Atto III

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Carlo Goldoni - L’avaro fastoso (1776)
Traduzione dal francese di Carlo Goldoni (1776)
Atto III
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Il Conte e Frontino.

Conte. Frontino.

Frontino. Signore.

Conte. Va a vedere come sta madamigella Eleonora.

Frontino. Vi è nell’anticamera uno de’ vostri convitati che desidera di parlarvi.

Conte. E chi è egli?

Frontino. E quel giovine, che giorni sono vi ha letto una commedia di sua composizione.

Conte. Ah, ah! il signor Giacinto: che venga.

Frontino. (Alla porta per dove è entrato) Signore, se vuole entrare, è padrone. (parte per la porta che va da madama Dorimene)

SCENA II1).

Il Conte, poi Giacinto.

Conte. Buon giorno, signor Giacinto. Mi dispiace infinitamente che il messo che ho rimandato da voi non vi abbia ritrovato in casa. Vi faceva avvertir, che in luogo del pranzo sospeso per un accidente, mi avreste favorito alla cena.

Giacinto. Non vi è alcun male, signore; avrò intanto l’onore...

Conte. Spero che non mancherete di venir questa sera.

Giacinto. Riceverò con piacere le grazie vostre: ma avendo ora la fortuna di ritrovarvi solo, e disoccupato, vorrei farvi vedere i cangiamenti che ho fatti alla lettera dedicatoria, e di più qualche altra cosa, di cui mi lusingo sarete contento.

Conte. Udite, signor Giacinto. Poiché voi volete assolutamente dedicarmi questa vostra commedia, ho creduto ben fatto

[p. 400 modifica] struirvi d’alcune particolarità che mi riguardano. Non è per vanità, il ciel me ne guardi, ma unicamente per dar motivo alla vostra penna eloquente di brillar d’avantaggio.

Giacinto. Vedrete, signore, ch’io ho fatto buon uso di tutte le memorie che voi mi avete date in iscritto. Ma ho fatto qualche cosa di più.

Conte. Avete parlato de’ miei quadri? Avete parlato della mia biblioteca?

Giacinto. Sì, signore.

Conte. Ci avete messo i libri che vi ho detto ch’ io dovea comperare?

Giacinto. Ma... signore.... un indice de’ libri in una lettera dedicatoria....

Conte. Vi pare cosa difficile? Non si può mettere a pie della pagina: il conte di Casteldoro possedè una biblioteca di dieci mila volumi? Un uomo di spirito come voi, sa profittare di tutto. Voi vedrete, per esempio, se la cena di questa sera è capace di somministrarvi qualche novella idea: qualche idea poetica, spiritosa, vivace.

Giacinto. Tutto ciò è possibile, ma ho pensato a qualche cosa di più essenziale. Ho fatto fa vostra genealogia.

Conte. (Freddamente) La mia genealogia! no, no, amico, io non amo le genealogie. Ci sarebbe a dire di me qualche cosa che potrebbe farmi onore, egli è vero: ma io son nemico della vanità, e su quest’articolo voglio preferir la moderazione.

Giacinto. Tutto quel che vi piace: ma ho fatto delle scoperte che mi hanno costato molto studio e molta fatica, e avrei piacere che almeno ne foste istruito.

Conte. (Con curiosità) Avete fatto delle scoperte che mi riguardano?

Giacinto. Così è, signore.

Conte. Caro signor Giacinto, vediamo.

Giacinto. Il vero nome della vostra famiglia non è de Colombani?

Conte. Sì, ma non è necessario... [p. 401 modifica]


Giacinto. Ascoltatemi, in grazia. Cristofolo Colombo, che ha discoperto l’America, e che è stato nobilitato dal re di Spagna, aveva due fratelli, e vari nipoti. Ho ritrovato, scartabellando per far delle annotazioni sulla vita del Petrarca, che uno de’ nipoti di Cristofolo Colombo era passato da Genova, sua patria, nella città d’Avignone in Francia. Io provo, che per corruzione di termini, hanno cambiato il nome di Colombo in quello di Colombani, e fo vedere colla più chiara evidenza che voi discendete da questa antica, illustre famiglia.

