L'apatista o sia L'indifferente/Atto V

Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

La Contessa e don Paolino.

Paolino. Dunque se non portavami la smania mia gelosa,

Data avreste la mano al Cavalier di sposa?
Contessa. Chi sa?
Paolino.   Chi sa, mi dite? ah barbara, inumana!
So che del vostro amore la mia lusinga è insana.
Contessa. Quai termini son questi? qual stile inusitato?
Paolino. Sono gli ultimi sforzi di un cuor ch’è disperato.
Finor colla speranza tenni l’ardire a freno;
Ora calmar non posso i miei trasporti in seno.
Ditelo voi, crudele, se fui discreto amante,
Se in dubbio di mercede v’amai fido e costante;
Ditelo, se il mio labbro prosontuoso, ardito,

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In mezzo a’ miei sospiri fu delirar sentito.

Penai barbaramente, penai, ve lo confesso,
Nel periglio di perdervi ad un rivale appresso;
Ma sperai superarmi colla ragion per guida,
E vi credei, spietata, all’amor mio più fida.
Or che vi scopro appieno ingrata all’amor mio.
Or che il dover scordate, perdo il rossore anch’io.
Datevi ad uno in braccio, che amor non vi promette;
Il vostro pentimento farà le mie vendette.
E piangerete un giorno quel core abbandonato,
Che vi amò dolcemente, che non avete amato.
Ah sì, che voi mi amaste, sì, che mi amaste un giorno:
Vidi d’amore i segni in quel bel viso adorno;
Ma oimè, che quelle luci meco non fur le stesse,
Dacchè sacrificaste l’amore all’interesse.
Qual bene aver sperate dalle ricchezze al mondo,
Se un dolce amor non penetra del vostro cuore il fondo?
Ah Contessa, Contessa, vi torneranno in mente
I rimproveri un giorno di un amator dolente;
E tardi, e fuor di tempo, piena di un tetro orrore,
Direte fra voi stessa: Fosti pur dolce amore!
Deh soffrite con pace gli ultimi accenti miei,
Finchè libera siete, sono i sospir men rei.
Sposa di un mio rivale, non mi vedrete in viso;
Eternamente il fato vuolmi da voi diviso.
Ma nell’estremo istante non mi negate almeno,
Che sollevare io possa con questo pianto il seno.
Contessa. Oimè, qual duro peso premer mi sento al cuore!
Mi si abbaglian le luci. (si getta sopra una sedia)
Paolino.   (Deh non tradirmi, amore).
Se una scintilla ancora, bella, del primo foco
Arde nel vostro seno, fede, costanza invoco.
Cresca l’ardor sepolto, cresca la fiamma a segno,
Che pietà mi conceda, se son d’amore indegno.
Contessa. (Ah, resister non posso). (si copre col fazzoletto)

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Paolino. Eccomi al vostro piede.

(s’inginocchia a lei vicino)
Non partirò, mia vita, se il vostro cuor non cede.
(Stando in ginocchio si appoggia col capo alla sedia senza parlare, e la Contessa rimane immobile col fazzoletto agli occhi.)

SCENA II.

Il Conte Policastro e detti.

Conte. (Entrando nella camera vede li due nella positura suddetta, osserva un poco, poi pian piano torna a partire senza dir niente.)

Contessa. Sento gente. Levatevi. (s’alza)
Paolino.   Non vi è nessun, mia cara.
(alzandosi)
Ah, sempre più vi scorgo meco di grazie avara.
Per togliervi dappresso a un infelice oggetto,
Basta a giustificarvi un’ombra di sospetto.
Siam soli, e pria che alcuno s’inoltri a queste porte,
Datemi la sentenza di vita, ovver di morte.
Ditemi, se soffrire deggio un sì rio tormento;
Per soddisfarvi ancora saprò morir contento.
Contessa. Ah, non credea vedermi condotta a questo passo.
Son donna, e nel mio seno non chiudo un cuor di sasso.
Di forza e di coraggio posso arrogarmi il vanto;
Ma oimè, non so resistere in faccia a un sì bel pianto.
Don Paolino, vinceste. Vi amo, ma che per questo!
Posso mancar di fede a un cavaliere onesto?
E voi, che ospite siete del Cavaliere istesso,
Tradireste l’amico dalla passione oppresso?
Paolino. La mia ragione è antica: non ebbe in questo loco,
Suscitato dal caso, principio il nostro foco.
Mia veniste qua dentro, mia per legge d’amore:
Reo non son io, se tento ricuperar quel core;

