Ircana in Julfa/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Viale de’ platani con veduta della città di Julfa con porta e ponte lavatore.
Sole che spunta.
Ircana in abito virile sopra un sedile erboso, che dorme fra i platani. Bulganzar che passeggia in poca distanza.
Quest’aria in sul mattino pizzica troppo forte.
Per me poco mi cale, che ho le membra indurate;
Spiacemi per Ircana, che ha l’ossa delicate.
Povera disgraziata! poco non è, che l’abbia
Il sonno ristorata in mezzo alla sua rabbia.
Gli Armeni ad escir fuori per irsene al mercato.
Vorrei, giacché venduta vuol essere costei,
Con qualche mercatante far presto i fatti miei.
Prima che dalla Corte la cosa si scoprisse,
E Tamas, o alcun altro, la femmina inseguisse.
Julfa, ove siam, due miglia è d’Ispaan distante,
Poco dall’altrui vista difendon queste piante.
Temo, che se si avanza 1, e si fa chiaro il dì...
Ma s’aprono le porte; gli Armeni eccoli qui.
Vo’ per il suo vantaggio far tutto il poter mio;
Ma sopra un tal mercato vo’ guadagnare anch’io.
SCENA II.
Demetrio, Zaguro, Carico con altri mercanti Armeni.
Della città vicina solleciti al mercato.
Benché per noi festivo sia questo dì, forzati
Andar siam dal Persiano ai pubblici mercati.
Altra per mantenerci via non abbiam che questa;
Nè offendonsi le leggi, se la ragione è onesta.
Di cuoja e di sagrini facciasi acquisto; e sete
Comprinsi per l’Europa, quante comprar potete.
Nella caravanzera si pongano in sicuro.
Io resto qui. Tu puoi meco restar, Zaguro.
Sogliono i pecorai, passar per questo loco.
Capre, castori, armenti puonsi 2 comprar per poco
Divisi in varie parti tentiam la nostra sorte:
Voi in Ispaan mercate, noi di Julfa alle porte.
Carico. Andiam, pria che d’Europa i scaltri compratori
Quel che fa noi Armeni, che dal Persian si estimi,
È l’attenzion che si usa, d’esser mai sempre i primi.
E pochi son coloro, che altrui vendan derrate,
Pria che da noi non rieno o compre, o mercatate.
Zaguro. Schiavi e schiave comprate per la Turchia.
Carico. Già siamo
Pratici3 ancora in questo. Ne compreremo. Andiamo.
(parte cogli altri Armeni
SCENA III.
Demetrio, Zaguro, Bulganzar, Ircana che dorme.
Ircana non à schiava da contrattar con tanti.
Dorme ancor. Vo’ introdurmi. Buon giorno, amici miei.
Zaguro. Che vuol quel nero eunuco? (piano a Demetrio
Demetrio. Ti saluto. Chi sei?
Bulganzar. Io sono un galantuomo. Ho da Ispaan guidata
Per vendere una schiava.
Demetrio. Dov’è?
Bulganzar. Là addormentata.
Sotto virili spoglie per libertà si vela;
Ma la vedrai spogliata, vedrai quel che si cela.
Zaguro. Pria di comprare, amico, schiava non conosciuta.
Sappiasi donde viene venduta o rivenduta.
(a Demetrio
Demetrio. A un comprator sagace l’ammonizione è vana.
(a Zaguro
Chi è colei che tu vendi? (a Bulganzar
Bulganzar. Il di lei nome è Ircana:
Giovane vaga, ardita, che di virtù si gloria.
Di lei, fin ch’ella dorme, vi narrerò l’istoria.
(a Demetrio
Demetrio. Mercanzia non veduta mai disprezzar conviene.
(a Zaguro
Narrami i casi suoi. (a Bulganzar
Bulganzar. Costei fu, non so come.
Da un Finanzier comprata, che Machmut4 ha nome.
Tocco per essa il figlio da violento amore,
Tutto cede ben presto alla sua schiava il cuore,
Dandole incautamente ferma, salda parola
D’amarla, e quel ch’è peggio, sempre d’amarla, e sola.
