L'avaro fastoso/Atto IV
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Atto III | Atto V | ► |
ATTO QUARTO.
SCENA PRIMA.
Il Cavaliere e Fiorillo.
Cavaliere. Poiché mio padre dorme, profitterò del tempo. Andrò a veder mia sorella: tu glielo dirai quando ei sarà risvegliato.
Fiorillo. Sì, signore.
Cavaliere. Sai tu se il conte di Casteldoro sia in casa?
Fiorillo. Sì, signore. L’ ho veduto rientrare, ed è salito per andare, io credo, da madama Dorimene.
Cavaliere. (A parte) Faccia quanto può, e quanto sa. No, il conte non è per me un rivale a temersi. Son sicuro del cuor di Eleonora, e non dispero di guadagnar l’animo di madama Araminta. (parte
SCENA II1
.
Fiorillo, poi il Conte.
Fiorillo. Eh, signor cavaliere. Capisco bene che non siete molto contento. So a poco presso tutti i vostri disegni, e tutti gli impedimenti che v’imbarazzano... Oh! avrò di che divertire la curiosità di Frontino. (va a sedere vicino all’appartamento
Conte. (Da sé, non badando a Fiorillo) Sono stanco: sono annoiato. Sempre dell’indifferenza, sempre un’aria di disprezzo, di non curanza. Un uomo della mia sorte! Io! che avrei potuto scegliere, e che avrei potuto farmi desiderare... (vedendo Fiorillo) È egli in casa il signor marchese?
Fiorillo. Sì, signore. Egli era un poco affaticato dal viaggio, e presentemente riposa.
Conte. (A parte) Quanto sua figlia è amabile! quanto è gentile! Sono ancora penetrato e confuso ripensando con quanta
cortesia, con quanta bontà, sono stato da lei e dalla zia ricevuto. La visita che loro ho fatta mi ha colmato di giubbilo, di
consolazione2. Qual differenza fra la politezza di quelle dame, e le maniere basse e triviali di queste donne che non conoscono né la civiltà, né la convenienza. Ah! signora marchesina del Bosco, se foste ricca quanto siete bella e gentile!...
Ma chi sa? Ho concepito nella mia mente un progetto... Se potessi sperare di ritrovar il marchese docile e ragionevole... Ma eccolo risvegliato3
SCENA III4
Il Marchese ed i suddetti.
Marchese. (Strofinandosi gli occhi, chiama) Fiorillo.
Fiorillo. Signore.
Marchese. Mio figlio?
Fiorillo. E sortito, signore.
Marchese. Perchè non m’hai?... Dove è andato?
Fiorillo. Andava, mi disse, dalla signora marchesina.
Marchese. (Da sè) Voglio anch’ io... (a Fiorillo) La carrozza.
Fiorillo. Ma i cavalli...
Marchese. (Con calore) Bene, bene, benissimo. La carrozza.
Fiorillo. Andrò a vedere. (parte)
SCENA IV5
Il Conte ed il Marchese.
Conte. Voi volete sortire, signor marchese?
Marchese. Vorrei andar da mia fi... avrei da dirle... bene, bene, benissimo.
Conte. Mi sono procurato, poco fa, l’onore di riverirla. Era lungo tempo ch’io non l’aveva veduta. Ella ha perfettamente adempito quanto nella sua tenera età prometteva. Le sue grazie si
sono aumentate a proporzione degli anni. Il suo talento ha fatto progressi maravigliosi. Permettete, signore, ch’io mi congratuli con esso voi. Voi possedete un tesoro.
Marchese. Oh! voi siete, signor conte.... Sì, è una buona ragazza. Ella non ha, se vogliamo... ma... per il carattere, per i costumi... bene, bene, benissimo.
Conte. Signore, le sue qualità, il suo merito e i suoi diciott’anni deggiono sollecitarvi a procurarle un accasamento.
Marchese. Sicuro è per questo ch’io.... Ma a proposito.... mi sovvengo ora... che avete voi inteso di dire quando?... Non avete detto... prestarmi?
Conte. Ma mi pare che, nell’atto di ritirarvi, voi avevate cambiato di sentimento.
Marchese. Signor no. Non è questo... Voi non mi avete... eppure ho parlato schietto.
Conte. In ogni maniera, signore, non avrei potuto servirvi. Non avrei potuto parlare a madama Araminta. Se sapeste come sono poco contento di lei e di sua figlia! come questo trattato di matrimonio comincia a divenirmi noioso! Quanto ne sono disgustato e pentito!...
