L'Argentina vista come è/La giustizia Argentina

La giustizia Argentina

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Il Governo in azione La polizia Argentina
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LA GIUSTIZIA ARGENTINA.1

Il generale Roca, durante la sua ultima tournée in Europa, andò a visitare Bismarck, che nell'eremitaggio di Friedrichsruhe era diventato come l'oracolo politico di tutti gli statisti in vacanza. Si dice che in quella circostanza l'Oracolo, interrogato su ciò che pensava dell'Argentina, rispondesse, fra una boccata e l'altra della sua pipa leggendaria:

— Il vostro paese non avrà avvenire finchè non avrà Giustizia!

Sono passati degli anni, ma c'è da scommettere che, anche oggi, se il signor Presidente potesse interrogare l'anima del Gran Cancelliere, si sentirebbe rispondere con le medesime parole.

Perchè infatti si può dire che in quel beato paese c'è tutto ormai, meno che la Giustizia. La libertà, il commercio, la proprietà, e persino la vita non vi sono sempre efficacemente garantiti. Troppo sovente la Giustizia è partigiana o corrotta. In essa trovano forza la prepotenza, la disonestà, la criminalità. La Giustizia, soggetta spesso a tutte le malsane influenze dei partiti, [p. 74 modifica] del denaro e degl'interessi personali, assicura troppe volte l'impunità al «figlio del paese» — che può disporre di queste forze — e concorre così a mantenere la massa straniera in una condizione sempre più umile di sottoposizione.

E tutto questo perchè anche la Giustizia soffre laggiù del gran male d'origine: la politica. Nasce e vive nella politica; è agitata dalle passioni della vita pubblica; strettamente legata all'ambiente; bruttata dagli stessi difetti e delle stesse colpe che è chiamata a correggere e a punire. Gli uomini che amministrano la Giustizia sono nominati a tale onore non sempre per i loro meriti personali, per il loro carattere, la loro onestà, la loro indipendenza, la loro coltura, ma perchè sono del partito al potere, oppure amici o parenti di persone d'influenza, o intriganti, o complici in trame politiche. Avviene così di trovare dei giudici che non hanno nessuno dei requisiti che la legge richiede. «A Santiago de l'Estero non un solo membro del Potere Giuridico possiede i requisiti costituzionali.» (Giornale La Prensa 3 novembre). Immaginiamo quale autorità può emanare da questi magistrati. Il peggio è che vi sono dei giudici ben altrimenti indegni del loro posto specialmente nei gradi minori della magistratura. «In certe provincie la libertà, l'onore e i beni della povera gente sono in mano di Giudici di Pace degni della galera», — scriveva la Patria degli Italiani il 7 dell'aprile passato, giustamente esasperata da alcune infamie giudiziarie commesse nella provincia di Cordoba; e aggiungeva: — «Ecco perchè nelle campagne gli stranieri vivono a disagio e le colonie si spopolano. La Giustizia di Pace in mano a malfattori volgari irrita e disamora del paese gli emigranti, che vedendosi in balìa di furfanti rivestiti di autorità fuggono, sottraendosi al peggiore dei dispotismi, quello della giustizia amministrata da farabutti.» Vi sono troppi giudici che hanno familiarità con la colpa: alcuni di essi [p. 75 modifica] debbono all'appartenere alla giustizia il beneficio di non esser chiamati a renderle conto delle loro azioni. Vi sono giudici che hanno subìto delle condanne; vi sono dei recidivi; vi sono dei criminali.




Se nelle alte sfere della magistratura non mancano dei buoni e dei colti, ciò non toglie che l'organismo giudiziario non sia profondamente guasto, e — questo è un sintomo grave — poco vi si bada. Un commissario governativo, incaricato di un'ispezione nella provincia di Santa Fè, dice nel suo rapporto che «i posti di Giudice di Pace appartengono a covi di uccelli di rapina che si sono stabiliti in ogni colonia.» (La Prensa 20 aprile). La Prensa dell'11 aprile riporta questi apprezzamenti del giornale La Verdad di Entre Rios: «Sono note le azioni vergognose compiute da certi magistrati. Tutto han commesso, dalla prevaricazione al furto, fino al sindacato dei giudici con i procuratori, ecc. Tutto ciò ha spinto la nostra giustizia in una discesa obbrobriosa, trascinando nella sua débâcle di corruzione i grandi interessi della società che si trova abbandonata alla voracità dei saccheggiatori dei Tribunali.»