Quindi ne vien...
Zaguro. Demetrio, questa non è per od.
Torni la delirante, torni ai legami suoi, (a Demetrio
Bulganzar. Costui, che non sa niente, vuol giudicar. (a Demetrio
Demetrio. Sprezzarla
Noi non possiamo ancora. Odasi il fine. (a Zag.) Parla.
(a Bulganzar
Bulganzar. (Tutto narrar non voglio quel che seguì di poi).
da sè
Demetrio. Narra il fin de’ suoi casi. (a Bulganzar
Bulganzar. Eccomi; son da voi.
(a Demetrio
Fu, dopo varie lune, l’amante giovinetto
A sposar altra donna dal genitor costretto.
Ed ei, che per natura è consigliato e buono.
Diede alla bella schiava la libertade in dono.
Per evitar che avesse la sposa gelosia,
Fu pronto al di lei cenno la schiava a mandar via.
Ella partì repente dal suo dolore oppressa,
Ma dal signor partissi padrona di se stessa.
Esser desia venduta per irsene lontana.
Felice chi la compra... Ecco, si desta Ircana.
(vedesi Ircana, che si va destando
Demetrio. Che costaci il vederla?
(a Zaguro
Zaguro. Sarà vana, orgogliosa.
Bulganzar. Oh se potessi averla
Io, povero qual sono, so certo che darei
Tutto quel che mi trovo, per posseder colei.
Se avessi a’ merti suoi moneta equivalente...
Ma! di già mi capite. Son un che non ha niente.
(s’accosta ad Ircana
Zaguro. Non ti fidar d’un nero, ch’esser può mentitore.
(a Demetrio
Demetrio. Cercar dee suo vantaggio, non altro, un compratore.
Zaguro. In società noi siamo, è ver; ma ti protesto,
Se tai schiave tu compri, socio non sono in questo.
Demetrio. Da me la schiava offerta comprata ora non fu;
Voglio, per mio talento, vederla, e nulla più.
Bulganzar. (Ecco i mercanti Armeni. Parla con leggiadria), (ad Ircana
(Se piace, avrò del prezzo anch’io la parte mia). da sè
Demetrio. Accostati. Chi sei?
Ircana. Ircana è il nome mio.
Son Maomettana, ed ebbi Tartaro il suol natio.
Demetrio. Hai genitori?
Ircana. Ingrati! mai non ne avessi avuto.
Demetrio. Perchè ingrati li chiami?
Ircana. M’hanno i crudei venduto.
Demetrio. Qual era il loro stato?
Ircana. Libero in povertà.
Demetrio. Peneresti con loro.
Ircana. Godrei la libertà.
Demetrio. Questa non ti fu resa?
Ircana. Tardo mi giunge il dono.
Demetrio. Tardo perchè?
Ircana. Qual fui, misera! or più non sono.
Demetrio. Non ritorni qual fosti, se il laccio or non ti aggrava?
Bulganzar. E per questo, che importa? Altrui ti venderanno
Qual se or fossi venuta...
Ircana. T’accheta, lo non inganno.
Demetrio. (Vedi il bel cuor sincero soavemente audace).
(piano a Zaguro
Zaguro. (Ed è vaga costei. Costei non mi dispiace).
(piano a Demetrio
Bulganzar. (Parmi che non la sprezzino. Voglio accostarmi a loro).
da sè
Demetrio. (Schiava non è volgare). da ti
Zaguro. (Vale Ircana un tesoro), da ti
Ircana. (Tamas, di te, crudele, tento scordarmi in vano.
Barbaro! se qui resto, da te non mi allontano). dia ti
Bulganzar. (E ben, che ve ne pare?) (a Demetrio
Demetrio. (Comprarla io non isdegno).
(a Bulganzar
Zaguro. (Vendila a me, che darti più dell’altro m’impegno).
(piano a Bulganzar, tirandolo in disparte
Bulganzar. (La comprerete uniti). (a Zaguro
Zaguro. (No, per me sol la voglio).
