L'apatista o sia L'indifferente/Atto IV

Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Il Cavaliere, il Conte, la Contessa, don Paolino e Fabrizio.

Cavaliere. Contessa, miei signori, venite, ho già pensato

Quello che far dobbiamo nel caso inaspettato.
Non ci scaldiamo il sangue, non ci mettiamo in pena,
Dobbiam questa sorpresa pigliar per una scena.
Con flemma e con giudizio più cose ho superate,
Supererò ancor questa; sedete, ed ascoltate.
Contessa. Impaziente vi ascolto. (.Siede)
Paolino.   Sentiam che nuova c’è. (siede)
Conte. Intanto si potrebbe ordinare il caffè. (siede)
Cavaliere. Dite bene: Fabrizio, il caffè sia ordinato,
E poi quanto vi dissi sia lesto e preparato.

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Fabrizio. Sì, signor.

Conte.   Ehi, sentite. Con grazia del padrone,
Un po’ di rosolino per far la digestione.
Fabrizio. Subito, immantinente.
Conte.   Sono ai liquori avvezzo.
Fabrizio. (Se aspetta il rosolino, vuol aspettarlo un pezzo).
(parte)
Cavaliere. Pensando al caso nostro, com’io diceva innante,
Noi siamo gli assediati. Giacinto è l’assediante.
Siccome la Contessa lo sdegna e lo disprezza,
Ei pensa per assalto entrar nella fortezza.
Egli vien provveduto di gente e munizione,
Lusingasi il presidio pigliare a discrezione;
Ed aperta la breccia, ei si lusinga e spera,
Presa la cittadella, piantar la sua bandiera.
Noi con vigor le mura difendere possiamo,
Ma di un vil capitano vogl’io che ci burliamo;
E delle sue minacce fingendo aver timore
Vuò che proviamo in rete tirar l’assalitore.
Spieghiam bandiera bianca. Eccolo qui, in un foglio
Col guerrier valoroso capitolare io voglio;
E far che il gran disegno di lui, che ora ci assedia,
In questo luogo istesso si termini in commedia.
Udite questa lettera, che a lui mandare io voglio;
Poi vi dirò il mistero, per cui formato ho il foglio.
"Signor, che pel valore che in voi cotanto vale,
"Posso paragonarvi di guerra a un generale,
"A voi con questa carta vengo a raccomandarmi,
"E chiedovi per grazia la sospension dell’armi.
" Resistere non voglio colla difesa audace;
"Con umile rispetto triegua domando, e pace.
"Arrendermi son pronto con il presidio istesso:
"Vi darò della porta le chiavi ed il possesso;
"E la dama vezzosa, ch’è il nostro comandante,
"Resterà prigioniera del capitano amante.

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"Entrar liberamente potete in queste mura,

"Un cavalier d’onore v’invita e vi assicura;
"E perchè la parola sia meglio assicurata,
"Entrate vittorioso, e colla gente armata.
"Vi supplica, v’invita, con riverenza e amore,
"Il cavaliere Ansaldo, amico e servitore.
Che vi par della lettera?
Paolino.   Amico, in verità
Non si può a chi v’insulta scriver con più viltà.
Cavaliere. È vero!
Contessa.   Io non intendo l’idea di tal mistero.
Parmi sia questo il modo di renderlo più altero.
Cavaliere. Che dice il signor Conte?
Conte.   Come? (sì sveglia)
Cavaliere.   Avete capito.
Conte. Ho capito benissimo.
Cavaliere.   Anderà ben?
Conte.   Pulito.
Paolino. Se ha dormito finora.
Cavaliere.   Il foglio l’approvate?
Conte. Il foglio? Sì signore, a leggerlo tornate.
Paolino. Basta così, non serve.
Conte.   Non serve! Chi son io?
Vuò sentir, vuò sapere, vuò dir il parer mio.
Favorisca di leggere la carta un’altra volta.
Cavaliere. Lo farò volentieri.
Conte.   Quando preme, si ascolta.
Cavaliere. "Signor, che pel valore che in voi cotanto vale,
"Fosso paragonarvi di guerra a un generale,
(il Conte si addormenta)
"A voi con questa carta vengo a raccomandarmi,..
Paolino. Non vedete ch’ei dorme?
Cavaliere.   È vano il faticarmi.
Lasciamolo dormire1. Signori, così è.

