Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Demetrio con vari soffà.

Zulmira, Kiskia, Marliotta, Creona.

Quattro Servi all'Armena con lunghe pipe in mano.

Le quattro Armene si avanzano. Ciascuna siede sopra un soffà; i Servi presentano loro
le pipe, ed esse si pongono unitamente a fumare; gli Armeni si ritirano,
ed esse fumando parlano
.

Zulmira. Grato piacere amabile, ch’è lo fumar per noi!

Supplito in dì di festa ciascuna ai riti suoi,
Anzi che per le stanze errar senza far niente,
Piacemi in compagnia fumar tranquillamente.
Kiskia. Quando vivea Caimacco, mio povero marito,
Avea per lo tabacco sì avido prurito1,

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Che quasi tutto il giorno faceva un tal mestiere,

E seco mi faceva fumar le notti intiere.
Zulmira. Io simile follia d’usar non accostumo.
La notte collo sposo io nel letto non fumo.
Kiskia. Non è che un anno solo, che maritata siete;
Cognata, con il tempo anche voi fumerete.
Zulmira. Demetrio sposo mio, vostro fratel, che mi ama,
Che la compagna sua di compiacer sol brama.
Veglia s’io veglio, e dorme se ho di dormir desio.
Kiskia. Così, Zulmira, un giorno, così faceva il mio.
Ma dopo qualche tempo, avuti più figliuoli,
Si principiò a dividere il letto, e a dormir soli;
E se di stare uniti venivagli talento,
Era fra noi la pipa il sol divertimento.
Marliotta. Sentite, madre mia, per me, vi parlo schietto.
Quando che mi marito, non vo’ fumar nel letto.
(a Kiskja
Creona. Ed io, già lo sapete, non voglio maritarmi.
Vo’ andar, quando mi pare, nel letto a coricarmi.
Non vo’ che nell’inverno mi faccian raffreddare,
Non vo’ che nella state mi facciano sudare.
Kiskia. Care figliuole mie, non convien dir così.
Dovrete accomodarvi, quando verrà quel dì.
Le donne son soggette, fanciulle e maritate;
Nè si ha da dir, non voglio; queste son ragazzate.
Zulmira. A voi, vedova, è dato goder la libertà. (a Kitkia
Kiskia. Eh Zulmira, Zulmira, vo’ dir la verità.
È ver, che per lo più sono i mariti strani;
Ma se venisse un altro, lo prenderei domani.
Zulmira. Spento ha la pipa il foco.
Kiskia.   Altro in questa non c’è.
Marliotta. Io di fumar son sazia.
Creona.   Anch’io.
Zulmira.   Venga il caffè.
Chi è di là?

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SCENA II.

Misio servitore, e dette.

Misio.   Mia signora.

Zulmira.   Porta le pipe altrove.
Indi il caffè ci reca.
Misio.   Vi ho da dar2 delle nuove.
(a Zulmira, e raccoglie le pipe
Zulmira. Quai novità ci porti?
Misio.   Il padrone al mercato
Uno schiavo straniero stamane ha comperato.
Zulmira. Vago?
Kiskia.   Di bell’aspetto?
Marliotta.   Giovane?
Zulmira.   Grazioso?
Misio. Par giovinetto, e pare nobile e generoso.
Zulmira. Di patria?
Misio.   Non lo so.
Kiskia.   Di nazion?
Misio.   Non saprei.
Marliotta. Lo vuol tener in casa?
Misio.   Questo non crederei.
Zulmira. Dov’è?
Kiskia.   Dove si trova?
Zulmira.   Perchè non vien da noi?
Creona. Di lui che s’ha da fare?
Kiskia.   Zitto. Tacete voi.
(a Creona}
Zulmira. Misio, il caffè portando, puoi dire a mio marito.
Che in compagnia con noi a bevere l’invito.
Kiskia. E che conduca seco...
Zulmira.   Sì, Io schiavo novello.
Misio. Noi condurrà, signore.
Zulmira.   No?

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Kiskia.   Perchè?

Misio. È troppo bello.
parte

SCENA III.

Zulmira, Kiskia, Marliotta, Creona.

Zulmira. Che ha da temer, s’è vago?