(a Bulganzar
Demetrio. (Nero, a me tu la vendi). (a Bulganzar
Bulganzar. (Questa gara è un imbroglio).
da sè
Ircana. Ben. Chi di voi mi compra?
Demetrio. S’ha a contrattar con lui?
(accennando Bulganzar
Ircana. Vendo me da me stessa.
Bulganzar. Ma il condottiere io fui.
Demetrio. Che pretendi? (ad Ircana
Zaguro. Che chiedi? (ad Ircma
Demetrio. Non ti pigliar tal pena.
Schiava comprar tu sdegni d’ardir, di gloria piena.
(a Zaguro
Demetrio. Chiedi tu il prezzo. (ad Ircana
Bulganzar. E poi
Ho da chiedere anch’io.
Demetrio. Tutto avrai. (a Bulganzar
Zaguro. (Di’, che vuoi?
(a Bulganzar
Ircana. No, Bulganzar, non devi lucrar su tal mercato;
Ma non sarà per questo teco il mio cuore ingrato.
Delle perdute gemme quest’unica mi resta;
Prendi; in mercè dell’opra, contentati di questa.
Lasciami in libertà di contrattare io sola.
Bulganzar. Vedete, se costei è una buona figliuola?
Contentomi del dono. Quest’è la parte mia.
Se mi regalerete, l’avrò per cortesia. (agli Armeni
Ircana. Avido. Di tal gemma non ti contenti ancora?
Demetrio. (Cresce il desio d’averla). da sè
Zaguro. (Sempre più m’innamora).
da si
Demetrio. (Odasi dal tuo labbro quel che pretender sai). (ad Ircana
Zaguro. Libera parla, ircana, e quanto chiedi, avrai.
Demetrio. Non fa per noi tal schiava. (a Zaguro
Zaguro. Dell’error mio m’avvedo.
Demetrio. Chiedimi il prezzo, Ircana.
Ircana. Ecco il prezzo ch’io chiedo.
Comprimi chi mi vuole; impieghimi ad ogni uso:
Alla mensa, ai giardini, od al ricamo, o al fuso.
Tutto farò obbediente quel che di fare io vaglio;
L’onta mi si risparmi sol di un nuovo serraglio.
Onde ad Arabi, a Turchi, a Tartari, a Persiani,
Non fia che rivenduta esca a voi dalle mani.
Sotto le leggi vostre vivrò discreta ancella:
La servitude onesta mi sarà grata, e bella.
Chi comprami a tal patto (arbitra di me sono).
Nulla, nulla pretendo. Non mi vendo; mi dono.
Zaguro. (Perderla non vorrei). da si
Bulganzar. (Per un simile prezzo anch’io la comprerei). da d
Demetrio. Se meco esser ti aggrada, ti offro l’albergo mio.
(ad Ircana
Zaguro. Tetto onesto e sicuro posso offerirti anch’io. (ad Ircana
Demetrio. In società noi siamo, è ver, ma ti protesto.
Se tai schiave si comprano, socio non sono in questo.
(a Zaguro
Zaguro. Se la sprezzai non vista, ora desio d’averla.
Demetrio. Io rispettai la donna, prima ancor di vederla.
Bulganzar. Demetrio è un galantuomo: è vero, io l’ammirai.
Le donne, come donne, non si sprezzano mai.
Demetrio. Ircana, ognun5 di noi d’averti ora pretende:
Scielga6 il suo compratore chi a prezzo tal si vende.
Ircana. Lo scieglierò, ma giuri prima ciascun di voi
Non far che la mia scielta susciti i sdegni suoi.
Bulganzar. Ircana, per non render mal soddisfatto alcuno,
O venderti, o donarti, potrai metà per uno.
Demetrio. No, meco in societade non degna esser Zaguro.
Sciegli tu il compratore; io soffrirollo, il giuro. (ad Ircana
Zaguro. Elegga pur.
Ircana. Prometti soffrir la scielta in pace? (a Zaguro
Zaguro. Lo prometto.
