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246 ATTO QUARTO
Fabrizio. Sì, signor.

Conte.   Ehi, sentite. Con grazia del padrone,
Un po’ di rosolino per far la digestione.
Fabrizio. Subito, immantinente.
Conte.   Sono ai liquori avvezzo.
Fabrizio. (Se aspetta il rosolino, vuol aspettarlo un pezzo).
(parte)
Cavaliere. Pensando al caso nostro, com’io diceva innante,
Noi siamo gli assediati. Giacinto è l’assediante.
Siccome la Contessa lo sdegna e lo disprezza,
Ei pensa per assalto entrar nella fortezza.
Egli vien provveduto di gente e munizione,
Lusingasi il presidio pigliare a discrezione;
Ed aperta la breccia, ei si lusinga e spera,
Presa la cittadella, piantar la sua bandiera.
Noi con vigor le mura difendere possiamo,
Ma di un vil capitano vogl’io che ci burliamo;
E delle sue minacce fingendo aver timore
Vuò che proviamo in rete tirar l’assalitore.
Spieghiam bandiera bianca. Eccolo qui, in un foglio
Col guerrier valoroso capitolare io voglio;
E far che il gran disegno di lui, che ora ci assedia,
In questo luogo istesso si termini in commedia.
Udite questa lettera, che a lui mandare io voglio;
Poi vi dirò il mistero, per cui formato ho il foglio.
"Signor, che pel valore che in voi cotanto vale,
"Posso paragonarvi di guerra a un generale,
"A voi con questa carta vengo a raccomandarmi,
"E chiedovi per grazia la sospension dell’armi.
" Resistere non voglio colla difesa audace;
"Con umile rispetto triegua domando, e pace.
"Arrendermi son pronto con il presidio istesso:
"Vi darò della porta le chiavi ed il possesso;
"E la dama vezzosa, ch’è il nostro comandante,
"Resterà prigioniera del capitano amante.