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La cosa anderà bene2, fidatevi di me.

Lasciate ch’egli venga. Non evvi alcun pericolo.
Ho già pensato al modo di mettedo in ridicolo.
Contessa. Ma quella gente armata...
Cavaliere. Non vi mettete in pena;
Essi faran più ancora ridicola la scena.

SCENA II.

Fabrizio ed altri Servitori che portano il caffè, e detti.

Fabrizio. Ecco il caffè, beviamolo. So io quel che vuò dire.

Si ha da svegliar, signore.
(al Cavaliere, accennando il Conte)
Cavaliere.   Lasciatelo dormire.
(a Fabrizio)
Prendete questa lettera: così dissigillata
Sia del signor Giacinto in man recapitata,
E s’egli a queste mura s’accosta, immantinente
S’aprano a lui le porte, e a tutta la sua gente.
(a Fabrizio)
Fabrizio. Ho capito.
Cavaliere. E sia pronto quello che vi ho ordinato.
Fabrizio. Non dubiti, signore, che tutto è preparato. (parte)
(Il Cavaliere, la Contessa e don Paolino vanno bevendo il caffè.)
Contessa. Cavalier, dal mio spirito questo timor levate.
Ditemi quel disegno, che di eseguir pensate.
(bevendo il caffè
Cavaliere. Voglio celarvi il modo, che adoperar mi appresto;
Ma del comico intreccio il fin dev’esser questo.
Crederà che voi siate per isposarlo, e poi
Vi vedrà da me stesso sposar su gli occhi suoi.
Paolino. Voi sposar la volete? (al Cavaliere, alzandosi)
Cavaliere.   Io, quand’ella il consenta.

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Paolino. Che risponde la dama?

Contessa.   Non ne sarei scontenta.
Paolino. Cavalier, vi saluto. (in atto di partire)
Cavaliere.   Dove così repente?
Paolino. A una simile scena non voglio esser presente.
Voi di scherzar prendeste con un rival l’impegno.
Io di un rivale a fronte non tratterrei lo sdegno.
Esservi di periglio potria l’aspetto mio;
Sento accendermi il cuore: megli’è ch’io parta; addio.
(parte)

SCENA III.

Il Cavaliere, la Contessa ed il Conte che dorme.

Cavaliere. Che vuol dir questo sdegno? (alla Contessa)

Contessa.   Interpretarlo io voglio
Per un segno d’amore.
Conte.   È terminato il foglio?
(svegliandosi)
Cavaliere. Si è letto e si è riletto.
Conte.   Non portano il caffè?
Cavaliere. E il caffè si è bevuto.
Conte.   Come, senza di me?
(alzandosi)
Contessa. Vi han lasciato dormire.
Conte.   Che graziosa risposta!
Con vostra buona grazia, me lo faranno apposta.
Cavaliere. Servitevi.
Contessa.   Signore, or or si aspetta qua... (al Conte)
Conte. Vo a bevere il caffè, e poi si parlerà.
(in atto di partire)
Contessa. Ma il signor Giacinto vien cogli armati suoi.
Conte. Quando l’avrò bevuto, ragioneremo poi. (parte)

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SCENA IV.

Il Cavaliere e la Contessa.

Cavaliere. Il sistema del Conte piacemi estremamente:

Nasca quel che sa nascere, non glien’importa niente.
Contessa. Non ha di simil tempra don Paolino il cuore.
Dissimular non puote la forza dell’amore.
Egli mi ama, il sapete, e dai trasporti suoi
Vedesi ch’egli pena, e mi ama più di voi.
Cavaliere. S’egli vi ama, signora, vi amo ancor io non meno;
Mi piacete, il confesso, ma per amor non peno.
Se le smanie e i deliri son dell’amore il segno,
Non trovomi disposto d’amar con tal impegno.
Ma se vi basta un cuore, che parlavi sincero,
L’amor, che per voi sento, è stabile e sincero.
Se la mia fe’ gradite, d’ogni rival mi rido;
Se posso amare in pace, ogni amator disfido3.
Ma se la pena e il pianto solo piacer vi dà,
Signora mia, pensateci, voi siete in libertà.
Contessa. La fe’ che prometteste, ad osservar pensate.
Ora di più non dico, amatemi e sperate. (parte)

SCENA V.