Kiskia.   Di noi, che può pensare?
Marliotta. S’egli è bello, e per questo? Non lo vogliam mangiare.
Creona. Che importa a noi de’ schiavi, sien belli o sieno brutti?
Marliotta. A me, sien brutti o belli, a me piacciono tutti.
Kiskia. Taci, non lice a figlia il ragionar così.
Marliotta. Perdonate, signora...
Zulmira.   Ecco, lo schiavo è qui.

SCENA IV.

Demetrio, Ircana e detti.

Demetrio. Donne, presento a voi schiavo novel comprato.

Kiskia. (Bello! ) da ri
Zulmira.   (Gentil!) da ri
Marliotta.   (Carino!) da ri
Creona.   (È uno schiavo sbarbato).
da sè
Ircana. Qual è la sposa vostra? (a Demetrio
Demetrio.   Codesta.
Ircana.   A voi, pregiata
Donna, il servo s’inchina.
Kiskia.   Io son di lei cognata.
Marliotta. Ed io nipote.
Ircana.   E quella? (accomando Creona
Creona.   Quella ch’io son, tel dico:

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Son una che di te non me n’importa un fico.

Kiskia. Disgraziata!
Zulmira.   Superba!
Marliotta.   Sciocca!
Ircana.   Non la sgridate.
Val la sincerità più assai che non pensate.
A chi libero parla, tale giustizia io rendo.
Colei non mi conosce, però non me ne offendo.
Zulmira. (Voce non ha virile. Che giudicar non so), da sè
Demetrio. (chiamandolo
Demetrio.   Che chiedete?
Zulmira.   (Ditemi. È eunuco?)
(piano a Demetrio
Demetrio.   No.
(a Zulmira
(Vengono i Servi col caffè.
Zulmira. Ecco il caffè. Sedete; fatel seder con noi.
(a Demetrio, additando Ircana
Ircana. Tanto a schiavo non lice.
Demetrio.   Farlo per or tu puoi.
(ad Ircana, sedendo
Kiskia. Alzati tu, Creona, cedi allo schiavo il loco.
Creona. Cederlo ad uno schiavo?
Marliotta.   Restringiamoci un poco.
(gli fa loco3 nel suo guanciale
Demetrio. Da seder gli si rechi. (ai Servi
Creona.   (Di loro ha più cervello), da si
Zulmira. (Quanto costui m’alletta!) (da sè, sedendo
Marliotta.   (Quanto è vezzoso!)
(da sè, sedendo
Kiskia.   (Oh bello!)
(da sè, sedendo
Demetrio. Siedi. (ad Ircana, per cui un Servo averà recato un soffà

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Ircana.   Obbedisco 4.

Demetrio.   Olà, recateci un caffè.
(I Servi recano il caffè a tutti, fuorché ad Ircana.
Allo schiavo si porga.
Kiskia.   Lo prenderà da me.
(presenta una tazza ad Ircana
Ircana. Troppo gentile. (a Kiskia, prendendo la tazza
Marliotta. (Anch’io gliela vorrei offrire). da ti
Creona. (Io non gli darei questa, se il vedessi morire). da sè
Zulmira. (Kiskia di lui s’accende. Ah, che ancor io nel petto
Sento per lui destarmi un non inteso affetto), da sè
Ircana. Per quanto nel mio stato contento esser mi lice.
Posso chiamarmi, o belle, vostra mercè, felice.
La servitù ch’io soffro, non è che un vero bene.
Scordomi in (accia vostra gran parte di mie pene.
Quelle scordar mi posso prodotte dall’orgoglio,
L’altre no, che derivano da un tenero cordoglio.
Kiskia. (Credo che abbia perduto l’amante il poverino), da sè
Zulmira. (Farò, per quant’io posso, che cangi il suo destino).
da sè
Marliotta. (Se non fosse mia madre presente agli occhi miei.
So io, per rallegrarlo, so io quel che direi., da si
Creona. Schiavo, per quel ch’io sento, tu sei addolorato;
Vuoi che t’insegni il modo di riderti del fato?
Kiskia. Taci, garrula, ardita.
Ircana.   Deh lasciate che parli.
Creona. Sento che ha degli affanni, gl’insegnerò a curarli.
Kiskia. Parti da questo loco.
Creona.   Volentier, vado via. t alza
Ma s’egli è addolorato, vo’ consolarlo in pria.
Di confortar gli afflitti, sapete, è mio costume.
Se tu sei disperato, vatti a gettar nel fiume. parte

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SCENA V.

