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La polizia Argentina

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LA POLIZIA ARGENTINA.1

Un giorno dello scorso marzo il Governatore di Santa Fè, dottor Freyre — un omone dall'aspetto bonario e dalla parlantina sciolta — facendomi gli onori della sua casa mi mostrava una curiosa raccolta di ritratti fotografici. Erano le fotografie di tutti i suoi impiegati di polizia, bene incorniciate simmetricamente in un grande quadro di peluche e sormontate dai nomi dei relativi originali, incisi in targhette dorate. Una epigrafetta in testa al quadro faceva conoscere che si trattava di un omaggio della Polizia Santafecina al Señor Gobernador in occasione della di lui recente assunzione al potere. Il Governatore guardava tutti quei ritratti con una grande espressione d'uomo soddisfatto, e mi spiegava:

— Li conosco tutti, uno per uno, da quando ero capo come Jefe politico; qualcuno ne ho fatto io — nei suoi occhi sfavillava come una scintilla di amore paterno — e sono tutti hombres valientes, amico!

Gettai un'occhiata sulle fisionomie; una raccolta di tipi risoluti, una collezione di occhi fieri, di baffi e di barbe dal taglio poco comune, e qua e là dei nasi [p. 85 modifica] adunchi, degli zigomi salienti e delle bocche larghe tagliate come con un colpaccio di ascia, caratteristiche non dubbie della razza meticcia. Vi era anche un negro.

— Io conosco la storia di tutta questa gente; li ho tutti nel pugno — continuava il mio ospite. — Vedete questo, e questo, e questo? Ebbene, essi non portano il loro vero nome.

Io ascoltavo con un interesse crescente le curiose informazioni che il Governatore dava a me e ad altri presenti, e non mancavo d'incoraggiarlo con quelle esclamazioni d'assentimento che sono le goccie lubrificanti delle conversazioni. Ed egli continuava, ingenuamente persuaso di dire le cose più naturali del mondo, e di fare il miglior vanto dei suoi sottoposti.

Così spiegò che alcuni di quei funzionari non portavano il loro nome perchè in passato erano stati assassini. Molti di quegli uomini avevano un passato al quale il Governatore alludeva con reticenze piene di effetto drammatico. Certi si erano trasformati da delinquenti a poliziotti per opera sua. Ricordo fra gli altri la storia di un cocchiere più volte arrestato per ferimento, furto e rivolta agli agenti a mano armata, e divenuto commissario. Appuntando il dito sopra varî ritratti il Governatore ripeteva con compiacenza le parole: Este era un picaro!... — Questo era un farabutto — con l'aria di dire: Che uomo abile che era costui!

Tutto ciò per noi è strano. Noi consideriamo la Polizia come la mano della Giustizia, una grande mano, potente e delicata ad un tempo, che rintraccia i colpevoli, li scova, li afferra, e li porta al cospetto della maestà della Legge. Nell'Argentina, la Polizia — o meglio le polizie, poichè ve ne sono quindici, una per provincia ed una speciale per Buenos Aires — prima di essere la mano della Giustizia è la mano della Politica. Modificandosi lo scopo della sua esistenza, [p. 86 modifica] snaturandosi la sua funzione, deve necessariamente modificarsi la sua essenza. Le polizie argentine non hanno tanto lo scopo di difendere la società, quanto quello di difendere i partiti al potere. Formano dei piccoli eserciti pretoriani sempre pronti all’arbitrio ed alla violenza partigiana, a portare nella lotta politica l’influenza decisiva della forza brutale contro il diritto. E allora come potrebbero essere strumenti di giustizia e di legalità se la loro funzione si esplica così spesso proprio nel campo dell’ingiustizia e dell’illegalità?

È naturale che a comporre queste polizie vengano chiamati uomini risoluti e spregiudicati, ossia senza molti di quegli scrupoli che renderebbero impossibile l’adempimento del triste còmpito che la politica impone loro. Ed ora ditemi quale uso non faranno della forza di cui dispongono, della potenza straordinaria che loro conferisce il nome della legge, questi uomini scelti per evidente necessità negli strati inferiori della società, e anche delle razze umane, spesso familiari alla colpa, privi della coltura e dell’educazione, che, anche nelle anime cattive, insinuano il pudore del male? Supponete di questi uomini posti nelle colonie, lontani da qualsiasi controllo, aventi l’impunità quasi assicurata dalle distanze e dalle necessità politiche, se non dai difetti e le lungaggini delle procedure giudiziarie, e immaginate che cosa avviene. C’è poi l’aggravante d’una pessima retribuzione.