Il Cavaliere solo.

Amatemi e sperate! Offrendomi un tal dono,

Sembra che mi offerisca d’Asia e d’Europa il trono.
Stimo una bella dama, apprezzo il di lei cuore,
Ma potrei anche vivere senza di un tanto onore.
Rider mi fan davvero queste bellezze altere,
Che hanno il piacer di rendersi cogli uomini severe.
Bramano più di noi l’amor, la tenerezza,
E vogliono ostentare di farci una finezza.

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Per me della Contessa la destra non isdegno.

Posso adempir con essa a un onorato impegno.
Ma se per conseguirla ho da impiegare il pianto,
La grazia di una donna non merita poi tanto.
S’io deggio ringraziarla, che m’abbia il cuor concesso,
Per quel ch’io le concedo, dee far meco lo stesso.
Che se per l’uomo impiega essa le grazie sue,
È inutile l’amore, quando non siamo in due. (parte)

SCENA VI.

Fabrizio ed il Cavaliere che torna.

Fabrizio. Signor. (chiamando il Cavaliere)

Cavaliere.   Che c’è di nuovo?
Fabrizio.   La lettera ho recata
Io stesso, e la risposta in voce ho riportata.
Cavaliere. Che disse il formidabile signor Giacinto?
Fabrizio.   Udite;
Se ben me ne ricordo, ve lo dirò, stupite.
Vanne dal Cavaliere, di’ che uom di valore
Saprà fra quella mura venir senza timore.
Digli che or or mi aspetti; digli che non pavento
Gli ospiti e i servi loro, se fossero anche cento.
Digli poi ch’io mi fido della parola data,
Ch’io non vuò per paura condur la gente armata.
Ma sol perchè si vegga, s’io merito rispetto,
Condurrò i miei seguaci del Cavalier nel tetto.
(procura imitare la caricatura di Giacinto)
Cavaliere. Egli non ha timore, ma un poco di spavento.
Venga pur, ch’io mi voglio pigliar divertimento.
Fabrizio. Sento rumor.
Cavaliere.   Che fosse?...
Fabrizio.   Eccolo, appunto è desso4.
Son preparati i servi, vo a prepararmi io stesso. (parte)

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SCENA VII.

Il Cavaliere, poi il Signor Giacinto, poi quattro Armati.

Cavaliere. Fabrizio è spiritoso; spero che a perfezione

Sosterrà con bravura lo scherzo e la finzione.
Giacinto. Eccomi, Cavaliere, a udir quel che bramate.
Cavaliere. Ora che noi siam soli...
Giacinto.   Con permission. (al Cav.) Entrate.
(agli armati, che entrano)
Cavaliere. In casa mia, signore, ogni sospetto è vano;
Venero i suoi guerrieri, m’inchino al capitano.
Per meditare insidie spirto non ho sì audace;
Pace e amicizia io chiedo, v’offro amicizia e pace.
Giacinto. So perdonar gl’insulti, anch’io son cavaliere;
Basta che gli altri sappiano far meco il lor dovere,
Cavaliere. In quanto a me, signore, desio d’assicurarvi,
Che bramo ad ogni costo la via di soddisfarvi.
La dama è già pentita, vi offre la mano in dono,
Il di lei genitore vuol chiedervi perdono.
Don Paolino istesso trema dalla paura;
Di aver la vostra grazia col mezzo mio procura.
Ed io, pria di vedervi pien di rabbiosa smania,
Vorrei aver la febbre, la gotta o l’emicrania.
Giacinto. Tutto saprò scordarmi in grazia di un amico;
Vuò perdonare a tutti, sull’onor mio vel dico.
Cavaliere. Oh bontade, oh clemenza di un amico sovrano!
D’un eroe sì pietoso voglio baciar la mano.
(vuol prenderlo per la mano)
Giacinto. Oh, non voglio. (si ritira)
Cavaliere.   Lasciate. (come sopra)
Giacinto.   No certo. (come sopra)
Cavaliere.   Mio signore.
(come sopra, incalzandolo)
Giacinto. Amici. (raccomandandosi agli armati per paura)

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Cavaliere.   Che temete? (ritirandosi)