Zulmira, Kiskia, Marliotta, Ircana e Demetrio.

Kiskia. Sciocca!

Marliotta.   Insolente!
Zulmira.   Audace!
Ircana.   Nell’indiscreto zelo
Chi sa che non mi parli d’una fanciulla il Cielo!
Demetrio. No, che il Cielo non parla con sì crudel linguaggio.
Altri lumi a noi porge del vero Nume il raggio. s’alza
Sgombri dell’error vano de’ Maomettani alteri,
Noi apprendiam col latte saggi principj, e veri.
Parla da scherzo e ride giovane vana, ardita.
Noi non abbiam dal Cielo l’arbitrio della vita.
Questa che a noi si diede, a lui render dobbiamo,
Quando il dator la chieda, non quando noi vogliamo.
Si scemerà col tempo il tuo cruccioso affanno.
Contro di te non essere crudelmente tiranno.
Quella virtù che mostri aver per tuo retaggio,
Desti nel tuo bel core, desti un pensier più saggio.
Pensa che le sventure son mezzi, onde la sorte
Prova fa tra i viventi dell’anima più forte.
Solo non sei che pianga, solo non sei che peni;
Dopo i torbidi giorni ritornano i sereni.
E chi nelle sventure cerca incontrar la morte,
Di renderlo felice non dà tempo alla sorte.
Lascioti con tai donne, che hanno pietoso il core;
La compagnia giuliva scema il peso al dolore.
Vado agli uffici miei. A voi farò ritorno.
Sposa, qual sia lo schiavo, conoscerete un giorno. parte

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SCENA VI.

Zulmira, Kiskia, Marliotta, Ircana.

Zulmira. (Qualche arcano si cela). da sè

Kiskia.   (Noto sarà al germano
L’essere di costui). da sèti
Zulmira.   Qual è il tuo nome?
Ircana.   Ircano.
Kiskia. Narra i tuoi casi a noi. Farti potrem felice.
Ircana. Anime generose, tutto a me dir non lice.
Zulmira. Donde vieni?
Kiskia.   Sei forse... Figlia, andate, (a Marliotta
Marliotta.   Perchè?
Kiskia. Ragion del mio comando non si richiede a me.
Obbedite.
Marliotta.   (Davvero spiacenti assai assai.
Uomini in casa nostra non se ne vedon mai.
Ora è venuto questo...) da sè
Kiskia.   E ben, si fa partenza?
Obbedite la madre?
Marliotta.   Sì signora. (Pazienza!)
(da sè, indi parte guardando Ircana sott’occhio

SCENA VII.

Zulmira, Kiskia e Ircana.

Kiskia. Ora siam sole noi. Parla; sfogati pure.

Zulmira. Narra a chi può giovarti, il fil di tue sventure.
Kiskia. Di’; sei tu innamorato?
Ircana.   Lo fui per mio destino.
Zulmira. Ed or?
Ircana.   D’amore ingrato gioco i’ son.
Kiskia.   Poverino!
Zulmira. Peni per una donna?

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Ircana.   Sì, per donna m’affanno.

Kiskia. Libera, o maritata?
Ircana.   Sposa de! mio tiranno.
Kiskia. Lascia d’amar colei, che alfin d’altri è consorte.
Ircana. Amar la mia nemica? l’odio più della morte.
Zulmira. Dunque, se tu l’abborri, avrai libero il seno.
Kiskia. Dunque amor più non senti.
Ircana.   Sì, per amore io peno.
Zulmira. Ami e abborri in un punto?
Ircana.   Così vuol la mia sorte.
Kiskia. Cerca rimedio al cuore.
Ircana.   Il mio rimedio è morte.
Zulmira. (Mi fa pietà). da sè
Kiskia.   (Mi sento intenerire). da sè
Zulmira.   Ircano,
Cambia amor nel tuo seno.
Ircana.   Ah lo sperarlo è vano.
Kiskia. Provati; ma rammenta la sorte tua passata.
Mai più d’amor favella con donna altrui legata.
Ircana. Pria morir, che nel seno tai concepir ree voglie.
Zulmira. Può di pietoso amore ardere onesta moglie.
Kiskia. Ma la pietà ben presto cambia nel sen l’ardore.
Zulmira. Serba innocente il foco chi ha virtuoso il cuore.
Kiskia. Tanta virtù chi ha in seno?
Zulmira.   La può vantare il mio.
Kiskia. Eh Zulmira, sei donna, come lo sono anch’io.
Ircana. Cessin le gare vostre, donne per me pietose.
Sareste inutilmente dell’amor mio gelose.
Offrir posso ad entrambe rispetto e servitù;
Da me sperar, credetelo, non potete di più.
Kiskia. Vedova nutrir posso di lei miglior speranza.
Ircana. Meco può sperar poco la vostra vedovanza.
Zulmira. Moglie onesta qual sono, da te non chiedo nulla.
Ircana. Sarò con voi congiunta 5, qual vi sarei fanciulla.

