Istoria di tre giovani disperati e di tre fate/Cantare secondo

Cantare secondo

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Cantare primo

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CANTARE SECONDO

ms

2
Biagio diceva: — Che debbo piú fare?
lasso me, che fatt’ho tristi guadagni!
In che modo poss’io piú ritornare
a rivedere i lassati compagni? —
E si voleva al tutto disperare;
nulla gli vai, invan par che si lagni;
e dicea come fa chi mal si guida:
— Cosi ne avvien a chi troppo si fida. —
2
Biagio si trova in maggior laberinto
che fusse mai e non ne puote uscire,
perché la fede sua si l’ha sospinto
a questi casi che gli hanno avvenire,
e si ritrova come un corpo estinto,
e piú non sa dove si debba gire.
E, trovandosi in tanto duro assedio,
e’ sempre prega il ciel trovar rimedio.
3
Ma quella fata, che die’ loro il corno,
non lo vòlse però abbandonare,
e fece che trovasse in quel contorno
un piè di fico, che possa mangiare,
e fece che quei fichi in tal soggiorno
avean tal virtú eh’i’vo’contare:
si facean certi fichi a cotal guisa,
che tutti ne farete grasse risa.

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IIO IV - ISTORIA DI TRE GIOVANI DISPERATI E DI TRE FATE
4
Ogni volta che Biagio ne mangiava,
e gli venia come a l’asin la coda;
per ogni fico che lui masticava,
un palmo gli crescea la detta coda.
Egli aveva gran fame e pur mangiava,
tanto ch’attorno molto se n’annoda,
e diceva: — Io non so piú che mi fare;
i’ ho gran fame e non vo’ piú mangiare. —
5
Ed ha lassato quel fico, e cammina
e la coda gli dava ben sei volte.
Egli era di gennaio in su la china,
ch’eran riposte tutte le ricolte;
come egli ebbe passato una collina,
gli venne le sue luci intorno vòlte
e vide un altro fico in quella costa
carco di fichi, ed a quel piè s’accosta.
6
Egli eran belli e fuor d’ogni misura.
A Biagio alla memoria gli ritorna
dell’altro fico e della sua sciagura,
fermossi alquanto ed un poco soggiorna.
Poi disse: — Io vo’ mangiare alla ventura,
se mi dovesse ben nascer le corna ! —
Un di quei fichi in bocca si mettia,
tal che un palmo di coda gli andò via.
7
Biagio si cominciava a rallegrare:
— E sará forse la ventura mia i —
E cominciò di quei fichi a mangiare,
tal che tutta la coda gli andò via.
Biagio fra sé cominciava a pensare,
e fra sé stesso pensando dicia;
diceva: — Io son disposto di vedere
s’io posso le mie cose riavere.—

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8
Tanto che trovò questo un canestraio,
ed andava a quel fico che fu il primo;
otto ne colse e si li messe in quello.
Disse: —Si mi riesce com’io stimo! —
E tolsen otto da quel ficarello,
perché di que’ faceva grande stimo.
Andonne alla cittá, una mattina,
sol per vender quei fichi alla regina,
9
e posesi a seder sotto il palagio.
Erasi de’suoi panni travestito;
egli era freddo e stava con disagio.
Ed uno alla regina ne fu ito,
la quale stava a iscaldarsi con agio;
disse: — Madonna, giú, nel vostro sito,
sotto la loggia io ho veduta cosa,
che a vederla mi par maravigliosa !
10
Un villano c’ha un bel panier di fichi,
che di settembre non sarian si belli:
e’ vuol quattro ducati d’otto fichi. —
— Va’ via! — disse colei — va’ via per elli,
e che lui me gli dia fa’ che gli dichi,
e prestamente porterammi quelli. —
Colui n’andò per essi, e si gli porta
quattro ducati; e lui trovò la porta.
11
L’ora ne venne poi del desinare;
aveva la regina due donzelle,
che le faceva seco a mensa stare,
e tutte due eran pulite e belle.
Quando si furon poi poste a mangiare,
fu l’acqua alle man data a tutte quelle;
e, postasi a seder, senza ch’il dichi,
fe’ la regina portarsi que’ fichi.

