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Lo crederà il lettore, questa furba osservazione, fatta o no a bella posta, mi toccò evidentemente, ma quell’impressione guarì e distrusse una specie di sentimento doloroso come di gelosia che avevo difatti provato, senza rendermene ben conto, dopo che la signora Leete mi aveva parlato del matrimonio di Editta Bartlett. Anche, tenendo fra le mie braccia Editta Leete, non avevo pensato ancora che non avrei potuto farlo, se non fosse avvenuto quel matrimonio. La maliziosa domanda di Editta fece svanire la nube del mio sciocco umore.

Risi e la baciai.

«Potete assicurarla del mio perdono completo,» dissi.

«Pensate,» mi rispose «che se avesse sposato un altro in luogo del nostro bisnonno, la cosa ora sarebbe ben diversa!»

Quando fui nella mia stanza, non apersi il telefono musicale, per farmi cullare dal suono delle dolci melodie, com’era la mia abitudine, poichè i miei pensieri mi procuravano una musica ancora migliore di un’orchestra del vigesimo secolo; essa m’inebbriava, e verso il mattino m’addormentai.


CAPITOLO VENTOTTESIMO




«È un poco più tardi dell’ora fissatami per svegliarla. Ella dormiva più profondamente del solito, signor West.»

La voce era del mio servitore Saverio. Mi rizzai sul letto e guardai intorno stupito; mi trovava nella mia camera sotterranea, il dolce chiarore della lampada che ardeva sempre nella stanza quando c’era io, si spandeva sui muri e sui mobili. Al mio letto stava Saverio con in mano un bicchiere di Sherry che il dottor Pillsbury mi aveva ordinato di bere, risvegliandomi dal sonno mismerico, per scuotere le funzioni fisiche addormentate.

«Beva questo subito,» disse egli, mentre lo fissavo sbalordito, «ella sembra molto stanco, le farà bene...»