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L'APATISTA 251
Per me della Contessa la destra non isdegno.

Posso adempir con essa a un onorato impegno.
Ma se per conseguirla ho da impiegare il pianto,
La grazia di una donna non merita poi tanto.
S’io deggio ringraziarla, che m’abbia il cuor concesso,
Per quel ch’io le concedo, dee far meco lo stesso.
Che se per l’uomo impiega essa le grazie sue,
È inutile l’amore, quando non siamo in due. (parte)

SCENA VI.

Fabrizio ed il Cavaliere che torna.

Fabrizio. Signor. (chiamando il Cavaliere)

Cavaliere.   Che c’è di nuovo?
Fabrizio.   La lettera ho recata
Io stesso, e la risposta in voce ho riportata.
Cavaliere. Che disse il formidabile signor Giacinto?
Fabrizio.   Udite;
Se ben me ne ricordo, ve lo dirò, stupite.
Vanne dal Cavaliere, di’ che uom di valore
Saprà fra quella mura venir senza timore.
Digli che or or mi aspetti; digli che non pavento
Gli ospiti e i servi loro, se fossero anche cento.
Digli poi ch’io mi fido della parola data,
Ch’io non vuò per paura condur la gente armata.
Ma sol perchè si vegga, s’io merito rispetto,
Condurrò i miei seguaci del Cavalier nel tetto.
(procura imitare la caricatura di Giacinto)
Cavaliere. Egli non ha timore, ma un poco di spavento.
Venga pur, ch’io mi voglio pigliar divertimento.
Fabrizio. Sento rumor.
Cavaliere.   Che fosse?...
Fabrizio.   Eccolo, appunto è desso1.
Son preparati i servi, vo a prepararmi io stesso. (parte)

  1. Zatta: Eccolo appunto; è desso.