Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/427


Conte. Oh! il signor marchese: bene, bene, benissimo. Son sicuro del suo consentimento.

Dorimene. Ma voi sapete in qual disordine sono gli affari suoi. La sposereste voi senza dote?

Conte. Oh! questo poi, no. Grazie al cielo, non ho perduto il cervello.

Dorimene. E come dunque vorreste fare?

Conte. Ecco qui il progetto. Vi dirò, prima di tutto, ch’io non sono né cieco, né balordo: che mi sono accorto che Eleonora aveva il cuor prevenuto, e non credo ingannarmi immaginandomi che il signor cavaliere sia il favorito. Lasciamo da parte l’impertinenza del padre e del figlio d’introdursi in casa mia, sotto la maschera della amicizia: perdono loro questa azione inconsiderata, perchè può contribuire alla riuscita del mio disegno. Ritorniamo dunque al progetto. Faremo in sorta, voi ed io unitamente, che madama Araminta dia sua figliuola in isposa al signor cavaliere coi centomila scudi di dote, a condizione che il marchese riceva egli stesso il danaro, e lo assicuri sopra tutti i suoi beni che non sono che ipotecati. Io mi comprometto dal canto mio di domandargli e di ottenere la marchesina sua figlia, e i centomila scudi che dovrà ricevere, o che avrà ricevuti. In questa maniera, ei contenta suo figlio, ei marita sua figlia, senza sborsare un soldo. Che ne dite, sorella mia? Voi vedete che il mio progetto è sicuro.

Dorimene. L’immaginazione è bellissima: ma la riuscita mi par difficile.

Conte. Non siate inquieta per questo. Voi vedrete che tutto riuscirà bene. Il marchese è andato espressamente per ciò a ritrovare sua figlia. Vado io stesso a raggiungerlo, e mi lusingo che oggi tutto sarà stabilito e concluso. E queste gioje... può essere... Sorella mia, voi mi vedrete far dei prodigi. (parte