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12
Tolse que’ fichi, e si n’ha dati dua
ad una di color ch’eran con seco,
e disse: — Mangia questi, che son tua,
e dua ne do a quest’altra eh’è teco. —
Quegli altri quattro volle che sien sua.
— E’ per gran dono — disser — me lo reco. —
Tal che per gran vaghezza gli mangiorno,
e che sien vaga cosa ragionorno.
13
Ell’avien quasi mezzo desinato,
e ancor tra lor questi fichi si loda;
una delle donzelle avea parlato
e tal parlare alla regina isnoda,
e disse: — Un tristo caso mi è incontrato!
Oh trista a me! Che mi è nato la coda! —
Cosi disse quell’altra: — Anche a me pare. —
Tanto ch’elle restar di desinare.
14
E la regina in zambra se n’andò,
e chiama poi con seco le donzelle.
Alzonsi i panni, e la coda guardò,
e tutt’e tre l’avean, % le meschinelle,
quelle n’avean due palmi, misurò,
e la regina n’ebbe quattro anch’elle;
e, ragguagliando che dua e dua fa quattro,
le non sapean comprender questo fatto,
15
E venne quella cosa immaginando,
siccome aveva lor dato due fichi,
se ne venivan due palmi trovando,
e lei, che n’ebbe quattro, si replichi;
e tanto sopra questo vien pensando,
che infine disse: — E’ sono stati i fichi. —
E fe’ per molti medici mandare
che di tal mal la venghin medicare.

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16
E fur di molti medici trovati,
ed a ciascun gran cosa gli pareva;
e infine tutti s’erano accordati:
rimedio a questa cosa non s’aveva;
tanto che molti n’è mal capitati,
perché cosi la regina volea;
e comandò che cosi si facesse,
perché tal cosa non si risapesse.
17
Nientedimeno tal cosa si sa.
Biagio, che nella terra è ritornato,
ad un medico a casa se ne va
e a questo modo a lui n’ebbe parlato:
— Maestro, Dio ti doni sanitá! —
Disse il maestro: — Denar ci abbi dato! -
Biagio gli disse: — Danari anco arai,
sed a mio modo, maestro, tu farai. —
18
Biagio era stato piú volte in Turchia
e sapeva il linguaggio molto bene.
Disse al maestro: — La disgrazia mia
m’ha fatto sopportare affanni e pene:
io vengo dalle parti di Rossia;
Fortuna mi rivolse le sue rene.
Tutta la robba mia rimase in mare
ed ho avuto fatica di campare.
19
L’arte mia era della medicina,
e son venuto a caso in questa terra;
e’ panni intender come la regina
cattiva infermitá suo corpo serra.
Se mi presti una vesta purpurina
con un cavallo usato nella guerra
e due famigli, molto car l’arei
e del guadagno mio te ne darei.

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114 IV - ISTORIA DI TRE GIOVANI DISPERATI E DI TRE FATE
20
Ma piglia duo famigli forestieri,
e tu te n’anderai alla signora,
e dirai alla regina come ieri
io capitai qui, circa ventun’ora,
e di trovarmi a Roma avea pensieri,
e come, sendo tu all’uscio di fuora,
ti salutai e che, parlando meco,
volesti che la sera stessi teco.
21
E, perché ero maestro di tua arte,
tu m’alloggiasti e che poi, ragionando
«del medicar n’ho avuto buona parte»,
ogni cosa venisti domandando,
ogni cosa ti dissi, a parte a parte,
com’ogni infermitá vengo sanando.
Se queste cose, ch’io dico, farai,
cinquecento ducati da me avrai. —
22
Come il medico intese del denaio,
trovolli un bel cavallo e dua garzoni,
una vesta con fodera di vaio.
Lasciollo in casa, senza piú sermoni ;
andonne alla regina col cuor gaio
e, ragionando di lor salvazioni,
come egli ha in casa un medico saputo,
che per andare a Roma era venuto,
23
che va l’imperadore a medicare;
ad ogni malattia egli ha rimedio.
— Incominciai di voi a ragionare,
ché, per non tenerti troppo a tedio,
cotal infermitá sa ben sanare,
e leveratti infin da questo assedio. —
Disse colei: — S’egli è quel che tu spandi,
subitamente fa’ per lui si mandi. —

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24
Venne maestro Biagio prestamente,
e diede alla regina un bel saluto:
— Colui che fé’ la luna e ’1 di lucente
ti salvi e guardi e sia sempre in aiuto! —
E la regina a lui similemente
disse: — Maestro, siate il benvenuto!
Se per guarirmi venuto sarete,
da me denar, quanti volete, arete. —
25
Disse maestro Biagio: — Alla buon’ora!
io credo in ogni modo voi guarire. —
E cominciò la sua disgrazia allora
a raccontare e donde egli ha a venire,
e come fu del suo paese fuora,
e quel che in mare gli ebbe a intervenire
che perse ciò ch’aveva dentro in mare,
— come il maestro giá v’ebbe a raccontare.
26
— Orsú, poi che tu sei si buon maestro,
come m’ha detto dianzi qui costui... —
E lui col suo parlar rispose destro:
— Sempre mai, in ogni lato dov’i’ fui,
ho voluto veder senza sinestro
e la mattina; cosi dico a vui.
Ma mi bisogna, a volervi sanare,
veder con l’occhio e con la man toccare. —
27
Fu data in cura a Biagio ogni donzella,
e ’n camera n’andò, dov’eran quelle.
A Biagio gli parea ciascuna bella,
che rilucevan come fan le stelle.
Biagio a ciascuna di quelle favella:
— Cavatevi ciascuna le gonnelle,
ché mi bisogna, per la fede mia,
vedere a tutte vostra malattia. —

