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IRCANA IN JULFA | 351 |
SCENA V.
Zulmira, Kiskia, Marliotta, Ircana e Demetrio.
Marliotta. Insolente!
Zulmira. Audace!
Ircana. Nell’indiscreto zelo
Chi sa che non mi parli d’una fanciulla il Cielo!
Demetrio. No, che il Cielo non parla con sì crudel linguaggio.
Altri lumi a noi porge del vero Nume il raggio. s’alza
Sgombri dell’error vano de’ Maomettani alteri,
Noi apprendiam col latte saggi principj, e veri.
Parla da scherzo e ride giovane vana, ardita.
Noi non abbiam dal Cielo l’arbitrio della vita.
Questa che a noi si diede, a lui render dobbiamo,
Quando il dator la chieda, non quando noi vogliamo.
Si scemerà col tempo il tuo cruccioso affanno.
Contro di te non essere crudelmente tiranno.
Quella virtù che mostri aver per tuo retaggio,
Desti nel tuo bel core, desti un pensier più saggio.
Pensa che le sventure son mezzi, onde la sorte
Prova fa tra i viventi dell’anima più forte.
Solo non sei che pianga, solo non sei che peni;
Dopo i torbidi giorni ritornano i sereni.
E chi nelle sventure cerca incontrar la morte,
Di renderlo felice non dà tempo alla sorte.
Lascioti con tai donne, che hanno pietoso il core;
La compagnia giuliva scema il peso al dolore.
Vado agli uffici miei. A voi farò ritorno.
Sposa, qual sia lo schiavo, conoscerete un giorno. parte