Giacinto.   Io? Non ho alcun timore.
(mostrandosi intrepido)
Cavaliere. Di me siete sicuro. Pericolo non c’è...
Giacinto. Lasciam questi discorsi. La Contessa dov’è?
Cavaliere. Volete ch’io la chiami?
Giacinto.   Questo è quel che mi preme.
Cavaliere. Ora verrà, ma in prima vuò che parliamo insieme.
Giacinto. Sopra che?
Cavaliere.   Sopra il modo, con cui trattar dovete
I sponsali con essa. Favorite, sedete.
Giacinto. Non occorre.
Cavaliere.   Vi prego.
Giacinto.   Sto bene.
Cavaliere.   Favorite.
Vi spiccio in due parole.
Giacinto.   Ehi, di qua non partite.
(agli uomini, e siede)
Cavaliere. Restino, che ho piacere. Sedete, buona gente,
Ma vedervi non voglio star lì senza far niente.
Chi è di là? (chiama i servitori)
Giacinto.   Cos’è questo? (si alza timoroso)
Cavaliere.   Signor, non dubitate.
Presto, a quel galantuomini da merendar portate.
(ai servi)
(I servitori vanno e vengono portando pane, vino, prosciutto, formaggio, e preparano un tavolino. Gli armati si preparano per mangiare, e posano le loro armi.)
Giacinto. Non posate le armi. (agli uomini, che non gli badano)
Cavaliere.   Quivi che n’han da fare?
Siete in casa d’amici. Lasciateli mangiare.
Preparato ho a quegli uomini un po’ di colazione.
In grazia del rispetto che ho per il lor padrone.
Ma del padrone in faccia è troppa inciviltà;
Passino in altro loco a star con libertà.

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Nella stanza contigua portate il tavolino.

(ai servitori)
Non temete, signore, che il loco è assai vicino.
(Gli armati prendono essi il tavolino, e con allegrezza lo portano in altra stanza, scordandosi delle loro armi.)
Giacinto. Fermatevi, sentite, l’armi qui non lasciate.
Cavaliere. Gli uomini valorosi se le saran scordate.
Subito, servitori, l’armi recate loro.
Sentite: (a ciascheduno date un zecchino d’oro,
E mandateli in pace, per forza o per amore).
(piano ad un servitore, il quale unitamente cogli altri prende l’armi, e le porta altrove.)
Giacinto. Resti aperto quell’uscio.
Cavaliere.   Di che avete timore?
Un uomo, come voi, terribile, famoso,
Vergogna è che si mostri codardo e timoroso.
Giacinto. Non temerei nemmeno se fossevi il demonio.
Cavaliere. Venite qua, signore, parliam del matrimonio.
La dama non disprezza l’amor del vostro cuore,
Di voi non si lamenta, ma sol del genitore.
Quando firmò il contratto, se a lei l’avesse detto.
Verso di voi mostrato avrebbe il suo rispetto.
Disse a me cento volte: Un cavalier sì vago
Puote il cuor di una donna render contento e pago.
Chi ricusar potrebbe sì nobile signore?
Amar chi non vorrebbe un uom del suo valore?
(Giacinto si va pavoneggiando)
Ella vi ama, signore, ella è di cor pentita
D’aver dissimulato fìnor la sua ferita.
Chiede al vostro bel cuore per mezzo mio perdono.
Vi offerisce la destra ed il suo cuore in dono.
Giacinto. Meriterebbe, a dirla, ch’io vendicassi il torto.
Ma è donna, e tanto basta; m’accheto, e lo sopporto.
Ditele ch’ella venga umile agli occhi miei,
Diami la man di sposa, ed io perdono a lei.

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Cavaliere. Oh clemenza, oh bontade, oh grazia inaspettata!

Vo tosto a consolare la dama innamorata. (si alza)
Meno non si poteva sperar da un sì bel core;
Condurrò la Contessa a domandarvi amore. (parte)

SCENA VIII.

Giacinto solo.

Ecco cosa vuol dire farsi stimar; cospetto!

Sono un uomo terribile, qualora io mi ci metto.
Amici, state pronti, se mai... ma dove sono?
Povero me! mi lasciano gl’indegni in abbandono?
Là dentro non li veggo. Dove mai sono andati?
Qua dentro non mi fido restar senza gli armati.
Li troverò. (in atto di partire)

SCENA IX.

