L'Argentina vista come è/Il Governo in azione
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SULL’ARGENTINA
IL GOVERNO IN AZIONE.1
L’ultima volta, mio buon lettore, abbiamo osservato l’allegra parodia electoral — per dirla con la frase del paese — argentina. Vediamo oggi che cosa ne viene fuori - che, come vedremo, è per noi italiani il più interessante.
E prima di tutto vediamo chi ha il monopolio del Governo nell'Argentina. Un giurista, il prof. Martinoli, in una sua monografia sul Diritto argentino, calcola che tolti gli stranieri, i loro figli ancora in minore età, le donne e i bambini, che se figurano nel censimento non sono per ora nelle liste politiche, e tolti gl’indiani, i semibarbari, i gauchos e tutti i detriti in dissolvimento delle razze inferiori, i quali non sono che «docili e incoscienti strumenti di qualunque Caudillo, rimangono pochi argentini padroni del campo politico.» «Gli argentini, dunque, atti al Governo — egli scrive — sono in franca minoranza, in dichiarata insufficienza, chiamati ad amministrare interessi in enorme proporzione alieni, senza controllo da parte degli amministrati, senza che essi sentano in carne propria il peso principale dei tributi, con tutti i vantaggi in cambio delle cariche pubbliche, e con tradizioni finanziarie ed economiche che non li fan certo raccomandabili come modelli di reggenti ordinati e scrupolosi: formano cioè una vera oligarchia.» Un’oligarchia i cui difetti sono aggravati dalla «infaticabile sfruttabilità dello zio che in questo unico caso è quello di.... Europa.» Si pensi alla gravità di queste parole scritte da un uomo colto e imparziale, straniero, ma strettamente legato alla vita del paese, in posizione elevata, e coprente cariche onorifiche, il quale le ha scritte in una pubblicazione di carattere ufficiale fatta per conto della nostra Colonia.
Il campo dove l’oligarchia — spazia — stavo per dire.... pascola — è straordinariamente vasto. Per averne un’idea basti rammentare che nell’Argentina vi sono tanti Governi indipendenti quante regioni, ossia quattordici Governi, quindici col Governo centrale.
Ciò significa: quindici Camere di deputati, quindici Senati, quindici Ministeri, ossia un battaglione di eccellenze, quindici capi di Stato, quindici polizie, un numero sterminato di giudici che brandiscono la bellezza di trenta Codici di procedura; insomma quindici di tutto. Gli stipendî sono generosi; gli onorevoli deputati e senatori dei Governi regionali hanno 500 pesos al mese (ossia 1250 franchi circa mensili); quelli del Governo federale ne hanno mille (2500 franchi al mese circa), e vi sono gl’incerti, che poi sono quasi sempre.... certi. E pensare che noi troviamo qualche volta troppo un Parlamento solo: e non lo paghiamo! In proporzione, col sistema argentino, noi in Italia dovremmo avere più di cento Parlamenti. Orrore!
Vi sono varie provincie, come quelle di Catamarca, della Rioja, di San Luis, di Santiago de l’Estero, le cui risorse sono insufficienti a pagarsi il lusso di un gobierno; e si capisce. Questo faragginoso organismo governativo, ammessa anche l’onestà più scrupolosa negli uomini di governo, non può che spossare il paese per il solo fatto della sua esistenza. Ma la correttezza, per di più, non è una moneta straordinariamente corrente laggiù.
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Gl’impieghi non sono divisi sempre fra i più degni. «Sono i collaboratori nella lotta elettorale che si presentano a reclamare il premio pagato col tesoro pubblico sotto forma di stipendio per deputazioni, seggi senatoriali, posti di governo, incarichi diplomatici, affari, concessioni, posti di favoritismo, persino frodi doganali, decretati a forza d’influenze ben compensate.» (Giornale La Prensa).
L’idoneità non è più così la qualità necessaria per essere chiamato al disbrigo d’un ufficio pubblico. Un deputato federale argentino, che porta uno dei nomi più illustri della Repubblica, il Belin Sarmiento, ha scritto coraggiosamente su questo argomento: «L’idoneità è scomparsa di fronte alla camerateria e al nepotismo, al punto che il talento stesso non avrebbe assicurata la carriera senza l’intrigo e la compiacenza; si creano posti inutili per dare una paga al parente e al partitario.» A molti funzionarî pubblici manca perciò la capacità necessaria e la preparazione; basta intrigare; la frode politica apre tutte le porte. «La politica qui fornisce un vero cursus honorum, attraverso il quale si può sempre vivere del bilancio e senza far niente con tutto decoro, per divenire infine una specie di Pericle buono a tutto, ambasciate, alte funzioni giudiziarie, direzioni di banchi, rettorati, universitarî, grasse missioni finanziarie, confezioni di codici, o anche... generali.» (Professore Martinoli).
Infatti il giornale El Diario, parlando del Congresso, ha rivelato che «una terza parte, non uno di meno dei deputati, accumulano stipendî per Commissioni speciali, direzioni di banchi, di università, di collegi e di altri incarichi pagati in modo eccezionalmente lauto; e più d’un terzo dei senatori (per non essere da meno) hanno oltre ai mille pesos al mese, altre somme dagli ottocento ai mille pesos per incarichi ufficiali» — circa 5000 franchi al mese!