Conte. (Con aria di satisfazione) Voi provate ciò all’evidenza?

Giacinto. Sì, signore, ed eccone le testimonianze. gli presenta alcuni fogli)

Conte. (Ricevendo i fogli scritti) Per quel poco che posso ricordare, credo che abbiate ragione. Non so che dire. Io non amo l’ostentazione, voi lo sapete, ma vedo, con piacere, che la vostra scoperta può farvi onore, e non ho coraggio di impedirvi di pubblicarla. Avete presentato ai comici la vostra commedia?

Giacinto. Sì, signore.

Conte. L’avranno ricevuta con applauso, con acclamazione, ne son sicuro.

Giacinto. Al contrario, signore. L’hanno rifiutata solennemente.

Conte. L’hanno rifiutata?

Giacinto. Voi conoscete la mia commedia: meritava ella un simile trattamento?

Conte. Ma... se la commedia è buona, perchè rifiutarla? Il loro interesse dovrebbe anzi obbligarli a riceverla, a ringraziarvi.

Giacinto. Non la conoscono: non la comprendono. Ma mi vendicherò della loro ingiustizia. La farò stampare, ed il pubblico la giudicherà.

Conte. Bravo, così va fatto. Fatela stampare: per la rappresentazione non ne ho molta pratica, ma mi pare ottima alla lettura. Voi ne avrete un esito prodigioso.

Giacinto. Poiché il signor conte mi anima e m’incoraggisce, [p. 402 modifica]

se volesse egli aver la bontà d’incaricarsi delle spese dell’impressione...

Conte. (D’un tuono risoluto) Oibò, non vi è bisogno. Addrizzatevi ad un buon libraio: accordategli il suo profitto: penserà egli a tutto.

Giacinto. Signore, per dirvi la verità, ne ho parlato a più d’uno, e nessuno vuol caricarsene. Non ne trovato che un solo il quale mi ha detto, che se il signor conte di Casteldoro vuol rispondere per me, ne intraprenderà l’edizione per conto mio.

Conte. Come! Mi avete nominato?

Giacinto. Sì, signore. Non ho potuto dispensarmi...

Conte. Avete fatto malissimo. Se si sa ch’io m’interesso in questa commedia, diranno ch’io lo faccio per la lettera dedicatoria, e mi metteranno in ridicolo. Non ne parliamo più, e rimettiamo la cosa ad un momento più fortunato.

Giacinto. Ma, signore...

SCENA III.

Frontino ed i suddetti.

Conte. Ebbene, Frontino, che risposta mi rechi?

Frontino. Mi hanno detto, signore, che madamigella Eleonora sta poco bene.

Conte. Poco bene! ma sarà ella in istato di comparire... Andrò a veder io medesimo. Voi vedete, signore, (a Giacinto) abbiamo una persona ammalata. Non si cenerà più questa sera.(in atto di partire)

Giacinto. Signore, se que’ fogli vi sono inutili...

Conte. Sì, sì, ve li renderò. (in atto di partire)

Giacinto. Vi prego riflettere che mi hanno costato molto tempo e molta fatica.

Conte. (Rendendogli i fogli) Ah! sì. Voi amate il vostro lavoro; vi compatisco: eccoli. Vi ringrazio dell’incomodo che vi siete preso per me. Se posso servirvi in qualche cosa, comandatemi. [p. 403 modifica]


Giacinto. Bene. Obbligato alla generosità del signor Conte, (a parte) (Che ingratitudine! che sordidezza! ma me la pagherà, suo malgrado). (parte)

SCENA IV2.

Il Conte, Frontino, poi Fiorillo.

Conte. Un convitato di meno... ma vediamo un poco se questa malattia... (in atto di partire)

Fiorillo. (Dì dentro) O di casa. Non vi è nessuno?