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Kiskia. Dunque sei un ingrato.

Ircana.   Male, se ciò credete.
Zulmira. Si conosce dal labbro.
Ircana.   Voi non mi conoscete.
Zulmira. (Della cognata in faccia celar deggio il mio foco.
Lo troverò soletto, gli parlerò fra poco.
Da lui cosa non chiedo, che offenda l’onor mio.
Sol esser nella stima preferita vogl’io). da sè
Kiskia. (Parla fra sè Zulmira. Conosco il di lei cuore), da sè
Ircana. (Donne, affé questa volta vuole ingannarvi amore).
da sè
Zulmira. Pensa, Ircano, ch’io sono del tuo signor la sposa.
Non sarò teco austera; non m’averai6 sdegnosa;
Ma pensa, che a me devi il tuo primier rispetto.
Vieni alle stanze mie, vieni a servir. T’aspetto, parie

SCENA VIII.

Kiskia ed Ircana.

Ircana. So il mio dover.

Kiskia.   L’intendi? Tu l’accendesti, Ircano.
Ircana. Ve lo ridico, il giuro; arde Zulmira in vano.
Kiskia. In vano arder potrebbe donna congiunta, è vero.
Ircana. E libera e congiunta, sarà lo stesso.
Kiskia.   Altero!
Sapresti, se li offrissi 7, sprezzar gli affetti miei?
Ircana. Tutto, per aggradirli, quel che poss’io, farei.
Kiskia. Far quel che puoi t’impegni per spegnere il mio foco?
Ircana. Sì, ma quel che poss’io, pel tuo bisogno è poco8.
Kiskia. Vil non rassembri al volto.
Ircana.   Schiavo mi fe’ la sorte.
Kiskia. Libero potrà farti l’amor d’una consorte.
Ircana. Libertà con tal nodo da femmina dispero.

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Kiskia. Sposa non hai.
Ircana.   Nol nego.
Kiskia.   Libera sono.
Ircana.   È vero.
Kiskia. Vedova può, se il brami, far di sua destra il dono.
Ircana. Non a me.
Kiskia.   Perchè mai?
Ircana.   Perchè non sai qual sono.
Kiskia. Chi sei, che a meritarti la destra mia non vale?
Ircana. Sono a quel che tu sei, più che non credi eguale.
Kiskia. Dunque, se pari siamo, esser può il nodo onesto.
Ircana. Perchè pari siam troppo, non si può far per questo.
Kiskia. Spiegati, non t’intendo.
Ircana.   Dir non posso di più.
Kiskia. Parla.
Ircana.   In pace lasciatemi.
Kiskia.   Va; un ingrato sei tu.
Va pur, se ciò t’aggrada, va ad ascoltar Zulmira.
Ella è la tua signora, ella per te sospira.
Ma ti protesto e giuro, che lo saprà il germano:
Caro farò costarti lo sprezzo di mia mano.
Ircana. Deh placatevi meco.
Kiskia.   Sarai mio?
Ircana.   Non si può...
Kiskia. Se non puoi, menzognero, so io quel che farò.
(Appena l’ho veduto, mi sono innamorata), da sè
Vedrai quel che sa fare femmina disprezzata, parte

SCENA IX.

Ircana, poi Bulganzar.

Ircana. Ma quando avrà la sorte finito il suo rigore?

AI pari dello sdegno mi è funesto l’amore.
Ah per amor spietato, misera, ognor penai.
Ed or l’empio vuol farmi più infelice che mai.

