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L'APATISTA 255
Cavaliere. Oh clemenza, oh bontade, oh grazia inaspettata!

Vo tosto a consolare la dama innamorata. (si alza)
Meno non si poteva sperar da un sì bel core;
Condurrò la Contessa a domandarvi amore. (parte)

SCENA VIII.

Giacinto solo.

Ecco cosa vuol dire farsi stimar; cospetto!

Sono un uomo terribile, qualora io mi ci metto.
Amici, state pronti, se mai... ma dove sono?
Povero me! mi lasciano gl’indegni in abbandono?
Là dentro non li veggo. Dove mai sono andati?
Qua dentro non mi fido restar senza gli armati.
Li troverò. (in atto di partire)

SCENA IX.

Il Cavaliere, la Contessa ed il suddetto.

Cavaliere.   Signore. (chiamandolo)

Giacinto.   Gli uomini dove sono?
Cavaliere. Son nel cortil che ballano d’una chitarra al suono.
Giacinto. Sappiano immantinente, che il lor padron li chiama.
Cavaliere. Ecco, signor Giacinto, presentovi la dama.
Giacinto. Sì, signor, l’ho veduta. Vengano quei villani.
(mostrando sdegno e paura)
Cavaliere. Ehi; chiamateli tosto. (verso la scena)
  (Sono un pezzo lontani). (da sè)
Giacinto. (Par che il cor mi predica...)
Contessa.   Come! con tal disprezzo
Colle dame mie pari siete a trattare avvezzo?
Giacinto. Compatite, Contessa, sono un poco alterato.
Contessa. Con chi?
Giacinto.   Con quei bricconi, che mi hanno abbandonato.
Contessa. Un uomo come voi, terribil per natura,
Per questo si sgomenta, e trema di paura?