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E a rendermi innocente con il cortese amico,

Basta che voi diciate, che l’amor nostro è antico.
Contessa. No, più a tempo non sono; ei sospettollo in pria;
Libera in faccia ad esso vantai quest’alma mia.
E (ve lo dico in faccia) libera fui finora;
Ma son pietosa e tenera con chi pietade implora.
Questi caldi sospiri, questo languirmi innante,
Quel che non fui per anni, mi rese in un istante.
Ma ancor vieppiù sincera di ragionar consento:
È ver, del Cavaliere il freddo cor pavento.
Da un’alma indifferente non spero essere amata;
Il mio danno preveggo, ma la parola ho data.
Paolino. Dunque...
Contessa.   Dunque cessate di sospirare invano.
Paolino. Oh barbara sentenza! oh destino inumano!
Se abbandonar vi deggio, perchè mai dir d’amarmi?
Meglio per me, che almeno finto aveste d’odiarmi.
Avrei coll’odio vostro sofferto un sol tormento,
Ma dall’amor la pena moltiplicarmi io sento.
Pure obbedirvi io deggio ad ogni costo ancora.
Si ha da partir? si parta. Si ha da morir? si mora.
Deh, pria ch’io porti il piede dall’idol mio lontano.
Possa un umile bacio stampar su quella mano.
Contessa. L’onor mio nol consente.
Paolino.   Amor mi reca ardire.
(accostandosi)
Contessa. Che ardireste di fare? (fra il fiero ed il tenero)
Paolino.   Su questa man morire.
(gli prende la mano per forza)
Contessa. Lasciatemi.... (si libera da don Paolino)
Paolino.   Crudele.
Contessa.   In qual misero stato....

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SCENA III.

Il Cavaliere e detti; poi Fabrizio.

Cavaliere. Ho sentito gridare. Che vuol dir, cos’è stato?

(li due rimangono confusi senza parlare)
Miei signori, tacete? Veggovi il volto acceso.
Siete molto confusi. Basta così; v’ho inteso.
Contessa. Non crediate, signore...
Cavaliere.   Ben ben, ci parleremo.
(sostenuto)
Paolino. Un cavalier d’onore....
Cavaliere.   L’onor difenderemo.
(come sopra)
Chi è di là? (da sè)
Paolino.   (Che pretende?) (da sè)
Contessa.   (Aimè, qualche disastro).
(da sè)
Fabrizio. Che comanda?
Cavaliere.   Chiamate il conte Policastro. (sostenuto)
Fabrizio. Subito. Ho da tornare a far da capitano.
Coi baffi sul mostaccio e colla spada in mano?
Cavaliere. Eseguite il comando.
Fabrizio.   Subito, sì signore.
(Questa volta il padrone mi par di malumore).
(parte)
Contessa. Signor, la mia condotta voglio giustificata.
Cavaliere. Vi conosco abbastanza. (serio)
Paolino.   È una dama onorata.
Cavaliere. Questa difesa vostra può rendersi sospetta.
(come sopra)
Paolino. Spiegatevi, signore.
Cavaliere.   Lo farò. Non ho fretta.
(come sopra)

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SCENA IV.

Il Conte, Fabrizio e detti.

Conte. Eccomi qui.