Da un tale genere di funzionarî, che, come scriveva recentemente la Prensa, «si considerano padroni dei loro posti per diritto di conquista e che li disimpegnano a loro piacere sicuri dell’impunità per le loro colpe e per i loro errori», deriva la più estesa irregolarità in tutti i campi dell’amministrazione pubblica. L’interesse personale produce un’influenza disastrosa. «Ciò contribuisce a rendere la politica un affare, a farne non l’occupazione altruistica e nobile, e quasi onoraria d’una classe scelta, ma invece una vasta Tammany Hall, un pugillato per l’esito, una curée di sensalismi, e a dare ad ogni ambizione un predominante fondamento d’interesse che tutto degrada e materializza e che corrompe parimenti governanti e governati.» (Prof. Martinoli).
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La corruzione si propaga infatti. Lo standard della morale pubblica si è modificato sotto questo regime. Quando l’eccezione diventa regola, la regola diventa eccezione. Avviene in morale quel che ci succede in ottica quando entriamo in un ambiente illuminato da una lampada colorata; al principio si trova tutto strano, falso, curiosamente colorato; poi l’occhio s’abitua, il ricordo della luce pura svanisce dalla retina, ogni cosa si normalizza al nostro sguardo. Così laggiù si è abituata la coscienza pubblica alla strana luce della moralità ufficiale.
«Supponendo che certi fatti che vediamo giornalmente siano successi in altri paesi, ed immaginando lo scandalo che produrrebbero, abbiamo la norma del livello morale della nostra società, che non si commuove considerandoli quotidiani e comuni. Basterebbe collezionare ogni scandalo che si rivela giornalmente per formare il museo degli orrori.» (Belin Sarmiento).
Nella lingua stessa, che è come lo specchio dell’anima di un popolo, rimangono le traccie della strana clemenza con la quale si giudicano certe colpe. L’indelicatezza non si chiama più così: si chiama.... vivezza — viveza. Un uomo senza scrupoli da noi si dice un furfante; laggiù un uomo vivo! Ed è quasi un complimento.
Quale tempra adamantina d’onestà non occorrerebbe per sottrarsi alla influenza dell’ambiente, alle seduzioni dell’interesse? «Sarebbero uomini eroici, superiori all’umano coloro che elevati al potere dai nostri politici potessero lottare contro i loro amici, contro il loro proprio interesse, lottare contro i sofismi che da ogni parte fioriscono intorno al potere, lottare infine contro tutti i proprî contemporanei, e rifarli come lo scultore riammassa l’argilla quando è scontento della sua prima concezione.» (Belin Sarmiento).
Il male che deriva da tanta bruttura è reso più grave dalla curiosa condizione di complicità in cui si trovano moltissimi funzionarî pubblici, complicità dalla quale deriva quell’impunità cui allude la Prensa nel brano citato più sopra. Essi debbono la loro posizione alla loro unione di partito, cioè a dire ad una colpa comune. Naturalmente non si può sempre punire un funzionario che abbia troppa.... viveza, perchè sarebbe come trasformarlo in un avversario politico. E poi è difficile punire uno per colpe che sono troppo comuni, peccati divenuti veniali, condannare in lui sè stessi, e i proprî sistemi, i proprî interessi e la propria morale. La catena gerarchica così si spezza, la disciplina è svanita. Come il potere si basa sul fascio enorme di irregolarità elettorali commesse dagli adepti al partito trionfante, ognuno di questi fattori del Governo, conquistato un impiego, sente di avere il sacrosanto diritto ad una parte del potere. Ogni funzionario diventa un tiranno nella sfera della sua influenza. Il meno che può fare è di non compire il suo dovere seguendo l’esempio di tanta parte dei parlamentari che sono in un quasi perenne sciopero legislativo.
Si aggiunga ancora, come ultimo e non minore incentivo al mal fare, la poca stabilità degli impieghi. Quando s’insedia un nuovo partito è un nuovo esercito d’impiegati che occupa gli uffici, mentre l’esercito dei vecchi si ritira — per prepararsi ad un altro assalto — si ritira in armi, e soprattutto.... in bagaglio. Un’elezione andata male o una rivoluzioncella andata bene bastano a sbalzar tutti dal posto; la vita non è assicurata, il tempo stringe, bisogna prendere ciò che capita, diamine!
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Al di fuori di questa straordinaria organizzazione governativa, di questa formidabile associazione tirannicamente dominatrice, stanno gli stranieri, i veri sfruttati, perchè sono quasi i soli che lavorino, che producano, che trasformino. Sono essi, in fondo, che pagano. E «ad essi viene a mancare ogni autorità sulle autorità anche inferiori: essi debbono sopportare senza possibile reazione le facili prepotenze dei funzionarî, specialmente nelle campagne dove l’abuso è così comune.» (Prof. Martinoli). Vedremo in seguito, dettagliatamente, quali e quanti sono questi abusi e queste prepotenze che gli stranieri soffrono, e più specialmente coloro fra di essi che l’ignoranza, la miseria e l’isolamento vengono a rendere più deboli e più umili.