Marchese. (Da sé, con maraviglia) Oh, oh!... ciò sarebbe.... eh, eh, perchè no?
Conte. Che non ho fatto per meritarmi la loro stima e la loro amicizia! una casa ornata, come voi vedete, carrozze superbe, cavalli i più rari, un finimento di diamanti di centomila lire...
Marchese. Centomila lire di diamanti? (con ammirazione)
Conte. Così è. Tutti gli hanno veduti. Madama Araminta ella stessa è restata sorpresa.
Marchese. Grande... grande... magnifico... bene, bene, benissimo... generoso...
Conte. E con tutto questo, non vedo che ingiustizia, che ingratitudine.
Marchese. Bene, bene, benissimo.
Conte. (Maledettissimo intercalare!) (Da sè, con dispetto)
Marchese. (Da sé) Ah! se ciò... se Eleonora... se mio figlio...
(al Conte) Per Bacco, s’io fossi nel caso vostro..... Sì..... lor direi francamente, liberamente... finirla, finirla, meglio è finirla.
Conte. Ah! s’io avessi usate tutte queste attenzioni ad una persona di merito e di qualità, quanto meglio avrei fatto, signor Marchese.
Marchese. Sicuro. Se voi... certamente.
Conte. Credete voi che un uomo di qualche grado, un personaggio di qualità... come voi per esempio, rifiutasse di accordarmi una sua figliuola in isposa?
Marchese. Anzi... un galantuomo... un uomo che.... oh! cosa dite?... Anzi, anzi, sicuramente.
Conte. Ah! signor marchese, voi m’incoraggite...
Marchese. Oh! io... quando si tratta... ci vado in questo momento.
Conte. Dove, signore?
Marchese. Da mia figliuola, (chiama) Fiorillo.
Conte. Posso dunque sperare?...
Marchese. (Chiama più forte) Fiorillo.
SCENA V6
Fiorillo e i suddetti.
Marchese. (A Fiorillo) La mia carrozza.
Fiorillo. Il cocchiere non c'è, signore.
Marchese. (A Fiorillo, con isdegno) Ma dove?7.... (al Conte) Potreste.. voi prestarmi?...8 Ritorno subito.
Conte. L’alloggio non è lontano. Potete andarvi a piedi. Non sono che quattro passi.
Marchese. Quattro passi, quattro passi!... basta... ci vado, addio, addio. Ci rivedremo (da sé, partendo) (Centomila lire in diamanti9 (A parte con Fiorillo)
SCENA VI10.
Il Conte, poi Frontino.
Conte. Coraggio. Il marchese è incantato. La figlia è guadagnata: il mio affare va bene. Ma non conviene perder di vista (chiama) Frontino? Non vorrei che colassù s’impossessassero delle gioje. Frontino, dico, Frontino.
Frontino. Signore, io era occupato a disegnare il desert.
Conte. Va immediatamente da mia sorella, dille ch’io la prego discendere: che ho qualche cosa d’interessante a comunicarle, e le dirai nel medesimo tempo, ma piano, che nessuno ti senta, che la prego di portar seco le gioje che le ho consegnate.
Frontino. Ma, signore... la cena.... conviene ch’io faccia tutto, ch’io sia per tutto.
Conte. E come va la cucina? Come vanno i preparativi?
Frontino. Benissimo; ma ci siamo scordati due articoli essenzialissimi.
Conte. E sono?
Frontino. Il caffè ed i liquori.
Conte. I liquori infiammano il sangue.
Frontino. Ma il caffè?
Conte. Sciocco! il caffè la sera? Non sai che impedisce di dormire?
Frontino. Ah! signore. Far mancare il caffè! per si poca spesa far perdere la riputazione al vostro mastro di casa!
Conte. Signor mastro di casa, andate a fare la commissione che vi ho ordinata.
Frontino. (Da, sé partendo) Far mancare il caffè! lo pagherei piuttosto dalla mia saccoccia. Ma no, sarebbe capace di dire che ho rubato sulle altre spese. (parte
SCENA VII11.
Il Conte solo.
È una cosa terribile. Il lusso è arrivato ad un segno.... Grazie al cielo, non ho mai speso un soldo per fantasia, per capriccio. Il mio danaro l’ho impiegato sempre con una saggia circospezione. Non so ancora qual sia il carattere della marchesina del Bosco; ma quando sarà ella la contessa di Casteldoro, le insegnerò io a condursi alla maniera da me praticata, ad apprezzar se medesima, ed a burlarsi delle scioccherie del comune degli uomini.