Cavaliere.   Sediamo. (tutti siedono)
Fabrizio.   (Paion tutti arrabbiati). (da sè)
Conte. (Mi rallegro). (piano alla Contessa e a don Paolino)
Paolino.   (Di che?) (al Conte)
Conte.   (Che siate risvegliati).
(come sopra; poi va a sedere dall’altra parte, presso il Cavaliere)
Cavaliere. Conte, non è più tempo che si nasconda il vero.
Più non giova il celarsi; scoperto è il gran mistero.
Nel cuor di vostra figlia so quale amor si aduna...
Conte. S’ella non vi vuol bene, io non ne ho colpa alcuna.
Contessa. Voi non sapete ancora... (al Cavaliere)
Cavaliere.   Per or datevi pace.
(alla Contessa)
Paolino. Parlerò io per tutti. (al Cavaliere arditamente)
Cavaliere.   In casa mia si tace.
(a don Paolino)
Da cavalier qual sono, parlar mi sentirete;
E fintanto ch’io parlo, signori miei, tacete.
Conte...
Conte.   A me non parlate, che inutile sarà.
Cavaliere. Voglio parlar con voi.
Conte.   Parlate: eccomi qua.
Cavaliere. Voi, colla vostra figlia da me con un pretesto
Questa mane veniste, in apparenza onesto.
Io con vero rispetto e con sincero amore,
Accolsi in queste mura la figlia e il genitore.
Conte. È vero; e ci faceste un pranzo esquisitissimo.
Cavaliere. Ma però....
Conte.   Quel bodino mi è piaciuto moltissimo.
Cavaliere. Posso parlar?
Conte.   Parlate.

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Cavaliere.   La mia sincerità

Veggo mal corrisposta.
Conte.   Vi è qualche novità?
Cavaliere, S’introduce un amico...
Paolino.   L’amico è un uom d’onore.
(al Cavaliere)
Cavaliere. Ora con voi non parlo. (a don Paolino)
Conte.   Zitto. (a don Paolino)
Contessa.   (Mi trema il core).
(da sè)
Cavaliere. Un amore segreto si nutre e si coltiva?
Destasi un’altra fiamma, quando la prima è viva?
Simile trattamento non dee andar senza pena.
Le mie risoluzioni...
Conte.   A che ora si cena?
(al Cavaliere, che mostra impazientarsi)
Paolino. Signor, che pretendete? (al Cavaliere)
Cavaliere.   Vi sarà noto or ora.
(a don Paolino)
Contessa. L’onor mio non s’offenda.
Cavaliere.   Chetatevi, signora.
Conte. Zitto. (alla Contessa)
Cavaliere.   Un zio generoso amando i suoi nipoti,
Di renderli felici spiega morendo i voti.
Ordina i lor sponsali, e per sfuggir le liti
Brama che i di lui beni possan godere uniti.
Obbedire vorrebbe la dama al testatore,
Ma al bel desio contrasta un radicato amore;
Sforza il cuore all’azzardo, vien vigorosa e franca.
Vuol superar l’affetto, ma il suo valor poi manca.
Del nuovo sposo il volto forse non spiace ai lumi,
Ma al cuor di molle tempra dispiacciono i costumi.
Ella brama un amante tenero e lusinghiero,
E un cavalier ritrova, che colle donne è austero.
Di superar procura quest’avversion fatale,

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Ma dell’amante in faccia la sua ragion non vale.

Abbastanza, Contessa, giustificata or siete.
Ma il cavalier... (verso don Paol., mostrando sdegno)
Paolino.   Signore.... (al Cavaliere)
Cavaliere.   Io vuò parlar.
(a don Paolino, con finto sdegno)
Conte.   Tacete, (a don Paolino)
Cavaliere. Il cavaliere amante per gelosia venuto
Del rival fra le soglie, soffrir non ha potuto.
E nell’atto di perdere l’amabile tesoro,
Disse alla sua diletta, io vi abbandono e moro.
Le follie degli amanti so che orribili sono;
Il suo destin compiango, e la follia perdono.
Quello di cui mi lagno, che merita vendetta,
Quello che risarcire all’onor mio si aspetta,
Conte... (affettando sdegno)
Conte.   Non ne so nulla.
Cavaliere.   È la rea diffidenza,
Con cui ad un amico negar la confidenza.
Perchè non isvelarmi il loro cuore oppresso?
Avrei le brame loro sollecitate io stesso;
Perder temea la dama del testamento il frutto?
Se la metà non basta, son pronto a ceder tutto.
Si può con un accordo render comune il danno;
Il zio non ha creduto di rendersi tiranno,
Ed io che non coltivo un animo rapace.
Non curo le ricchezze a costo della pace.
Quello che non si è fatto, facciasi pur, se vuole,
E rispondano i fatti al suon delle parole.
Ma pure una vendetta al torto che mi han fatto,
Conte, ve lo protesto, vuò fare ad ogni patto.
Io che mai per costume son solito adirarmi,
Questa volta lo sdegno mi sforza a vendicarmi.
Ecco la mia vendetta. Quegli occhi sì vezzosi,
(tenero affettato)