Vi sono dei commissarî che non prendono più di sessanta, settanta, ottanta pesos al mese, con i quali debbono provvedere alla paga dei soldati di polizia — due o tre — da essi personalmente arruolati, alle spese d’inchieste — che dovrebbero essere rimborsate, [p. 87 modifica] ma non lo sono mai — e talvolta anche al mantenimento dei prigionieri fino alla loro consegna all'autorità giudiziaria. Dei tenenti di polizia prendono trenta pesos al mese. «Questi impieghi portano l'autorizzazione implicita all'exploitation dei pacifici abitanti della campagna sotto forma di multe» — ha scritto giustamente la Prensa. — Infatti la multa arbitraria forma una delle fonti più comuni e anche più oneste dei benefici polizieschi. Dei contadini sono talvolta arrestati con una scusa qualunque, e poi il commissario contratta con loro la liberazione. Ciò non toglie che la libertà non si venda anche ai veri colpevoli, qualche volta. Gli arresti arbitrari naturalmente non sono certo una cosa rara, specialmente se vi si può innestare una ragione politica. Ecco un caso tipico: pochi giorni fa in una colonia importante vennero arrestate in massa una quantità di persone, fra le quali capitarono dei commercianti, due giornalisti, un notaio, il collettore delle imposte e persino un ex-commissario di polizia, e vennero per ordine speciale rinchiuse nella cella destinata agli accattoni. Il giorno dopo seppero d'essere accusate di disordini, ubbriachezza ed altre cose.... multabili (telegrammi da Chos-Malal 25 marzo).

Il diciannove di marzo un italiano ha ricorso al nostro ministro a Buenos Aires per essere stato arrestato nella Pampa Centrale, detenuto otto mesi senza ragione, e derubato dalla polizia di cinque cavalli e di tutte le sue mercanzie.

Qualche volta capita di peggio; per esempio, di restare in segregazione cellulare per dieci e anche [p. 88 modifica] quindici giorni dimenticati. E peggio ancora, di essere bastonati o feriti. Cito qualche esempio recente. A Rosario tre giovanotti italiani, dei quali uno ex carabiniere da poco in congedo, mentre conversavano sopra un marciapiede, si sono visti arrestare, senza saperne il perchè, e condurre alla Commisseria, dove — dopo la solita perquisizione — sono stati segregati in tre celle separate «condottivi a forza di calci e di pugni.» Poi un ufficiale di polizia «li ha sottoposti a nuovi e più duri trattamenti arrivando fino ad usare la daga d'uno dei vigilanti, con la quale a casaccio, in un impeto d'ira, percosse ripetutamente uno di quei tre malcapitati producendogli lesioni d'una certa gravità. Il poveretto cercò di reagire, ma si vide ridotto all'impotenza da diversi agenti. L'ufficiale poi ordinò non fosse loro somministrato nessun cibo e che alla benchè minima lagnanza fosse loro risposto con la violenza. Dopo trentasei ore di quel martirio furono posti in libertà tutti sanguinolenti e malconci.» (Dalla cronaca della Republica di Rosario). La Patria degli Italiani confermava il fatto. Il console italiano ha potuto comprovare i maltrattamenti e un telegramma alla Patria aggiungeva che «il console continuerà nella energica sua attitudine di protesta».

Non più tardi del passato aprile cinque arrestati a Rosario, dipartimento Belgrano, sono stati bastonati dai commissarî al punto che uno dei disgraziati è stato ridotto in gravi condizioni, senza conoscimento e senza favella. Un corrispondente della Prensa ha scritto da Belleville sulla abituale crudeltà di quella polizia. «Gli arrestati sono condotti a bastonate alla polizia; si arriva anche a ferirli; ieri un guardafili arrestato senza causa giustificata venne condotto a bastonate alla Commisseria, niente altro che per fare ostentazione di rigore.»

A Santiago del Estero la polizia «contando sull'impunità delle sue colpe» — come ha scritto la Prensa [p. 89 modifica] — ha preso a sciabolate un povero diavolo perchè aveva rimproverato il commissario d'avergli avvelenato il cane; poi ha preso a sciabolate due suoi amici che l'accompagnavano, conosciuti come oneste e laboriose persone, ferendo tutti e tre, dei quali uno mortalmente alla testa. È comunissimo leggere nella cronaca dei giornali di «arresti in forma vessatoria e violenta»; questo significa a pugni e bastonate. Ho sott'occhio un rapporto di polizia — riportato dalla Capital di Rosario, giornale governativo — nel quale le parole bastonazos y machetazos — bastonate e pugni — vengono quasi a far parte del linguaggio d'ufficio. Pochi giorni or sono un vecchio e onorato commerciante italiano in Azul, è stato arrestato nella solita forma vessatoria violenta, e poi liberato senza la minima spiegazione. Notizie di questo genere arrivano da tutte le provincie. Alcuni arrestati presso a Chos-Malal da soldati di linea, che compiono dei servizî di polizia, come sospetti di furto, sono stati detenuti nove mesi, durante i quali hanno subìto delle vere torture per essere costretti alla confessione. Si è giunti a dar loro fino a cinquecento frustate. Una delle vittime è stata assoggettata al simulacro dello scannamento che le ha lasciato nel collo il segno del coltello; ed una donna creduta complice è stata spogliata in presenza dei soldati e sospesa per i piedi con una corda. Queste le denunzie che la Prensa riportava. Alla Rioja un povero pazzo preso dalla polizia è stato legato con le mani e con i piedi ad una grossa sbarra di ferro, e poi sospeso ad una pianta di gelso che si trova nel cortile della Commisseria. (Giornali del 25 gennaio).