Frontino. (Al Conte che si trattiene) Ah, ah, questi è Fiorillo. Il servitore del signor marchese.

Fiorillo. (Coi stivaletti da viaggio) Signore, il mio padrone non tarderà ad arrivare. Io son venuto innanzi a cavallo, come vedete, per prevenirvi che egli verrà qui a discendere colla sua carrozza.

Conte. (Freddamente) Verrà a discendere da me? Colla sua carrozza? Vien egli a Parigi per trattenersi?

Fiorillo. No signore. Ei partirà domani mattina per Versaglies: egli ha degli affari alla Corte.

Conte. (Da sé) (Buono, buono), (a Fiorillo con affettazione) Spero che il signor marchese mi farà l’onore di alloggiar da me questa notte col cavaliere suo figlio. Circa alla marchesina, parlerò a mia sorella, e son certo che ella si recherà ad onore di offrirle un appartamento.

Fiorillo. La signora marchesina del Bosco non verrà qui con suo padre. La contessa d’Orimon, sua zia, la conduce nella sua carrozza, e l’alloggierà in casa sua.

Conte. Ciò mi rincresce. Ma, in ogni maniera, spero che avrò l’onor di vederla. (parte)

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SCENA V3

Frontino e Fiorillo.

Frontino. Il tuo padronè ha buon odorato. Oggi abbiamo una cena stupenda. Una cena per trenta personè.

Fiorillo. Diancine! il tuo padrone è magnifico. Tu servi in una casa dove si tripudia e si sguazza. Mi consolo con te, Frontino: tu ti sarai fatto ricco.

Frontino. Ricco! non ricco... ma... così e così.

Fiorillo. E molto tempo che tu sei con questo padrone.

Frontino. Sì, è vero. Mi ci sono attaccato.

Fiorillo. Anch’io ho dell’attaccamento per il mio: ma non ho speranza di mettere quattro baiocchi da parte. Se non ci fosse il profitto delle carte, non ci resterei certamente.

Frontino. Vi sono degl’incerti nella casa dove tu servi?

Fiorillo. Oh sì4: e qualche volta sono considerabili: ma tu ne avrai ben d’avantaggio.

Frontino. Io? Vuoi tu che io ti parli schietto? Come un buon camerata? Ho un salario assai modico, e ne anche un soldo d’incerto.

Fiorillo. Ma tu sei sciocco. Frontino mio. A Parigi, un uomo come tu sei, tu troveresti cento case eccellenti con un salario considerabile, e con de’ profitti di conseguenza.

Frontino. Conosceresti tu qualcuno che volesse impiegarsi per me?

Fiorillo. La cosa è facile: ma tu sei attaccato al tuo padrone.

Frontino. Ci sono attaccato, è vero: ma non ci sono inchiodato.

Fiorillo. Tu hai ragione: egli ti tratta sì male. Ciò mi farebbe credere ch’egli fosse malcontento di te.

Frontino. Oh! t’inganni. Sono il suo favorito, il suo confidente.

Fiorillo. Io non capisco niente. Se fosse un avaro, pazienza, ma un uomo generoso... [p. 405 modifica]


Frontino. Generoso? Tu non lo conosci.

Fiorillo. Non lo conosco: ma una cena stupenda...

Frontino. Ah! caro amico; se tu sapessi quel che mi costerà questa cena....

Fiorillo. Ti costerà?.... A te?

Frontino. Sì certamente. Strilli, rimproveri, mali trattamenti. Vado alla morte tutte le volte ch’io mi presento col libro delle spese. Tremo solamente a pensarvi.

Fiorillo. Oh! non è così da noi. Il nostro padrone è buono, dolce, facile, allegro. Se tu sapessi! egli è d’un’allegria che consola; ha una maniera di parlar singolare, sempre con sensi tronchi, non finisce mai una frase... ha de’ termini favoriti: li caccia da per tutto, bene o male che vadano. Tutti si burlano di lui, ed egli ride cogli altri.