SCENA VIII12.
Dorimene, Frontino, ed il suddetto. (Frontino non fa che entrare da una parte con Dorimene, e sortire solo dall'altra.)
Dorimene. Eccomi, signor fratello. Che avete voi?
Conte. Scusate, se vi ho incommodata. Voi avete lo scrignetto del finimento?
Dorimene. Eccolo qui. Lo volete?
Conte. (Prendendolo) Sì, sì: vi dirò poi la ragione.
Dorimene. Fate bene a riprenderlo, poiché per Eleonora sarebbe inutile: non è possibile di persuaderla.
Conte. Peggio per lei: se ne pentirà. Udite, sorella. Ho una confidenza da farvi.
Dorimene. Voi sapete quanto m’ interesso di cuore in tutto quello che vi riguarda.
Conte. Ho veduto la marchesina del Bosco: ho veduto sua zia, ed ho delle buone ragioni per credere ch’io son padrone, s’io voglio, di ottenere questa damina in isposa.
Dorimene. E il signor marchese?
Conte. Oh! il signor marchese: bene, bene, benissimo. Son sicuro del suo consentimento.
Dorimene. Ma voi sapete in qual disordine sono gli affari suoi. La sposereste voi senza dote?
Conte. Oh! questo poi, no. Grazie al cielo, non ho perduto il cervello.
Dorimene. E come dunque vorreste fare?
Conte. Ecco qui il progetto. Vi dirò, prima di tutto, ch’io non sono né cieco, né balordo: che mi sono accorto che Eleonora aveva il cuor prevenuto, e non credo ingannarmi immaginandomi che il signor cavaliere sia il favorito. Lasciamo da parte l’impertinenza del padre e del figlio d’introdursi in casa mia, sotto la maschera della amicizia: perdono loro questa azione inconsiderata, perchè può contribuire alla riuscita del mio disegno. Ritorniamo dunque al progetto. Faremo in sorta, voi ed io unitamente, che madama Araminta dia sua figliuola in isposa al signor cavaliere coi centomila scudi di dote, a condizione che il marchese riceva egli stesso il danaro, e lo assicuri sopra tutti i suoi beni che non sono che ipotecati. Io mi comprometto dal canto mio di domandargli e di ottenere la marchesina sua figlia, e i centomila scudi che dovrà ricevere, o che avrà ricevuti. In questa maniera, ei contenta suo figlio, ei marita sua figlia, senza sborsare un soldo. Che ne dite, sorella mia? Voi vedete che il mio progetto è sicuro.
Dorimene. L’immaginazione è bellissima: ma la riuscita mi par difficile.
Conte. Non siate inquieta per questo. Voi vedrete che tutto riuscirà bene. Il marchese è andato espressamente per ciò a ritrovare sua figlia. Vado io stesso a raggiungerlo, e mi lusingo che oggi tutto sarà stabilito e concluso. E queste gioje... può essere... Sorella mia, voi mi vedrete far dei prodigi. (parte
SCENA IX13.
Dorimene, poi Eleonora.
Dorimene. L’idea di mio fratello è soggetta a troppe difficoltà: ma se riuscisse, né avrei la più grande satisfazione! Oh quante persone in una volta ci troverebbero il loro conto!
Eleonora. (Sulla porta, e con timidezza) Signora, siete sola, mi pare.
Dorimene. Sì, figliuola mia. Venite, venite, non ci è nessuno.
Eleonora. Mia madre scrive... ho preso il tempo per discendere un poco...
Dorimene. Avete qualche cosa da dirmi?
Eleonora. Perdonate la mia curiosità. Avete voi levato dal vostro scrittoio lo scrignetto col finimento di gioje?
Dorimene. Sì, è vero: il conte me l’ha domandato. Siete voi di ciò malcontenta?
Eleonora. Anzi contentissima!
Dorimene. Voi avete dunque dell’avversione per i diamanti?
Eleonora. Eh! non signora. Ma... voi sapete il mio segreto.
Dorimene. (Con tuono di confidenza) Eleonora mia... vi sono delle cose in aria.
Eleonora. Davvero? Consolatemi se lo potete.
Dorimene. Mio fratello si è accorto che voi non l’amate.
Eleonora. Oh! sì: lo credo senza difficoltà.
Dorimene. Egli ha sospetto sopra del cavaliere.
