo avete indovinato; papà non è che un uomo e pensava che vi sareste sentito più a posto dicendovi chi eravamo; egli non pensava affatto a me; ma la mamma sapeva ciò che desideravo e venne fatta la mia volontà. Non avrei mai potuto guardarvi in faccia, se aveste saputo chi sono e mi sarebbe parso d’importunarvi, d’impormi a voi; così temo che lo pensiate adesso ch’io mi vi sono imposta; pure non era certo la mia intenzione, poichè so che ai vostri tempi le ragazze dovevano nascondere i loro sentimenti come un peccato; e perchè considerare un peccato se si amava prima di averne il permesso? o forse gli uomini allora s’indispettivano quando delle ragazze li amavano? Adesso non pensano così, nè gli uomini, nè le donne; per me non lo capisco, nè punto, nè poco; questa dev’essere una di quelle stranezze che mi dovrete spiegare; con tutto ciò, non credo che Editta Bartlett sia stata sciocca al pari delle altre».

Dopo aver tentato varie volte di separarci, senza mai riuscirvi, Editta si decise finalmente a darmi la «buona notte». Mentre stavo per deporre sulle sue labbra proprio l’ultimo bacio, essa si ritrasse e disse con malizia: «C’è una cosa che m’inquieta.

Perdonate, davvero Editta Bartlett, di avere sposato un altro? Secondo i libri, pare che gli amanti dei vostri tempi fossero più gelosi che teneri e perciò ve lo domando. Mi togliereste un gran peso dal cuore assicurandomi che non siete geloso del mio bisnonno, perchè ha sposato la vostra fidanzata. Posso, ora che sarò nella mia stanza, dire al ritratto della mia bisnonna che le perdonate la sua infedeltà?»

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Lo crederà il lettore, questa furba osservazione, fatta o no a bella posta, mi toccò evidentemente, ma quell’impressione guarì e distrusse una specie di sentimento doloroso come di gelosia che avevo difatti provato, senza rendermene ben conto, dopo che la signora Leete mi aveva parlato del matrimonio di Editta Bartlett. Anche, tenendo fra le mie braccia Editta Leete, non avevo pensato ancora che non avrei potuto farlo, se non fosse avvenuto quel matrimonio. La maliziosa domanda di Editta fece svanire la nube del mio sciocco umore.

Risi e la baciai.

«Potete assicurarla del mio perdono completo,» dissi.

«Pensate,» mi rispose «che se avesse sposato un altro in luogo del nostro bisnonno, la cosa ora sarebbe ben diversa!»

Quando fui nella mia stanza, non apersi il telefono musicale, per farmi cullare dal suono delle dolci melodie, com’era la mia abitudine, poichè i miei pensieri mi procuravano una musica ancora migliore di un’orchestra del vigesimo secolo; essa m’inebbriava, e verso il mattino m’addormentai.