Frontino. Sarei ben contento, se avessi anch’io un padrone di questa taglia; ma il nostro...

Fiorillo. Il male che vi è da noi, si è che il danaro è scarso, e sovente manca del tutto.

Frontino. Ma giocano per altro, a quel che tu dici.

Fiorillo. Sì, è vero. Non so come facciano, ma per giocare il danaro non manca mai... Farmi sentire una carrozza.

Frontino. Contami, contami, per il gioco...

Fiorillo. (Andando alla finestra) Aspetta, aspetta, (ritornando) Sono eglino precisamente.

Frontino. Seguita. Per il gioco...

Fiorillo. Va ad avvertir il tuo padrone.

Frontino. (A parte, sortendo) (Oh, Fiorillo mi dirà tutto. È un chiaccherone5 che non tace niente). (parte)

Fiorillo. Frontino è un buon figliuolo, ma parla troppo: ecco il suo difetto.

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SCENA VI6.

Fiorillo, Il Marchese, Il Cavaliere.

Marchese. (A Fiorillo) Dov’è, dov’è?...

Fiorillo. Il signor conte è in casa, ed il servitore è andato ad avvertirlo.

Marchese. Va a vedere.... bene, bene, benissimo... la scuderia.

Fiorillo. Aspetto Frontino. Egli provvederà ad ogni cosa.

Marchese. Ma intanto... mi premono i miei cavalli, povere bestie! hanno fatto.... bene, bene, benissimo... tu potresti vedere.

Fiorillo. Sì, signore, vado subito, (da sè, partendo) Sfido tutti i servitori del mondo ad intenderlo, com’io l’intendo. (parte)

SCENA VII7.

Il Marchese e il Cavaliere.

Cavaliere. Ah! padre mio amorosissimo, quanto vi sono obbligato per tutto quello che avete fatto, e che volete fare per me!

Marchese. Ah, che ne dite?... sono un padre, io... ma con voi, in verità... siete singolare qualche volta.

Cavaliere. Avete ragione. Io non osava parlare, e voi avete indovinata la mia passione.

Marchese. Ho ben veduto io... caro il mio figliuolo, perchè no? Perchè no? Finalmente so che Eleonora... conoscete sua madre?

Cavaliere. Conosco un poco madama Araminta, ma non le ho mai parlato.

Marchese. È una donna.... è una donna.... Siete sicuro almeno della figliuola?

Cavaliere. Oh! sicurissimo. L’ho veduta più volte in casa di una sua cugina, e... ho di lei qualche lettera.

Marchese. Bene, bene, benissimo. Bisognerebbe... Il conte è mio amico. [p. 407 modifica]


Cavaliere. Conosco anch’io madama Dorimene di lui sorella. La pregherò dal canto mio di volersi impiegare per me. Ma ecco il signor conte di Casteldoro.

SCENA VIII8.

Il Conte ed i suddetti.

Conte. Scusate, signor marchese...

Marchese. Ah!.. Conte mio, buon giorno. Come state di salute? Io?... lo vedete: benissimo per servirvi.

Conte. Sempre allegro il signor marchese, sempre gentile.

Marchese. Oh io... bene, bene, benissimo.

Conte. (Al Cavaliere) Come si porta il signor cavaliere?

Cavaliere. Disposto sempre agli ordini vostri.

Conte. (Al Marchese) E la signora marchesina?

Marchese. Mia figlia?... Ella è venuta in compagnia voi la conoscete sua zia.

Conte. Sì, signore. Ho l'onor di conoscerla. Andrò fra poco a rendere i miei doveri a queste dame, e spero mi accorderanno il favore di venir a cenar con noi questa sera.

Marchese. Oh! voi siete sempre... bene, bene, benissimo. Scusatemi se son venuto... ma... senza cerimonie, vi prego.

Conte. Voi lo vedrete. Non vi darò che la mia cena ordinaria.