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Il6 IV - ISTORIA DI TRE GIOVANI DISPERATI E DI TRE FATE
23
Tal che le fece tutta dua spogliare,
e vide tutto e toccò con la mano,
tanto che lo facevan sospirare
e feciongli arricciar tutta la lana;
ed aveva ciascuna a confortare:
— La vostra malattia fie tosto sana,
e prestamente senza alcun di varo. —
Fa vista di pigliare un lattovaro.
29
E tolse un di quei fichi prestamente,
lo mise in bocca ad una di coloro;
e poi a l’altra fece similmente,
e destramente nettò com’un oro:
ne dette dua per una li presente;
e, stando un poco, ciascuna di loro
cominciarono a dir: — Maestro tale,
noi siam guarite d’ogni nostro male ! —
30
Andò la nuova tosto alla regina
come è guarita ciascuna donzella,
e prestamente alla zambra cammina,
e trovò come è vera la novella;
e disse a Biagio: — La tua medicina
rider faratti ben la tua scarsella. —
Rispose Biagio: — I’ vo’ mezzi e’ danari,
ché cosi fanno sempre e’ nostri pari. —
31
F. fèlli dare seicento ducati :
— E ’l resto arai, come m’arai guarita,
e tutti ti saranno annoverati
innanzi che da me facci partita.
— Per questo giorno ci sarem posati ;
domani arém la cosa me’ chiarita,
si che per ora datemi licenza,
e domani farem l’altra esperienza. —

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32
Quattrocento ducati dette al medico
che gli prestò la veste col cavallo;
costui gli prese, che non ha il parietico.
Biagio gli disse: — Ascolta, senza fallo;
perch’io non paia questa volta eretico
tòi questo pizzicotto e dipoi dallo
a quel che mi prestò cotesta vesta,
e doman poi ti sará resa questa;
33
ch’i’ vo che me la lasci tanto ch’io
guarisca la regina del suo male,
e poi verrò a casa tua anch’io,
e vedrai poi ch’io ti sarò leale. —
Disse coltri fra sé: — Vatti con Dio,
ché con questi farem buon carnevale.
— Questi cinquanta ancor vo’ che ti pigli
e che con essi tu paghi i famigli. —
34
Biagio fe’ buono scotto per la sera,
e, venuta che fu poi la mattina,
come del letto Biagio levato era,
e’ se n’andò dinanzi alla regina,
e vidde ancora a lei la sua matèra,
dove fece a quell’altre medicina,
e degli in lattovar duo di que’ fichi,
e che sia dolce cosa par che dichi.
35
Alla regina parve dolce cosa
e disse: — Questo è un buono lattovaro. —
Rispose Biagio: — Sopra d’ogni cosa
•è questo molto da tenerlo caro. —
Mentre che la regina si riposa,
dall’uno all’altro fu poco divaro;
e, detto questa cosa ch’ognun loda,
che gli cascò duo palmi della coda.

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11 8 IV - ISTORIA DI TRE GIOVANI DISPERATI E DI TRE FATE
36
Fu la regina assai di ciò contenta
e voleva che Biagio seguitasse.
Biagio non ebbe la parola lenta,
e gli diceva che non s’affrettasse,
e risposegli: — Mai non mi rammenta
che fusse alcuno che mi ragionasse
di fare in fretta questa medicina,
ch’ell’è di troppo noia e troppo fina.
37
E basta ben che domane a buon’ora
i’ farò si che sarete contenta;
ma io voglio una grazia da voi ora
e voglio che di ciò siate contenta.
— lo son contenta di piacerti ognora,
né a ciò io non sarò pigra né lenta;
e pensa s’io ti possa far servizio
che ti ristori d’un tal benefizio.
38
— Io ho sentito di voi ragionare
ch’avete assai tesoro e cosi bello,
e tante belle cose a tal affare,
si che, se v’è in piacer, vorria vedello. —
Disse la donna: — Dopo desinare
tei mostrerò, se t’è in piacere quello;
vorrei sognar volentier di sapere
far cosa ched io possa a te piacere. —
39
Biagio si se n’andò a desinare,
e disse: — Forse anche potrei godere. —
E pensa nel suo cor quel ch’abbi a fare,
che possa le sue cose riavere.
Com’ebbe desinato, a tal affare,
e la regina, per farli piacere,
mandò per lui e ’n zambra si lo mena,
la quale è tutta di tesoro piena.