Ora ne abbiamo visto le origini che tutto spiegano a filo di logica. Nel «museo degli orrori», di cui parla l’on. Belin Sarmiento, il lettore ora forse non troverebbe nulla che potesse meravigliarlo troppo. Alla meglio gli ho spiegato la formazione e la natura del vasto organismo governativo, che forse non completamente a torto è stato chiamato una Tammany Hall politica. Dalle sue ruote si capisce come cammina.
Non c’è più nulla di strano. A San Juan, per esempio, dove l’irrigazione soltanto rende possibile la coltura di quel suolo tropicale, il Governo toglie l’acqua agli avversarî politici per far seccare i loro raccolti e far morir di sete uomini e bestiami. Lo chiamano il gobierno de l’agua. (Nacion, 9 gennaio). Il penultimo governatore d’una delle principali provincie ha passato gli ultimi sei giorni del suo regno a firmare boni di tesoreria a favore di partitarî per un valore pari al bilancio della provincia — quattro milioni di pesos. La storia non dice se al settimo giorno il bravo uomo si prese il meritato riposo. Dice però che venne sollevata la questione della validità dei boni, risoluta favorevolmente e che l’ex-governatore venne immediatamente... fatto senatore! A Tucuman un ministro delle finanze accusa il predecessore di aver stornato grosse somme per lavori pubblici che non si sono mai visti, e nessuno gli bada (Prensa, 20 marzo). Un ex-governatore è accusato d’aver sottratto centomila pesos da una sovvenzione per una calamità pubblica (Diario, 5 aprile). Alcuni Governi provinciali, come quelli di Entre Rios e San Juan, non rendono conto delle somme pagate dal Governo centrale per l’istruzione, e lasciano i maestri quattordici mesi senza stipendio. Il Consiglio nazionale d’educazione è alla sua volta accusato dai giornali di grosse irregolarità amministrative a proposito della costruzione di edifici scolastici costati quattro volte il loro preventivo. La Prensa attribuisce la massima parte del deficit delle imposte alle irregolarità commesse abitualmente dagli incaricati dell’esazione. Tutto questo non può stupirci più. Entra quasi nell’ordine naturale delle cose.
I Parlamenti votano sempre nuove spese e creano nuovi impieghi per contentare le clientele, mentre il paese precipita alla rovina, mentre i coloni delle principali provincie mancano persino della semente, e la miseria s’avanza ululante dai campi verso la città. I debiti provinciali aumentano con una rapidità che ha dell’emulazione. Con un bilancio che mette paura, il Parlamento federale vota un aumento di trenta milioni di pesos di nuove spese e crea una quantità di nuovi posti diplomatici per «provvedere alle necessità di certi gentiluomini messi colle spalle al muro dalla mancanza di mezzi» (El Diario). Molti uomini politici sono pubblicamente accusati di gravissime immoralità, ben definite e particolarizzate, e le loro ricchezze favolose autorizzano il sospetto. Il Diario racconta che per avere una modificazione sulla tariffa doganale di un certo articolo si offrivano settantamila pesos nei couloirs del Congresso. «Al Congresso poco importa di protezionismo e di libero scambismo — scriveva la Patria degli Italiani, commentando la notizia — chi meglio paga, meglio è servito.»
Giù giù per la trafila amministrativa tutto cammina così. Vi sono governatori che commettono ogni sorta di abusi. Gli stranieri del Neuquen in questo momento si agitano implorando che per carità non venga rieletto il governatore presente vicino a scadere di carica (Prensa, 10 marzo). A Rufino gli stranieri si trovano costretti a riunirsi in una «Società di resistenza» contro gli abusi delle autorità; una specie di Compagnia d’assicurazione per i danni che si scatenano dall’imperversare della prepotenza (Prensa, 3 marzo). E più giù ancora tanti magistrati vendono la giustizia e regalano ingiustizia, dei giudici di pace sfruttano tranquillamente i coloni, dei commissarî sono loro complici, e per loro conto commettono angherie e persecuzioni infami: fino agli agenti, agli ultimi soldati di polizia nelle colonie, che da selvaggi che sono, fanno anch’essi del loro meglio, arrestando, bastonando e violando quando e come possono. Di queste gesta parleremo.
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Bisogna concludere che l’Argentina è veramente un paese meraviglioso se ha potuto trascinare fino ad ora un tale mostro divoratore sulle sue spalle. In esso principalmente va cercata la ragione vera della sua crisi spaventosa e del suo mortale abbattimento presenti, le cui conseguenze ricadono sui nostri lavoratori. Questi a centinaia e centinaia di migliaia scontano con la miseria, laggiù, lontani dalla Patria — verso la quale si volgono tristamente i loro pensieri come verso una felicità per sempre perduta — gli errori e le colpe che non sono loro!
Intanto si dice nelle sfere ufficiali che le risorse del paese salveranno la situazione. Questa è una bella maniera per dire che sarà pur sempre il lavoro, il nostro lavoro, che pagherà tutto!
Note
- ↑ Dal Corriere della Sera del 29 maggio 1902.