Il Cavaliere, la Contessa ed il suddetto.

Cavaliere.   Signore. (chiamandolo)

Giacinto.   Gli uomini dove sono?
Cavaliere. Son nel cortil che ballano d’una chitarra al suono.
Giacinto. Sappiano immantinente, che il lor padron li chiama.
Cavaliere. Ecco, signor Giacinto, presentovi la dama.
Giacinto. Sì, signor, l’ho veduta. Vengano quei villani.
(mostrando sdegno e paura)
Cavaliere. Ehi; chiamateli tosto. (verso la scena)
  (Sono un pezzo lontani). (da sè)
Giacinto. (Par che il cor mi predica...)
Contessa.   Come! con tal disprezzo
Colle dame mie pari siete a trattare avvezzo?
Giacinto. Compatite, Contessa, sono un poco alterato.
Contessa. Con chi?
Giacinto.   Con quei bricconi, che mi hanno abbandonato.
Contessa. Un uomo come voi, terribil per natura,
Per questo si sgomenta, e trema di paura?

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Giacinto. Io temer? di che cosa?

Cavaliere.   Un uom del suo talento,
Un uom del suo coraggio, non sa che sia spavento.
Quel che lo rende umano, quel che avvilir lo puote,
È un occhio vezzosetto, bei labbri e belle gote.
Egli per voi sospira: mirate in quel sembiante
Ercole mansueto alla sua Jole innante.
Giacinto. Ah sì, poichè voi siete Venere di bellezza.
Un Marte valoroso vi venera e vi apprezza.
Cavaliere. È tanto è innamorato del volto peregrino,
Che per piacervi ancora diventeria5 Martino.
Giacinto. Questi scherzi non soffro.
Cavaliere.   Dunque parliam davvero.
Il vostro cor, signora, svelategli sincero.
Giacinto. Porgetemi la destra.
Contessa.   È troppo presto ancora.
Giacinto. Dite almen, se mi amate.
Cavaliere.   Via ditelo, signora.
Contessa. Sono di cuor sincero, e fingere non so.
Giacinto. Dunque un sì pronunciate.
Contessa.   Dunque vi dico un no.
Giacinto. Come! A me questo torto! Un no sì chiaro e tondo?
Ah, ch’io son per lo sdegno acceso e furibondo.
Voi m’ingannaste adunque nel lusingarmi audace;
(al Cavaliere)
Una simile ingiuria non vuò soffrire in pace.
Dove sono gli armati? Tornino in questo loco.
Ah, son fuor di me stesso; armi, vendetta e fuoco.
Cavaliere. Acqua, presto dell’acqua.
Giacinto.   Non vengono gl’indegni?
Ah, saprò da me stesso adoperar gli sdegni.
O porgami la mano la donna a suo dispetto,
O ch’io con questa spada saprò passarle il petto.

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SCENA X.

Fabrizio travestito, colla spada alla mano, e detti

Fabrizio. Volgi a me quella punta.

(verso Giacinto, ponendosi in guardia)
Giacinto.   Servitore umilissimo.
(a Fabrizio, con timore)
E chi è questo signore? (a/ Cavaliere)
Cavaliere.   È un capitan bravissimo.
Giacinto. Ho piacer di conoscere il signor capitano;
Vedo ch’egli sa bene tener la spada in mano.
Degli uomini di spirito ammiratore io sono;
In grazia sua mi accheto, e i torti miei gli dono.
(ripone la spada)
Fabrizio. Con voi mi voglio battere. (a Giacinto)
Giacinto.   No, mio signor, perdoni.
Cavaliere. Viva l’eroe magnifico.
Contessa.   Viva il re dei poltroni.
Fabrizio. Sono, se noi sapete, cugin della Contessa.
Giacinto. Con voi me ne consolo, e colla dama istessa.
Fabrizio. Voglio che dello zio s’adempia il testamento.
Giacinto. Benissimo.
Fabrizio.   Sposare la voglio in sul momento.
Giacinto. Ha ragione.
Fabrizio.   Mi dicono, che il di lei padre ha fatto
Con voi di matrimonio certo tal qual contratto.
È egli ver?
Giacinto.   Non lo nego.
Fabrizio.   O lacerato ei vada,
O meco sostenetelo col sangue e colla spada.
Cavaliere. (Bravo, Fabrizio, bravo). (piano alla Contessa)
Contessa.   (Si porta egregiamente).
(piano al Cavaliere)
Giacinto. (Cosa risponder posso senz’armi e senza gente?)