Eleonora. Meschina di me! temo che non lo dica a mia madre.
Dorimene. Ma, figliuola carissima, vostra madre finalmente lo dee sapere: bisogna dirglielo assolutamente, e voi dovete abbandonar questa inclinazione.
Eleonora. Abbandonarla! oh cielo! non è possibile.
Dorimene. Io vi amo: voi lo sapete, ma non soffrirò più lungamente....
Eleonora. (Riguardando verso la scena) Ah! vado via.
Dorimene. Che avete, Eleonora?
Eleonora. Non vedete? Il cavaliere. (in atto di ritirarsi
Dorimene. Sì, sì, andate. Farete benissimo.
Eleonora. (Da sé, ritirandosi lentamente) Muoio di volontà di restare. (si ferma di lontano
SCENA X14.
Il Cavaliere e le suddette.
Cavaliere. (A Dorimene) Signora (da sé, scoprendo Eleonora) (Cieli! Eleonora mi vede e parte?)
Dorimené. (Al Cavaliere che guarda fissamente Eleonora) Che vuol dire, signor cavaliere... (voltandosi e scoprendo Eleonora) Madamigella vostra madre vi aspetta.
Eleonora. (Distante e con timidezza) Signora, vi domando perdono, avrei ancora una parola da dirvi.
Dorimené. Ditela. Spicciatevi.
Eleonora. (Piano, accostandosi a poco a poco a Dorimene) Quelle gioje spero non ritornéranno più.
Dorimene. No, no, non dubitate. Non ritornéranno più.
Cavaliere. Signore, s’io sono d’incommodo, me né anderò.
Dorimene. (Un poco alterata) Come vi piace, signor cavaliere.
Cavaliere. (Da sè, allontanandosi un poco) Mi trattano un poco troppo severamente. (va verso l’appartamento)
Dorimene. (Ad Eleonora, con ironia) Ebbene, madamigella, avete ancora qualche altra cosa da dirmi?
Eleonora. No, signora, ma...
Dorimene. Ma che?
Eleonora. Il signor cavaliere che cosa vi ha fatto?
Dorimene. (Sorridendo) In verità, voi mi fate ridere.
Eleonora. Oh! io... non rido.
Cavaliere. (A Dorimene, ritornando indietro) Mio padre non è nell’appartamento. Sapreste dirmi, signora, dove egli sia?
Dorimene. Egli è andato da vostra zia: andate, andate ancora voi, e colà lo ritroverete.
Cavaliere. Vengo di là in questo punto: non ci è nessuno, mia zia e mia sorella sono sortite.
Dorimene. (Ad Eleonora, con un poco di collera) Ma... signorina mia...
Eleonora. (Mortificata fa una riverenza a Dorimene, guardando il Cavaliere) Scusatemi.
Dorimene. (Ad Eleonora con ironia) Bene! a maraviglia.
SCENA XI15.
Araminta ed ì suddetti.
Araminta. (A parte, e sorpresa) Ah! ah! (ad Eleonora) Mia figlia, la mercante di mode vi aspetta, andate a vedere i pizzi che le avete ordinati.
Eleonora. (Mortificata fa una riverenza, e parte.
Cavaliere.(Fa egli pure una riverenza, e vuol partire.
Araminta. (Al Cavaliere) Se ne va il signor cavaliere? Mi dispiace: avrei qualche cosa da dirgli.
Dorimene. (Al Cavaliere, con vivacità) Restate, restate, signore. Conviene ch’io mi giustifichi in faccia vostra, (ad Araminta) Comprendo, madama, che voi siete al fatto di qualche cosa: vi prego di credere ch’io non ne ho parte alcuna, e che questo incontro, quantunque accidentale, mi è dispiaciuto infinitamente.
Araminta. (Con amicizia a Dorimene, prendendola per la mano) Vi conosco, madama.
Cavaliere. Ah! signore mie, se la mia presenza....
Araminta. (Piano a Dorimene) Fatemi un piacere, vi prego, andate a rivedere mia figlia. Povera fanciulla! la mortifico qualche volta, ma l’amo teneramente, procurate di consolarla.
Dorimene. Con tutto il cuore, madama. (parte
SCENA XII16.
Araminta ed il Cavaliere.
Cavaliere. Non credo mai, signora, che la mia condotta...
Araminta. Parliamoci chiaro, signori, che pretendete voi da mia figlia?
Cavaliere. Ah! madama, se potessi lusingarmi di meritarla...