Marchese. Bene, bene, benissimo. Così... cogli amici... liberamente.

Conte.(Additando un appartamento) Ecco qui, signori... mi hanno detto che domani vanno a Versaglies.

Marchese. Sì... perchè...

Conte. Mi dispiace che sia sì presto. Ecco là, signori, l’appartamento che vi ho destinato.

Cavaliere. Mi è permesso, signore, d’andar a riverire madama Dorimene? (al Conte

Conte. Voi le farete un onore, e un piacere.

Cavaliere. Lo permettete voi, signor padre? (al Marchese

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Marchese. Sì (a parte) (Povero ragazzo!.... egli è, egli è.... ma quando era anch’io... Sì, ho fatto anch’io come lui).

Conte. Noi possiamo andarvi insieme, se lo volete.

Marchese. (Al Conte) Oibò... ho da parlarvi, se voi... ci anderà solo.

Cavaliere. (In atto di partire) Conosco il suo appartamento. Conte, (Al Cavaliere) Andate, signore. Voi ci vedrete delle persone che sono, a quel ch’io credo, di vostra conoscenza.

Cavaliere. (In atto sempre di partire) Le vedrò con piacere. (Sono in un’impazienza).... (a parte

Conte. (Al Cavaliere) Vi daranno colassù! delle nuove che voi non potete ancora sapere, ma che spero vi faranno piacere.

Cavaliere. (A parte) (Oh, cieli! Sarebbe mai poi possibile che Eleonora avesse scoperto a sua madre... Volo ad assicurarmene)9. (parte

SCENA IX10.

Il Conte ed il Marchese.

Marchese. Orsù, giacché siamo... (guardando intorno) Avete voi il tempo?

Conte. Sono agli ordini vostri, signor marchese.

Marchese. Voi siete mio amico.

Conte. Quest’è un titolo di cui mi onoro.

Marchese. Bene, bene, benissimo.

Conte. (È ridicolo qualche volta). (a parte, un poco piccato)

Marchese. Vorrei dunque pregarvi.... ma.... amico, liberamente, francamente.

Conte. (Scommetto che egli è venuto per domandarmi del danaro in prestito). (a parte

Marchese. Voi conoscete la mia casa.

Conte. Sicuramente. [p. 409 modifica]


Marchese. Ho due figliuoli, e conviene ch’io pensi... la figlia è ancora... bene, bene, benissimo... ma il cavaliere... è in una età!... mi capite?

Conte. Comprendo a poco presso, signore, che voi pensate seriosamente allo stabilimento della vostra famiglia, ed in ciò vi lodo moltissimo. Ma, a proposito di stabilimento, mi credo anch’io in dovere di farvi parte del prossimo mio matrimonio.

Marchese. Ah, ah! siete disposto.... voi ancora.... bene, bene, benissimo.

Conte. Oggi si dee sottoscrivere il mio contratto, e mi reputo fortunato che il signor marchese mi faccia l’onore...

Marchese. A maraviglia. Ma.... nel medesimo tempo.... se voi voleste farmi il piacere...

Conte. Se sapeste, signor marchese, quanto ho dovuto spendere in questa occasione!... non si finisce mai. Sono.... in verità... sono esausto affatto.

Marchese. Bene, bene, benissimo.

Conte. Male, male, malissimo.

Marchese. Ascoltate. Voi siete amico di madama Araminta.

Conte. Sì, signore. Oh! ella, per esempio, ella è una donna ricca. Ella potrebbe essere al caso vostro.

Marchese. Sì, così è... precisamente per questo... Se voleste parlare a madama Araminta. Ma senza.... Come si chiama sua figlia?

Conte. Madamigella Eleonora.

Marchese. Ah, sì, madamigella Eleonora.

Conte. (Oh! che uomo singolare! Convien capirlo per discrezione). (a parte) Parlerò secretamente a madama Araminta. (al Marchese)

Marchese. Ma bisognerebbe che ciò fosse fatto in maniera... voi mi capite.