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40
La prima cosa, distese il tappeto,
che tolse a Biagio, in mezzo del solaio.
Biagio stava a veder e stava cheto.
Prima n’avea sottomesso un vaio
e molte gioie, auditor mio discreto,
che valean quelle cose un gran denaio;
e poi vi misse, senza far soggiorno,
quella borsa di Biagio ed anco il corno.
41
Molt’altre belle gioie e belle cose,
che sarebbe a contare un lungo dire,
che le molte parole son tediose,
E cominciò la donna a Biagio a dire:
— Non son queste mie gioie graziose?
— Si — disse Biagio — invero, a non mentire.
Disse la donna: — Stu mi guarirai,
quanto tu vuoi di questo piglierai.
42
Disse Biagio:—S’i’torno in mie contrade,
non mi manca né gioie né danari ;
non istinto castella né cittade,
che non si trova al mondo uno a me pari.
1* fo per poter dir la veritade
di questa cosa, e di far tutti chiari
chi mi domanderá del tuo tesoro;
com’ho veduto cosi dirò loro. —
» 43
— Perché tu possa meglio raccontare,
10 ti vo’ dir di tre cose, in segreto:
codesta borsa per cotal affare,
e questo corno conquesto tappeto,
11 lor valor non si potria contare.
E, perché tu ti parta da me lieto,
i’ ti vo’ la virtú di tutte dire,
acciò che ’n tuo paese il possi dire.

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120 IV - ISTORIA DI TRE GIOVANI DISPERATI E DI TRE FATE
44
La borsa (nota, perché dir lo possa
a chi tal fatti avesse domandati),
per ogni volta che gli do una scossa,
e’ casca quivi ben cento ducati.
Ogni volta che ’1 corno sonar possa,
vien dieci squadre qui d’uomini armati.
— Questo è gran caso — Biagio allor rispose.
Disse la donna: — E c’è piú belle cose.
45
Questo tappeto, chi l’ha sulle spalle,
se colui che l’ha addosso vuol che porti,
lo porterá persino in Roncisvalle,
e contra lui non vai mura né porti,
e passa monti e ciascheduna valle;
e’ venti come lui non van si forti.
Non è questa gran cosa? Dimmi tue
di queste cose ch’abbin tal virtue. —
46
Biagio prese la borsa con la mano
e ’1 corno ancora, e disse alla regina:
— Se fusse quel che dici, intendi sano,
al mondo non fu mai cosa si fina. —
E poi prese il tappeto di tostano,
misse alle spalle e poi disse: — Cammina! —
E lassò quivi le gioie cascare,
E la regina incominciò a gridare.
47
Corsero i servi sua a quelle grida,
e disscn tutti quelli: — Che vuol dire?
Rispose la regina: — A chi si fida,
come a me, suole sempre intervenire;
ora e’ convien che di me ben si rida,
tal che per questo credo di morire. —
E disse a’ servi sua questa ragione,
e quel maestro n’è tutta cagione.

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48
Biagio fu in poco spazio a’ suoi compagni,
e contò di ogni cosa il fatto appieno,
e com’egli avea fatto buon guadagni,
che un’altra volta sia di senno pieno;
e, perché di color nessun si lagni,
e’ si cavò la sua borsa di seno
e, perché ben da lui sien ristorati,
donò per un cinquecento ducati.
49
Però non si vorrebbe alcun gabbare.
Costei ingannò Biagio, com’è detto;
ma Biagio seppe ivi si ben fare,
che gabbò lei, come fosse un valletto.
E’ però non si vuol d’alcun fidare,
come si vede di molti l’effetto,
che si son molti di qualcun fidati,
si che dipoi son rimasti ingannati.
50
Se costei tolse a Biagio quel suo corno,
prima gli tolse la borsa e ’l tappeto,
e fecel disperato andare a torno.
Ma quella fata gli die’ quel segreto,
gli fe’ trovar que’ fichi a tal soggiorno;
intese il fatto ben, come discreto.
A dir la veritá qui, ch’ognun loda,
a lei rimase duo palmi di coda !