Araminta. Niente manca alla vostra persona per farvi aggradire e desiderare. La vostra nascita, il vostro carattere, la vostra condotta, tutto parla in vostro favore, e reputo per me un onore che voi abbiate fissati gli occhi sopra mia figlia, ma... permettete ch’io ve lo dica, lo stato della vostra casa...
Cavaliere. È verissimo: lo conosco, e lo confesso io medesimo, mio padre è il miglior uomo del mondo. Sì è sempre lasciato condurre, e l’hanno pessimamente condotto.
Araminta. Ma poiché voi conoscete questa verità, e voi la dovete conoscere meglio d’ogn’altro, con qual cuore osereste di sommergere in questo abisso di disordini e di scompigli una fanciulla che è nata comoda, e che ha una dote assai conveniente? Vorreste esporre i suoi beni al pericolo evidente di essere dissipati in pochissimo tempo da una cattiva amministrazione?
Cavaliere. Di grazia, ascoltatemi. Vi svelo sinceramente il mio cuore. Ho passato qualche anno nelle truppe, come sapete, ma non ho potuto continuare a servire perchè mi mancavano i modi per sostenermi, e far onore alla mia nascita ed al grado mio militare. Ritornai alla casa paterna, vivendo incognito, senza aderenze, soffrendo la mia sfortuna, e nascondendo il mio rammarico e la mia situazione. Qualche amico della nostra famiglia, conoscendo il mio stato, ed interessandosi per i miei vantaggi, mi suggerì che una dote onesta avrebbe potuto mettermi in grado di continuare la mia carriera. Mi fece sortire dalla mia solitudine, e m’incoraggi a dichiararmi e a produrmi. Mi fu parlato di voi, madama, del merito di vostra figlia, e dell’opulenza della sua dote. Vidi madamigella Eleonora. Alla vista dell’amabile sua persona, alla discoperta delle rare sue qualità, cessò in me ogni immagine d’interesse. L’amor solo occupò intieramente il mio cuore. Desiderai d’essere ricco per renderla fortunata, e sentii più vivamente il disordine della mia casa. I miei amici s’accorsero della mia agitazione, mi compatirono, e non vollero abbandonarmi. Mi hanno parlato della vostra bontà, madama, in una maniera a farmi tutto sperare, e mi hanno incoraggilo a manifestarvi la rispettosa mia inclinazione. Mi sono reso ai loro consigli, e mi lusingavo che l’amore, il rispetto e la riconoscenza mi avrebbero meritato un giorno l’amor della figlia, e la bontà e la considerazione della madre.
Araminta. Le vostre viste mi paiono oneste, e non so condannarle. Non isperate ch’io vi accordi mia figlia; ma la vostra situazione mi penetra al vivo, e sono disposta a fare per voi tutto quello che da me può dipendere.
Cavaliere. La vostra cortesia mi consola. Ma, oh cieli! Voi mi rifiutate il prezioso dono di vostra figlia?
Araminta. Non vi lusingate di averla, signor cavaliere. Voi non siete per ora nel caso di maritarvi, e non lo sarete, può essere, da qui a dieci anni. Siate libero, e lasciate in libertà mia figlia di secondare il destino. Se voi aggradite le prove della mia amicizia, ecco quel che posso far per voi. Vi offro la somma necessaria per acquistare un grado onorifico militare, un reggimento ancora, se lo volete. Vi darò il danaro che occorre, e voi me lo assicurerete sulla vostra parola d’onore.
Cavaliere. E s’io muoio, madama?
Araminta. Se voi morite.... perderò, può essere, il mio danaro, ma tutto per me non sarà perduto. Avrò la consolazione di aver reso giustizia al merito ed all’onestà.
Cavaliere. Che nobiltà di procedere! che generosità senza esempio! ma... vostra figlia...
Araminta. Non ci pensate, vi dico, voi non l’avrete assolutamente.
Cavaliere. Possibile che la mia passione, che l’amor mio, che la mia costanza...
Araminta. Veggiamo, a poco presso, di qual somma voi avreste bisogno. Avete voi delle protezioni?
Cavaliere. Ne ho qualcheduna.
Araminta. Ve ne procurerò anch’io delle buone: ma seguitemi:
andiamo nel gabinetto di madama Dorimene. Parleremo con maggior libertà.
Cavaliere. Tutto quel che vi piace, (chiama) Fiorillo.