Conte. Vi metterò tutta la premura possibile, e mi lusingo che ella acconsentirà al vostro desiderio, purch’ella abbia le sue sicurezze.

Marchese. Cospetto! s’ella mi dà... io non ho... io non sono... ma... i miei beni... [p. 410 modifica]


Conte. Quanto vorreste, signor marchese?

Marchese. Mi hanno detto che... cento mila scudi, mi pare. Io non domando d’avvantaggio.

Conte. (Cento mila scudi! Il prestito è troppo forte. Non so se madama Araminta vorrà acconsentirvi). (a parte

Marchese. Quando le parlerete?... Perchè, quando ho una cosa in testa... detto, fatto... Io son così di natura.

Conte. Oggi le parlerò assolutamente.

Marchese. E vi lusingate voi che ella voglia..... bene, bene, benissimo.

Conte. Io credo che se madama Araminta si trova in istato di soddisfare il desiderio vostro, ella lo farà volentieri, prima per voi che lo meritate per tutti i riguardi, e poi per me che son vicino a divenire suo genero.

Marchese. (Con sorpresa) Come... che voi...

Conte. Sì, signore. Quella ch’io deggio sposare, è sua figlia.

Marchese. Ah! questa sì.... da quando?.... E ben vero?.... È possibile?

Conte. Ma donde viene, signor marchese, questo eccesso di maraviglia? provate voi a dir qualche cosa su questo accasamento?

Marchese. (Non dico... ma mio figlio... con qual fondamento?... Oh, che sciocchezza!) (a parte

Conte. Madama Araminta destina, è vero, cento mila scudi di dote a sua figlia, ma credete voi che per questo non avrà ella del danaro a prestarvi?

Marchese. (Ancora più maravigliato) A prestarmi? A me? A prestarmi? [p. 411 modifica]


SCENA X11.

Il Cavaliere ed i suddetti.

Cavaliere. (Riviene per quella porta per dove era sortito. Accenna coll’azione la sua sorpresa ed il suo rammarico. Passa per di dietro il Conte, senza essere da lui veduto, e fa cenno al Marchese di non parlare.

Conte. (Al Marchese) Se voi volete, le parlerò.

Marchese. (Al Cavaliere, in maniera che il Conte crede che parli ad essolui) Sì, sì. Ho capito. (Il Cavaliere entra nell’appartamento)

Conte. Dirò dunque a madama Araminta...

Marchese. No, no. Non crediate che... no, vi dico, no.

Conte. Sì, e no! Signore, io non vi capisco.

Marchese. Prestarmi?.... a me?... Come?.... Io sono, è vero.... ma non sono poi.... bene, bene, benissimo. Non sono poi...

Conte. Signore, vi chiedo scusa. Ho degli affari. Convien ch’io sorta di casa. Ecco là il vostro appartamento, (a parte) (Non vi è in tutto il mondo un uomo ridicolo come lui). (parte)

Marchese. Venga il cancaro!... non sa quel che si dica. (entra nell’appartamento)


  1. L’autore, traducendo o parafrasando il testo francese, introdusse varie aggiunte in questa scena.
  2. Corrisponde alle scene 4 e 5 del manoscritto francese.
  3. Corrisponde alla scena 6 del manoscritto, ma non è tradotta fedelmente.
  4. Nel testo è stampato: Oh? Sì.
  5. Così il testo.
  6. Scena 7 del ms, modificata.
  7. Scena 8 del ms.
  8. Scena 9 del ms.: come al solito, il dialogo fu modificato dall’autore.
  9. Nel testo è stampato: "Cavaliere. Oh cieli! (a parte) Sarebbe mai possibile ecc.".
  10. Corrisponde alla scena 10 del ms. ma subì dall’autore vari cambiamenti.
  11. Questa scena non si trova nel ms. francese e anche quella precedente finisce in modo diverso.