Ircana. Lo giuri? (a Zaguro
Zaguro. Giuro. (Costei mi piace). da sè
Ircana. Di timor, di discordia, altra ragion non veggo.
Questi Demetrio ha nome? (a Bulganzar
Bulganzar. È ver.
Ircana. Demetrio eleggo.
Demetrio. (Dell’acquisto son lieto). da sè
Zaguro. (L’onta soffrir non posso). da sè
Bulganzar. (Ha fatto bene a sciegliere il mercante più grosso), da sè
Fa di me dò che vuoi; ma salva l’onestade.
Demetrio. Fra noi dee una sol donna bastar a oneste 7 voglie.
Giovane donna e vaga diedemi il cielo in moglie.
Zaguro. Moglie non ebbi ancora. Meco sperar potria
Miglior destino Ircana.
Demetrio. Chetati. Ircana è mia.
Zaguro. Bene; non ti contrasto il possederla. Addio.
(Ma possederla in pace lasciar non ti vogl’io.
Fatto mi viene un torto, che tollerar non voglio.
Ma sarò in vendicarmi cauto qual esser soglio).
(da sè, e parte
SCENA IV.
Demetrio, Ircana e Bulganzar.
Bulganzar. (Misero! dalla bocca gli han cavato il boccone).
da sè
Orsù, signori miei, vi lascio in libertà.
Prima che ’l dì s’avanzi, ritorno alla città.
Ehi! c’è niente per me? (a Demetrio
Demetrio. Quel che tu vuoi, ti dono.
Ircana. Vattene per pietade. Signor, chiedo perdono.
Non vo’, per mia cagione, che un sol dinar si spenda.
S’altra mercè pretende, da me, da me l’attenda.
Ti darò le mie vesti, avido, ancor se vuoi.
Mi spoglierò, ribaldo.
Bulganzar. Tienti gli abiti tuoi.
Credea non oltraggiarti, chiedendo in cortesia
La mancia al mercatante. Non parlo. Vado via.
Se veggo quell’amico, dimmi, ho da salutarlo?
Ircana. Vattene per pietade. Non mi parlar...
Bulganzar. Non parlo.
Bulganzar. Se sento minacciarmi
Per cagion della fuga, torno in Julfa a salvarmi.
Demetrio. (Teme costili di che?) dati
Bulganzar. Se sulla schiena mia
Tamas si vendicasse?
Ircana. Vuoi partir? (minacciata
Bulganzar. Vado via.
(Vo a vender questa gioja per ricavarne il prezzo.
Se sarò bastonato, sono al bastone avvezzo;
Ed ho sì dura pelle, che per un po’ di mancia,
Cinquanta bastonate prenderei sulla pancia).
(da sè, e parte
SCENA V.
Demetrio ed Ircana.
Ircana. Son, qual mi vedi, oppressa, perchè mi calse il vero.
Dissimular non seppi quel che chiudea nel petto.
La mia sinceritade destò l’altrui dispetto;
Ed ho nel seno mio alma sì schietta e forte,
Che pria della menzogna, mi eleggerà la morte.
Demetrio. Di te il nero mi disse, credo finora il meno.8
Ircana. Quel che ti tacque il nero, posso svelarti appieno.
Disseti, che foss’io da un Finanzier comprata?
Demetrio. Sì, lo disse, e che fosti poscia dal figlio amata.
Ircana. Sai della sposa?
Demetrio. Ancora.
Ircana. Sai ch’io volea ferirlo?
Demetrio. Questo no.
Ircana. M’odi dunque. In faccia tua vo’ dirlo.
(A’ quai, uomini ingrati, siete pur troppo avvezzi),
Dal genitor, che impero unir seppe al consiglio.
Sposa guidarmi in faccia lasciò sedursi il figlio.
Taccio di lei quell’arte, onde gli avvinse il cuore;
Taccio le smanie estreme del mio schernito amore.
Dicoti sol, che armato di ferro il braccio forte,
Primo al suo destinava, indi al mio sen la morte.
Fui scoperta, sorpresa; sdegnossi il mio tiranno;
La mia rival si valse d’un amoroso inganno;
E in mio favor parlando con simulato affetto,
Vinse il cuor dello sposo, lo vinse a mio dispetto.