Si è arrivati al punto da contare, nelle campagne, i buoni giudici come eccezioni. «I Giudici di Pace e i commissarî delle colonie, salvo oneste eccezioni, spogliano, derubano, taglieggiano i poveri coloni.» (Patria degli Italiani, 20 novembre). La Prensa del 22 aprile consiglia il governatore di Cordoba a nominare per giudici «uomini onesti e degni per sollevare le popolazioni dai molti mali che le affliggono a causa dei cattivi giudici.» Il consiglio è ottimo anche per tutte le altre provincie della Repubblica. [p. 76 modifica]

Le accuse a carico di giudici piovono giornalmente sulle colonne dei giornali di tutti i partiti, ma le autorità governative rimangono bene spesso indifferenti. La Nacion ha fatto, inutilmente, una vera campagna contro un giudice molto influente della Capitale, accusandolo velatamente di vita immorale, scandalosa, di affari loschi, di parzialità. Alcune di quelle schiave bianche, che infami trafficanti traggono con inganno dai villaggi d'Europa, e per la cui sorte i Governi ora cominciano a preoccuparsi, riuscirono a fuggire dalle mani dei loro «padroni» e ricorsero alla polizia, che arrestò i colpevoli. Ma il giudice in questione diede ordine di liberarli e fece carcerare quelle infelici. La stampa accusò il giudice d'aver favorito degli «amici personali»; ed egli è sempre giudice! Un altro giudice proscioglie dei detentori di bische clandestine e poi ordina che sia tolta ogni sorveglianza sulle case da giuoco: viene accusato di favoritismo, ma resta sempre giudice. Un giudice è denunziato per falsificazione in atto privato e non viene nemmeno sospeso dalle funzioni. (Patria, 30 dicembre). La Prensa riporta da un giornale provinciale che parla della giustizia corrotta: «Il potere esecutivo non pensa a porvi un rimedio, anzi ora si tratterebbe di dare un avanzamento a qualcuno dei magistrati sotto la cui giurisdizione sono scomparse considerevoli somme di denaro appartenenti ai depositi giudiziari...»

Nelle Colonie vi sono di quei giudici che per ironia si chiamano di pace, che fanno ordinanze di sequestro a danno dei coloni, portando loro via i raccolti, gli animali da lavoro, gli attrezzi, tutto, e lasciandoli spesso nella più dolorosa miseria. (La Liberdad di Cordoba, 2 aprile).

Un gruppo di coraggiosi, abitanti un pueblito nel Rio Negro, ha domandato al ministro della giustizia di ritirare il Giudice di Pace e sostituirlo con una persona per bene. Quel degno magistrato sarebbe stato [p. 77 modifica] già da anni accusato di gravi colpe commesse come giudice a General Roca — paese del Rio Negro — poi d'irregolarità come capo del Registro Civile. Ora il giudice recidivo è accusato di negata giustizia, di favoritismo per partitarî politici; ma non basta; è anche accusato di aver tentato, usufruendo della sua autorità, di portar via una fanciulla minorenne alla madre, infine di complicità nel ratto d'un'altra minorenne, la quale sarebbe stata rinchiusa per alcuni giorni nella di lui casa. Il rapitore era il figlio del giudice. Il segretario di questo magistrato è sotto l'accusa di tentato assassinio. (Prensa, 3 marzo).




Gli escandalos judiciales, sia pure di questi ultimi mesi, formano un'imponente raccolta di cose orribili e talvolta amene. Nelle provincie la vendita della giustizia è una cosa purtroppo non rara. Qualche giudice ha delle trovate originali in questioni di... affari; uno domandò all'avvocato della parte favorita alcune monete per un amico numismatico, al quale mancavano precisamente sette aguilas nord-americane d'oro (settecento lire) alla sua collezione. Vi sono anche dei giudici che si fanno pagare dalle due parti: la giustizia al migliore offerente. Fra tutti, eccovi un caso che fa pensare ad un intreccio da pochade. Un italiano che vive a Serodino — presso Rosario — e che chiameremo con la sua iniziale V., ha comperato da un altro italiano una trebbiatrice, la quale però è perseguitata da un mandato di sequestro, come un cassiere in fuga. Un curatore si presenta a Serodino per fare eseguire il sequestro; ma il Giudice di Pace della colonia, pagato dal V., si rifiuta di eseguirlo, dando così [p. 78 modifica] tempo al V. di correre a Rosario, di presentarsi in compagnia del suo avvocato al giudice L., che aveva spiccato l'ordine di sequestro, e di ottenere la revoca mediante il pagamento di cento pesos. Il curatore, informato dell'accaduto dal segretario del giudice, corre alla sua volta dal magistrato, paga duecento pesos e si fa spiccare un secondo decreto di sequestro, revocante la revoca. Seguite bene l'intreccio. Il segretario del giudice telegrafa immediatamente a Serodino al V., informandolo, e questi si precipita a pagare trecento pesos ottenendo una seconda revoca. Qui incomincia il fantastico. Il curatore, con un crescendo che il valore della macchina giustifica (6000 pesos) aumenta la somma e ottiene un nuovo ordine di sequestro che... viene revocato dietro il pagamento di mille pesos. Forse la cosa non sarebbe finita qui e il giudice avrebbe terminato per intascarsi la trebbiatrice se il V. non avesse avuto l'idea felice d'associare agli utili della trebbiatura un argentino influente, e, si capisce, non s'è parlato più di sequestri.