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Non basta che schernita m’abbia un amante ingrato,

Anche l’amor di donna contro me è congiurato.
Se taccio, e non mi scopro, il mal si fa peggiore;
Se parlo, e mi disvelo, s’offende il mio signore.
Venga la morte almeno; traggami fuor de’ guai.
S’ha a morir una volta... Stelle! che vedo mai?
Qui Bulganzar?
Bulganzar.   Qui sono. Se sapeste perchè?
Ircana. Demetrio ti ha veduto?
Bulganzar.   No, Demetrio non c’è.
Un Armeno mio amico, che serve in questo suolo,
Per di qua mi ha introdotto. Però, non vengo solo.
Ircana. Con chi dunque?
Bulganzar.   Con uno... indovinate chi?
Ircana. Parla, che vuoi ch’i’ sappia?
Bulganzar.   Zitto. Tamas è qui.
Ircana. Tamas? Come! a che viene?
Bulcanzar.   Tornando alla città,
Lo ritrovai smanioso, che faceva pietà.
Lo salutai passando; ei non guardommi in viso.
M’arrestai a mirarlo; ed egli all’improvviso,
Perso, per quel ch’io vidi, della ragione il lume,
L’ala montò del ponte per gettarsi nel fiume.
Corsi per arrestarlo...
Ircana.   Precipitò?
Bulganzar.   No, un salto
Feci per arrestarlo, e lo sospesi in alto.
Ircana. Perchè volea...?
Bulganzar.   Per voi.
Ircana.   Per me? Mi ama egli ancora?
Bulganzar. Quando volea annegarsi, convien dir che vi adora.
Ircana. Dov’è?
Bulganzar.   Lo fo venire?
Ircana.   Anima mia diletta,
Dove sei? Perchè tardi?

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Bulganzar.   Ora lo chiamo.

(In atto di partire
Ircana.   Aspetta.
Viene a me? Perchè mai? Fatima ha nominata?
Bulganzar. L’ha il primo dì sull’alba sola in letto lasciata.
Ircana. Nel suo letto?
Bulganzar.   Che dite? Potea peggio trattarla?
Ircana. Prima di rintracciarmi, dovea prima scacciarla.
Che vuol da me l’infido, che vuol da me l’ingrato
Con una sposa unito, colla rival legato?
Vada da me lontano, vivo o in braccio di morte,
Sempre odioso a’ miei lumi lo rende una consorte
Digli che non ardisca di comparirmi innante.

SCENA X.

Tamas e detti.

Tamas. Sì, che ardirò di farlo. Eccomi alle tue piante.

Ecco un cuor, che non seppe soffrir da sè lontana
L’arbitra di sua vita, la sventurata Ircana.
So che un nodo ti offende; tentai di sciorlo ardito.
Di Bulganzar col braccio l’hanno i Numi impedito.
Tu, se fallito un colpo andò della tua mano,
Puoi replicarlo adesso; non andrà il colpo in vano.
Svenami a’ piedi tuoi; eccoti, Ircana, il modo
Di vendicar tuoi torti, e di disciorre un nodo.
Ircana. No, per tal via disciolto or non mi cal mirarlo;
L’amor mio, l’amor tuo, quello dovea spezzarlo.
Ucciderti volea pria di soffrire il torto.
Vivo or più mio non sei; tal non sarai, se morto.
Tamas. Aprimi per pietade, aprimi, Ircana, il seno.
Ircana. (Non avvilirti, o cuore). da sè
Bulganzar.   Fatel levare almeno.

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Ircana. Alzati.

Tamas.   No, mia vita.
Ircana.   Alzati, dico, ingrato.
Tamas. Ah sì, tu sul mio cuore serbi l’impero usato.
Ircana. (Ahimè! arder mi sento, e non so di qual foco).
da sèri
Bulganzar. (Aggiustando le cose s’andranno a poco a poco).
da ri
Tamas. Sfogati meco, Ircana.
Ircana.   Taci; sai dove siamo?
Tamas. Altro non so, che peno; altro non so, ch’io t’amo.
Ircana. Mira tu, che scoperti non siam da queste genti.
Esci, e avvisami tosto s’altri venir qua senti.
Vattene, il nuovo ufficio nuova mercede avrà.
(a Bulganzar
Bulganzar. (Intendo; restar vogliono un poco in libertà.
Or ora non si sentono parlar più di vendetta,
E quella poverina in Ispaan l’aspetta), (da sè, e parte

SCENA XI.

Ircana e Tamas.

Tamas. Ircana mia...