Al genitor sdegnato per me chiese perdono;
Scaltra, ottenne al mio scampo la libertade in dono.
Sul momento confusa, smanio, peno, m’adiro:
Per parlar non ho voce. Parto con un sospiro.
Vecchia, che la mia fuga prima avea concertata,
Rapite a me le gioje, sola mi ha abbandonata;
E Bulganzar, che seco fuor m’attendea soletto,
Trassemi, non so come, fuor dell’amabil tetto.
Qual coi sensi sopiti opra taluno, e dorme,
Dietro condur mi lascio della mia guida all’orme:
E d’Ispaan mi trovo fuor delle chiuse porte,
Senza saper s’io fossi viva, o in braccio di morte.
All’apparir del giorno seppi dal mio custode
La fuga avvalorata dall’oro e dalla frode.
Seppi che la rivale avea contribuito,
Perchè alla fuga il varco non fossemi impedito.
Cento immagini tetre di sdegno e di vendetta
Mi si destaro in mente; ma, oimè, che far soletta,
Misera, abbandonata, poteva in tal periglio?
L’ira alfin nel mio seno cedè il loco al consiglio.
Stanca, abbattuta, oppressa, volgomi al mio custode
Abbi pietà, lui dissi, che n’avrai merto e lode.
Vendimi, se fia d’uopo, agli onorati Armeni,
In così dir, sedendo, quasi fuor di me stessa,
Sentomi a poco a poco da dolce sonno oppressa;
Ma oimè, che i sogni miei furo funesti a segno,
Che trasseli le furie fuor del Tartareo regno!
Sangue, stragi, ruine sol figurai dormendo...
Ah, signor, non temere, d’ira or più non mi accendo.
Faccia di me la sorte quel che destina il Cielo;
Ti servirò discreta, ti obbedirò con zelo.
Solo in balìa mi lascia questo mio cuore in petto.
Che serba a quell’ingrato l’amore a mio dispetto.
Ira ho contro me stessa, vorrei potere odiarlo;
Ma, a mio rossore il dico, son costretta ad amarlo.
Demetrio. Donna, a pietà mi muove il tuo dolore estremo.
Per te, de’ casi tuoi, del tuo destino io tremo.
Seguimi in Julfa. Andiamo. Comodo avrai ricetto
Per ristorar te stessa sotto d’amico tetto.
Vo’ che per or sospendi meco di serva il nome;
Celisi altrui per ora donde venisti, e come.
Cela il tuo sesso ancora coperto da tai spoglie.
Agli amici, ai congiunti, alla mia stessa moglie.
Rinvenirò Zaguro nella regal cittade,
Gli narrerò i tuoi casi per moverlo a pietade.
Tornino omai serene le luci tue leggiadre:
Un comprator cercasti; hai ritrovato un padre.
Tu ti donasti a me senza voler mercede;
Senza mercè ti giuro l’amor mio, la mia fede.
(s’incammina
Ircana. Numi, trovato ho un padre d’amor, ma non mi basta,
Se l’amor d’un ingrato la pace mi contrasta.
Toglietemi dal seno il contumace affetto,
O strappatemi, o Numi, questo mio cuor dal petto.
parte
Fine dell’Alto Primo.
Note
- ↑ Ed. Pitteri: avanza; e più sotto: avvanzato.
- ↑ Così nelle ristampe di Torino (presso Guibert e Orgeas, t. III, 1775) e nell’ed. Zatta. Nelle edd. Pittori e Pasquali: ponsi.
- ↑ Ed. Pitteri: Prattici.
- ↑ Solo l’ed. Pasquali corregge: e che Machmut ecc.
- ↑ Ed. Pittori: ogni un.
- ↑ Nella rist. torinese e nelle edd. Savioli e Zatta: scelga; più sotto: sceglierò, scegli, scelta.
- ↑ Nella rist. torinese e nelle edd. Savioli e Zatta: a nostre.
- ↑ Così il testo.