Una tale corruzione, se è in certo modo spiegabile nei Giudici di Pace, che hanno un periodo di carica limitato ad un anno, rinnovabile, e che sono senza stipendio — è vero che per legge dovrebbero essere scelti fra i più ricchi e i più onorati cittadini! — è assolutamente incomprensibile negli altri giudici i cui stipendî, che si parla di aumentare, variano sui mille e cento, mille e duecento, mille e cinquecento pesos al mese (2750, 3000, 3750 lire circa al mese). Le cause vanno ricercate dunque non nelle circostanze, ma negli uomini. È la coscienza che si è modificata. Le colpe e i delitti sono guardati con occhio soverchiamente benigno.

Assassini volgarissimi sono assolti per poco che godano d'influenze nel mondo politico. O almeno sono rilasciati ad una libertà provvisoria che dura a vita d'uomo, e i loro processi vengono sospesi nel [p. 79 modifica] purgatorio degli archivî. Da un'inchiesta del Ministero della Giustizia risulta che a Buenos Aires — dove funzionano una giustizia senza paragoni migliore di quella delle provincie, ed una polizia che laggiù dicono la premiera del mundo: — sopra ogni cento delitti ne vanno impuniti ottantotto! E cioè: trenta colpevoli non sono arrestati affatto; degli arrestati quarantotto sono rilasciati per ordine dei giudici d'istruzione; dei ventidue che rimangono, dieci sono assolti dai tribunali e non rimangono puniti che... dodici colpevoli, a pene del resto quasi sempre benigne se non si tratta di stranieri. (Dal Diario del 23 marzo '99 e dall'ultima pubblicazione del senatore Agostino Alvarez sulla politica argentina).

Figuriamoci che cosa avviene fuori della capitale!


E la necessità d'una sana e rigida giustizia non è in nessun luogo così fortemente sentita come in quei paesi giovani, spinti avanti dal rapido accrescimento della operosa popolazione dovuto all'emigrazione, dove tutti gli appetiti si risvegliano nel tumultuoso periodo dello sviluppo, dove la lotta per la fortuna prende forme violentissime, dove gl'interessi e le passioni scatenano nella mobile società — come il maestrale nell'Oceano — tutte le tempeste dell'umana malvagità. Nel Far-West nord americano, quando il miraggio della fortuna vi attirò tutto un popolo di avventurieri pronti al delitto prima che quella società avesse affidato la sua difesa ad una giustizia organizzata, nacque la legge di Lynch; la società si difendeva da sè.

La criminalità nell'Argentina non è frenata dai rigori della giustizia, nè da quelli della società. [p. 80 modifica]

La società è clemente verso la colpa; «noi succhiamo nascendo un latte di clemenza» — ha scritto l'Alvarez. Nelle campagne ammazzare si dice una desgracia; ma, intendiamoci, non è una disgrazia per chi ci rimette la pelle, ma per l'assassino. C'è chi ha, poveretto, molte... disgrazie sulla coscienza. Questi uomini si chiamano «uomini d'azione». Tutto questo si spiega. È troppo fresco nella memoria il ricordo del periodo sanguinoso dei Facundo, dei Frate, dei Chacho, del tiranno Rosas, a petto ai quali i nostri capitani di ventura erano delle signorine sentimentali, periodo che potrebbe chiamarsi il medioevo argentino. E le stragi degl'indiani, le sanguinose guerre civili sono ancora nella mente del popolo. E poi il sangue argentino è sangue andaluso con un pochetto di sangue indiano, e perciò l'argentino è cortese, cavalleresco, generoso forse anche, ma bene spesso impetuoso e violento. «Nell'Argentina dall'epoca dell'indipendenza nessuna infermità ha distrutto più popolazione» — ha scritto l'Alvarez — «di quella che Chamfort chiamava la fraternità di Caino; il revolver e il pugnale sono endemici, e per un niente s'ammazza, come vuole l'uso criollo.» La rivoltella è nelle tasche di tutti. «È poco che in un ballo al quale erano convitati alti personaggi» — ha scritto un giorno la Nacion — «un diplomatico straniero espresse la sua sorpresa nel sapere che molti invitati avevano lasciato le loro rivoltelle al guardaroba, come se uscendo temessero un'imboscata, o preparassero una cospirazione.»