Araminta. (A parte) (Povero giovane! mi fa compassione, egli è la vittima dell’ imbecillità di suo padre). (parte
SCENA XIII17
Il Cavaliere, poi Fiorillo.
Cavaliere. Fiorillo, ascolta. Se arriva mio padre, tu gli dirai.... ma eccolo che viene. Non ho tempo per attenderlo. Digli ch’io sono da madama Dorimene. (parte
SCENA XIV18.
Fiorillo, poi il Marchese.
Fiorillo. Da madama Dorimene! Mi pare un poco più allegro. Credo che gli affari suoi prendono19buona piega.
Marchese. Ebbene, il cocchiere... birbante!... E ancora rientrato?
Fiorillo. Signore, il cocchier non ha torto...
Marchese. Come non ha?.... Io sono non ne posso più, ed ancora.... bene, bene, benissimo.... Erano sortite?
Fiorillo. Chi, signore?
Marchese. Mia figlia, e... ma cosa ha detto questo briccone?... Sì, subito... al diavolo.
Fiorillo. Bisogna perdonargli per questa volta. L’ho incontrato per la via, carico come un mulo. I cavalli soffrivano, si dibattevano. Non vi era biada; e, il pover’uomo, è andato a comprarne.
Marchese. Come! non ci era oh bella? II conte.... le scuderie?
Fiorillo. Sì, signore. Vi sono delle scuderie magnifiche in questa casa, ma non vi era un grano di biada, e il cocchiere non
oserebbe comprarne senza un ordine espresso del suo padrone. Il signor conte è di una avarizia...
Marchese. Che! che! che!... bene, bene, benissimo... Il conte un avaro!
Fiorillo. Non ve n’è uno simile in tutto il mondo.
Marchese. Chi è che?... Sei tu?... Sciocco, pazzo... Il conte?... Egli è un uomo... oh! oh!... va, va, stolido...
Fiorillo. Ho parlato a più di dieci persone: a gente di casa, a gente di fuori di casa, a de’ mercanti, a de’ bottegai, a persone del vicinato... tutti dicono la stessa cosa. Volete di più? Il suo servitore più antico e più favorito non può più resistere al suo servizio.
Marchese. Come?... Sarebbe mai?... Mi ha rifiutato la carrozza!
Fiorillo. Per avarizia. Va a piedi egli pure per non affaticare i cavalli.
Marchese. Ma... centomila lire in diamanti...
Fiorillo. (Sorridendo) Parlate voi delle gioje che ha fatto vedere alla sposa?
Marchese. Ebbene?
Fiorillo. Ebbene. Non le ha pagate, e non le pagherà. Non sono comprate, ma prestate: il suo servitore me l’ha confidato.
Marchese. Come!... cospetto!... Bene, bene, benissimo, un avaro nascosto!... bene, bene, benissimo... un uomo falso!... un uomo cospetto, cospetto!... odioso... disprezzabile... Mia figlia?... Oibò. A cena con lui?... nemmeno... Gran trattamenti, e neanche un grano di biada! I miei cavalli... vuò vedere i poveri miei cavalli. (va per sortire
Fiorillo. (Accennando un’altra sortita dalla medesima parte) Per di là, per di là, signore. Le scuderie sono in un’ altra corte.
Marchese. Doppia corte, e senza biada!... Gran palazzo, e neanche un grano di biada! (parte con Fiorillo
Fine dell’Atto Quarto.
- ↑ Comprende le scene 2 e 3 dell’originale francese.
- ↑ Nel testo c'è la semplice virgola.
- ↑ L’ originale francese è qui allungato dall’autore.
- ↑ È la scena 4 dell’originale.
- ↑ Scena 5 nell’originale. Anche qui il testo fu modificato dall’autore.
- ↑ Questa scena manca nell’originale.
- ↑ Probabilmente si deve leggere: Ma doo’e?
- ↑ Nel testo è stampato: Potrete. Voi prestarmi?
- ↑ Mancano queste ultime parole in qualche esemplare dell’ed. Zatta.
- ↑ Scena 7 nell’originale, ma diversa.
- ↑ Scena 6 nell’originale, qui allungata.
- ↑ Scena 9 nell’originale, modificata come le altre.
- ↑ Scena 10 nell’originale, modificata.
- ↑ Scena II, modificata.
- ↑ Scena 12, e. s
- ↑ Scena 13.
- ↑ Scena 14 dell’originale.
- ↑ Scene 15 e 16 dell’originale, e s.
- ↑ Così nel testo.