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Che i cuori più inumani pon rendere amorosi.

Quelle guance vermiglie, quel bel labbro ridente,
Sappian che del suo bello non me n’importa niente.
Sia certa la Contessa, che qual l’avrei veduta
Senza passion mia sposa, l’ho senza duol perduta.
E se è ver, che la donna pretenda essere amata,
Colla mia indifferenza l’ingiuria ho vendicata.
Contessa. L’insulto che mi fate, è di una dama indegno.
(s’alza)
Sentomi ch’io non posso più trattener lo sdegno.
Cavaliere. Contessa, i sdegni vostri di provocar tentai;
Se mi riuscì l’impresa, son vendicato assai.
Perdonate, signora; quel che scherzando ho detto.
Non scema al grado vostro la stima ed il rispetto.
E quella indifferenza, che agli occhi vostri ostento,
Sdegno non la produce, ma il mio temperamento.
Con voi non sono irato, fìnsi così per gioco:
Godo d’aver io stesso scoperto il vostro foco.
E se don Paolino di vero cuore amate,
Sian le nozze concluse, e a consolarvi andate.
Contessa. Quasi rider mi fate.
Cavaliere.   Ride quel bel bocchino!
Come si sente il core, signor don Paolino?
Ma con voi mi scordavo, che vendicarmi or resta:
Giovine sconsigliato, la mia vendetta è questa.
Ospite qua veniste con mascherato amore,
Vi accompagni partendo il rimorso, il rossore.
Paolino. Deh perdonate, amico...
Cavaliere.   Per me vi ho perdonato;
Provai non poca pena a fingermi sdegnato.
Le pazzie compatisco d’un violento affetto,
E che mi guardi il cielo da un simile difetto.
Ma il conte Policastro, che venne unitamente
A tramar quest’insidia....
Conte.   Amico, io non so niente.

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Cavaliere. Merita che si fulmini contro di lui la pena.

Conte. Cosa volete farmi?
Cavaliere.   A letto senza cena.
Conte. No, per amor del cielo.
Cavaliere.   Orsù, siete contento
Per la vostra figliuola di questo accasamento?
(al Conte)
Conte. Basta non vi sian liti.
Cavaliere.   Liti non vi saranno:
Le cose in buona pace fra noi si aggiusteranno.
Son cavalier d’onore, vi do la mia parola.
Contessa. Che dice il signor padre?
Conte.   Fate pur voi, figliuola.
Cavaliere. Via datevi la mano. Siam qui Fabrizio ed io;
Noi sarem testimoni. (alla Contessa e a don Paolino)
Fabrizio.   Quest’è l’uffizio mio.
Paolino. Contessa mia.
Contessa.   Son pronta.
Paolino.   Ecco la man.
Contessa.   Prendete.
(si danno la mano)
Cavaliere. Siete moglie e marito. Ora contenti siete.
Per voi non vi è nel mondo maggior felicità;
Io credo esser felice vivendo in libertà.
Godon talora i sposi, talor vivono in duolo:
Io son sempre lo stesso, godendo di star solo.
E parmi di godere assai perfettamante
I beni della vita, se sono indifferente.
Sia amica la fortuna, siami contraria e trista,
Nel mal, come nel bene, io sono un Apatista.
Altro ben che la pace, altro piacer non v’è:
Uditori cortesi, ditelo voi per me.

Fine della Commedia.