La violenza della polizia diviene alcune volte estrema. Un telegramma laconico da Sant'Antonio [p. 90 modifica](Catamarca) del 15 aprile diceva: «Domenica dalla polizia locale è stato assassinato il giovane E. M. con un colpo di remington, senza motivi noti. Si crede ad una vendetta premeditata.» Soltanto qualche giorno prima un commissario aveva ammazzato a revolverate due marinai ad Uruguay in Entre Rios. (Giornali del 12 e 13 aprile).

Alla fine dello scorso marzo la polizia di Bahia Blanca ha assalito alcuni operai italiani inermi al grido di mueran los gringos, ne ha ferito quattro a sciabolate, ed ha inseguito gli altri fin nelle case e nelle botteghe insultandoli, facendo arresti a casaccio, conducendo in prigione persino due feriti, uno dei quali in istato grave. Le inchieste ufficiali hanno negato questi fatti, che però sono attestati da testimonianze inconfutabili e da una protesta firmata da quarantatre commercianti di Bahia Blanca appartenenti a varie nazionalità. I commercianti di quella città sono cinquantadue.

A Corrientes, nella colonia Bella Vista, un giovane, che dal nome sembrerebbe italiano, è stato anche lui assassinato dalla polizia. Il telegramma pubblicato dalla Prensa diceva così: «Il giovane tornava da un ballo con un fratello. Un ufficiale e un sergente di polizia lo raggiunsero per via e il sergente gli diede la morte.»

In questi casi spesso le autorità superiori iniziano delle inchieste, la giustizia se ne impadronisce, ma la cosa finisce così quasi sempre, con un po’ di rumore. Dopo qualche anno i giudici dichiarano che per il tempo trascorso è impossibile fare la luce, e buona notte. Alcuni agenti di polizia di Trenque Lanquen sono stati così recentemente liberati dalle accuse di usurpazione d’autorità, brigantaggio, stupro, furto e usurpazione d’immobili, le vittime dei quali furono dei contadini della colonia La Luisa, di nazionalità francese. Ho sotto gli occhi i rapporti pervenuti al ministro di Francia, che fanno fremere d’orrore e [p. 91 modifica] d’indignazione. «C’est la Justice condamnée par les juges eux-mêmes!» — scrive nei suoi commenti Le Courrier de la Plata, organo della collettività francese.

E pensate che non tutte le vittime della polizia hanno il coraggio se non la possibilità di avanzare i loro rapporti. Pensate che vi sono tanti gridi di dolore che si perdono inascoltati nell’immensità della Pampa!

Che difesa può rappresentare per la società questa polizia che fra pochi buoni elementi contiene tanto marcio? Un giornale di Santiago del Estero — dove i reati sono comunissimi — El Siglo, giornale che cito a preferenza fra tanti perchè non tacciabile certo d’avversità al Governo — dimostra la parte che ha la polizia nello sviluppo della criminalità, non fosse altro per la sua passiva condotta di fronte al delitto, conseguenza inevitabile della sua disorganizzazione. La polizia non si cura talvolta nemmeno di eseguire le constatazioni del delitto. «La garanzia della vita e della proprietà delle popolazioni rurali — dice El Siglo — va facendosi ogni giorno più illusoria, al punto che non si prende alcuna misura per la persecuzione e la punizione dei colpevoli, i cui crimini hanno per teatro gli stessi sobborghi di questa capitale.»

El Municipio di Rosario ha scritto: «Basta percorrere i centri rurali e conversare con gli abitanti autorevoli, per darsi conto che la vita laboriosa e onorata si è fatta impossibile per il predominio degli elementi nocivi che commettono le maggiori ferocie senza che nessuno li molesti.»

Ma anche se una tale polizia proteggesse le popolazioni dai criminali, che mai le proteggerebbe poi dalla... polizia?

È giustizia riconoscere che fra le quindici polizie argentine quella di Buenos Aires è di gran lunga migliore, e rappresenta un’eccezione lodevole. Da qualche anno è stata organizzata su modelli europei. La vita internazionale della grande metropoli ha avuto [p. 92 modifica]un’influenza sui costumi; la lotta politica ha preso in quell’ambiente vastissimo forme meno primitive e meno brutali, e la polizia si trova ricondotta a poco a poco al suo naturale ufficio di strumento della giustizia. Va rientrando nella legalità. Non vi è ancora rientrata del tutto, perchè anche a Buenos Aires, a dire il vero, avvengono qualche volta arbitrî e abusi polizieschi; ma sono un nulla in confronto agli orrori ed errori delle polizie gauchas delle provincie.

E se si potesse fare il bilancio di quanto costano alle operose, infaticabili ed umili popolazioni rurali quegli errori e quegli orrori, quanto denaro, quante lacrime, e quanto sangue italiano!...


  1. Dal Corriere della Sera del 5 giugno 1902.