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Signore, ecco il contratto; cedo non per timore,

(tirando fuori dalla tasca un foglio)
Ma faccio un sagrifizio in grazia del valore.
Prenda. (si accosta per dargli la carta)
Fabrizio.   Non vi accostate. (ponendosi colla spada in difesa)
Giacinto.   Offenderla non voglio.
Fabrizio. Mettete sulla punta di questa spada il foglio.
Giacinto. Ma perchè? (mostra aver paura della punta)
Fabrizio.   Non tardate.
Giacinto.   Si fermi in cortesia.
(vuole infilare la carta, e Fabrizio muove la spada)
(Una paura simile non ebbi in vita mia).
Cavaliere. (E graziosa la scena). (piano alla Contessa)
Contessa.   (Che scena inaspettata!)
(piano al Cavaliere)
Fabrizio. Infilzate la carta. (minacciandolo)
Giacinto.   Sì signor, l’ho infilzata.
(gli riesce d’infilzarla, e si ritira contento)
Fabrizio. Questo contratto indegno si laceri così. (lo straccia)
Sposatevi, Contessa.
Contessa.   Mi ho da sposar? con chi?
Fabrizio. Col Cavalier.
Contessa.   Davvero!
Fabrizio.   Col Cavalier, vi dico.
Giacinto non si oppone.
Giacinto. Per me non contraddico.
Fabrizio. Animo, in mia presenza si faccia il matrimonio;
Potrà il signor Giacinto servir di testimonio.
Giacinto. (Anche di più).
Fabrizio.   Che dite?
Giacinto.   Son qui, so il mio dovere.
Fabrizio. Via porgete. Contessa, la mano al Cavaliere.
Contessa. (Per burla, oppur davvero?) (piano al Cavaliere)
Cavaliere.   (Son pronto in ogni modo).
(piano alla Contessa)

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Contessa. (Così senza pensarvi? Bellissima sul sodo).

(piano al Cavaliere)
Cavaliere. (Volete, o non volete?) (piano alla Contessa)
Fabrizio.   Si perde il tempo in vano.
Contessa. (Che mi consiglia il cuore?)
Fabrizio.   Porgetevi la mano.

SCENA XI.

Don Paolino e detti.

Paolino. (Parmi sia la Contessa dubbiosa nel pensiero.

Non vorrei dallo scherzo che si passasse al vero).
(da sè, in disparte)
Cavaliere. Ma su via, risolvete. (alla Contessa)
Contessa.   Pria che la mano e il core...
Paolino. Contessa, con premura vi cerca il genitore.
Contessa. (Opportuno è il riparo). Vado agli ordini suoi.
Fabrizio. Ma sposatevi in prima.
Contessa.   Ci sposerem da poi. (parte)
Fabrizio. Dunque se è il matrimonio per or procrastinato,
Anche il signor Giacinto restar può sollevato.
Vada liberamente, e di ogni buon servizio
Gli rende mille grazie il capitan Fabrizio.
(si scopre levandosi i baffi, e parte)
Paolino. E se il signor Giacinto non prende altro cammino,
Gli fiaccherà le spalle il capitan Paolino. (parte)
Cavaliere. E l’autor della burla, che appunto io sono quello,
Riverente s’inchina al capitan Coviello. (parte)
Giacinto. Ah, cospetto di bacco!... Zitto, che niun mi senta.
Mi tremano le gambe, e tutto mi spaventa.
A un par mio! me l’han fatta. Mi perdo e mi confondo:
Ah, vuò pregarli almeno, che non lo sappia il mondo.
(parte)

Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Edd. Guibert-Orgeas, Zatta e altre: Lasciamolo riposare.
  2. Edd. Guibert-Oigeas, Zatta e altre: Spero che anderà bene ecc.
  3. Così l’ed. Guibert e Orgeas. Nelle edd. Pitteri, Zatta ecc. si legge: diffido.
  4. Zatta: Eccolo appunto; è desso.
  5. Così Guibert-Orgeas, Zatta e altri. L’ed. Pitteri stampa: diveniria.