Il male è che spesso sono dei nostri connazionali le vittime della «fraternità di Caino» e potrei citare molti, troppi casi d'italiani uccisi impunemente, talvolta senza ragione, per brutalità, se non per un semplice esercizio di tiro al blanco — come ultimamente è avvenuto in una colonia di Santa Fè, dove un gaucho ha ammazzato un giovane italiano per provare un Winchester nuovo. Una madre italiana con i suoi [p. 81 modifica] cinque bambini sono stati trucidati da un criollo presso Bahia Blanca, alcuni mesi fa, e un giornale argentino, che pubblicava la fotografia orribile delle vittime accatastate nel disordine tragico della morte, scriveva: «il colpevole cadrà domani in mano della giustizia per essere posto in libertà per l'influenza d'un caudillo elettorale o per la sensibilità dei giudici.» Un fatto analogo è avvenuto a Raffaela nella sera del 20 settembre passato; due italiani vennero assassinati a tradimento nel loro negoziuccio di almaceneros a scopo di furto, e i colpevoli, due gauchos, sono già liberi. Per un altro fatto consimile il ministro d'Italia, che domandava la ricerca e la punizione dei colpevoli, si sentì rispondere che la Giustizia nelle provincie è autonoma. È ancora vivo a Buenos Aires il ricordo dell'assassinio d'un povero lustrascarpe italiano compiuto dal figlio di un senatore, e quello di un distinto giovane italiano ammazzato a colpi di revolver sulla poltrona d'un teatro. Gli autori rimasero impuniti.

Quali fulmini non dovrebbe scagliare la legge per curare tanto male e così profondo?

Anche quando è buona, l'amministrazione della giustizia è così lenta, complicata e debole che riesce spesso inefficace. Per il commercio, ad esempio, rappresenta una rovina. La Nacion ha con una serie di articoli rivelato tutte le porte che la giustizia difettosa spalanca alla disonestà commerciale. Dei bancarottieri possono impunemente offrire delle percentuali ridicole a saldo dei loro debiti; hanno una frase magica per spaventare i creditori: Se non accettate mi metto nelle mani del tribunale!

Coi tribunali non si sa mai come si vada a finire!

Vi è una legione enorme di curiali, procuratori, curatori, uscieri, che nella lingua del paese sono chiamati con la espressiva denominazione di aves negras — uccelli neri. Questi corvi appollaiati intorno ai [p. 82 modifica] tribunali, si precipitano dove c'è qualche cosa da mangiare, e fra onorarî, percentuali, prebende e propine finiscono ogni cosa, dividendosela con un accordo che somiglia ad una complicità legale. Anche ammettendo l'onestà più scrupolosa nei giudici, è naturale che con una giustizia così organizzata, la rettitudine commerciale non sia nè protetta, nè incoraggiata.

Nelle successioni testamentarie di stranieri avvengono cose infami protette dalla legge. Gli «uccelli neri» non lasciano talvolta una bricciola dei patrimonî raggranellati qui con stenti e lasciati morendo ai parenti lontani. Essi mandano le pratiche a lungo per degli anni, se l'eredità è grossa, per dei mesi se è piccola, fino a che a furia di spese giudiziarie, di emolumenti, di stipendî per curatele quasi tutto è divorato.

Non parliamo dei tranelli nelle compre-vendite, per cui un contadino, supponiamo, che compra un pezzo di terra può trovarsi di non esserne il padrone: non parliamo delle gherminelle dei contratti e di tante altre truffe semi-legali che la Giustizia contempla indifferente.


Tronchiamo questa esposizione di brutture, le quali nulla aggiungono e nulla tolgono al triste quadro della Giustizia argentina.

Di tutti i mali che affliggono quella Repubblica — alla quale tanta fortuna invece potrebbe sorridere — la cattiva Giustizia è il più grave per i nostri connazionali, perchè è quello le cui conseguenze dolorose li colpiscono direttamente e immediatamente. [p. 83 modifica]

Quei governanti argentini che amano veramente il loro paese e che ne vogliono il bene, che desiderano l'aiuto generoso delle nostre braccia e delle nostre simpatie, rivolgano le loro cure al risanamento della Giustizia. La giustizia è la coscienza d'un paese. Se la coscienza si risveglia e si migliora, le azioni divengono buone. Pongano tutto il loro amore e tutta la loro scienza in questo. E nella buona Giustizia l'Argentina troverà precisamente la guarigione di tutte le sue piaghe!




  1. Dal Corriere della Sera del 1-2 giugno 1902.