Ircana.   T’accheta; qui son io sconosciuta.
Tutti, fuor che ’l padrone, m’han per uomo creduta.
Tamas. Il padron? Ti vendesti?
Ircana.   Sì.
Tamas.   Oh Dei! per qual prezzo?
Ircana. Per tal, che tu non sei a conoscere avvezzo.
Pietà mi diede in cambio di servitù donata;
Da te, in cambio d’amore, ebbi un’anima ingrata.
Tamas. Tutto farò, mia vita, per riscattarti.
Ircana.   In vano.
Tarda pietà tu mi offri. Vanne da me lontano.

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Dopo i teneri amplessi, ch’ebbe da te la sposa,

Ircana agli occhi tuoi esser dovrebbe odiosa.
E se volubil tanto per debolezza or sei.
Sappi, che onor ti rende 9 odioso agli occhi miei.
Tamas. Odiami quanto sai, ma non mi odiar per questo.
Odi della mia sposa il piacere funesto.
Quando partisti, Ircana, conobbi il tuo dolore.
Ahimè, che il tuo sospiro sentii piombarmi al cuore.
L’ira, che concepita avea pe ’l tuo disegno,
Si dileguò ad un tratto, cesse ad amor lo sdegno.
Alla mensa confuso sedei senza parola;
Tutti in me stavan fisi, io fiso era in te sola.
Si congedar gli amici. Partissi ogni congiunto.
Giunse di restar soli colla mia sposa il punto.
Ma che! da lei diviso in quel momento istesso,
Errai di te cercando, dal mio dolore oppresso.
Sorta appena l’aurora, cercai tosto l’uscita
Dalla cittade, in traccia di te, mia cara vita.
E disperando alfine di rintracciarti altronde,
Volea seguirti in morte, volea perir fra l’onde.
Giunse la man pietosa, che ha il mio morir vietato.
Di rivederti, o cara, m’ha pur concesso il fato.
Porto la macchia in fronte d’esser d’altrui consorte;
Ma questo core è tuo, sarà tuo sino a morte.
Bastati?
Ircana.   Non lo sai, che ciò non mi consola?
Che nel cor di chi mi ama, voglio regnar io sola?
Tamas. Sola regni nel mio.
Ircana.   No, non lo dir, noi credo,
Finché in nodo congiunto alla rival ti vedo.
Tamas. Vuoi ch’io la sveni?
Ircana.   No, non sono empia a tal segno.
Tamas. Che posso far?
Ircana.   D’Osmano ti spaventa lo sdegno?

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Tamas. T’intendo, a ripudiarla tu mi consigli, e poi?

Ircana. Non consiglio, non prego. Va pur, fa ciò che vuoi.
Tamas. Per compiacerti, o cara...
Ircana.   No, se per me lo fai,
Non pensar di piacermi; odioso a me sarai.
Dei per te procurarlo, se amor ti punge il seno.
Io, se colei discacci, non l’ho a saper nemmeno.
Darti non vo’ consiglio, quel che si vuol, si faccia;
Ma con quel nodo indegno non comparirmi in faccia.
Quale già fui, tal sono. Lo dico a te presente.
O sia d’altri, o sia mio. Tutto pretendo, o niente.
parte

SCENA XI.

Tamas e Bulganzar.

Bulganzar. Presto, signor, andiamo pria che torni l’Armeno.

Tamas. Andiam. Parto d’affanno, parto d’amor ripieno.
Fatima! oh Ciel! scacciarla? Misera, in che ha peccato?
Abbandonare Ircana? Ah lo potresti, ingrato?
Chi mi consiglia? amore? Ah l’amor mi divide
Fra la sposa e l’amante, e il mio dolor m’uccide.
(parte con Bulganzar


Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Ed. Pitteri: prorito.
  2. Edd. Savioli e Zatta e rist torinese: dir.
  3. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: luogo.
  4. Nella rist. torinese e nelle edd. Savioli e Zatta: Ubbidisco.
  5. Dovrebbe dire: congiunto.
  6. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: no, non m’avrai ecc.
  7. Nella rist. torinese e nell’ed. Zitta: se il soffrissi.
  8. Nelle ristampe di Bologna e di Torino e nelle edd. Savrioli e Zatta mancano questi due ultimi versi.
  9. Nella rist. torinese e nell’ed. Zitta: che ognor ti rendi.