Industrie femminili/Piemonte
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PIEMONTE
INDUSTRIE FEMMINILI
NEL PIEMONTE
Da qualche tempo si nota un crescente interesse pei lavori femminili e signore e popolane vi si dedicano con efficace attività. La casa come l'abbigliamento sono oggetto di maggior cura: si predilige la fusione delle tinte, armonizzanti col disegno, e anche là, dove si sente lo stimolo di copiare cose belle dall’antico, si tende a non eccedere in una servile imitazione, incompatibile talora colle scoperte moderne, ma si uniforma il bello antico, rispettato nelle sue linee e nei suoi colori, colle bellezze e cogli intendimenti dei nostri giorni.
In parecchie regioni d’Italia si iniziarono scuole nuove di lavori femminili e non soltanto per soddisfare a un bisogno di bellezza, ma benanche ad un bisogno di fraternità, per venire in aiuto alle classi lavoratrici.
Gentildonne italiane studiando le antiche industrie femminili italiane, sepolte in regioni sconosciute, accoppiandole colle arti nuove, inaugurarono quella produzione accurata, che poteva incontrare il gusto del pubblico, esser fonte di guadagno diretto per chi lavorava. Di qui poi l’idea della " Cooperativa per le Industrie Femminili " sorta in Roma e di cui son parte i varii Comitati regionali.
Ma prima di parlare del Comitato regionale piemontese, mi si permetta un cenno sul Comitato Esposizione-vendita di lavori femminili, da cui quello nacque.
Nella primavera del 1899 un gruppo di signore, modeste, ma animate da un sincero e fervente desiderio di bene, iniziava in Torino una piccola Mostra-vendita di lavori femminili, collo scopo di farli conoscere e di sottrarli al monopolio dei negozianti, vendendoli direttamente. Sebbene fosse un primo tentativo, di lavori ve ne furono parecchi. Una giuria, composta di valenti conoscitori e di esecutrici di lavori femminili, ne aveva scelto i più belli, volendo così dimostrare che scopo dell’Esposizione era non soltanto un vantaggio economico, ma un miglioramento e un perfezionamento d’arte applicata all’industria. La Mostra sebbene piccola, incontrò la simpatia del pubblico, che accorse, approvò l’idea, ne aiutò Io sviluppo.
Presidente del piccolo Comitato era la signora Emilia Mariani: presto si compilò lo Statuto, si stabili un Regolamento, si diffuse l’idea colla speranza che l’anno prossimo l’Esposizione si sarebbe allargata e migliorata.
Le lavoratrici, i cui lavori erano ammessi alla Mostra, pagavano 1 lira, colla quale avevano diritto di esporre 10 lavori di qualsiasi mole e di qualsiasi prezzo. Le patrone erano azioniste, quali di 1 lira, quali di 5: ciascuna azione dava diritto all’ingresso gratuito alla Mostra e a concorrere a un premio sorteggiato. Dapprincipio i premi erano pochi, poi crebbero via via che i mezzi finanziari più abbondanti permisero al Comitato di comperare dalle espositrici maggior copia di lavori. E questi mezzi, di cui poteva disporre il Comitato, erano costituiti dalle azioni delle signore, dalle adesioni delle lavoratrici, dai cent. 20 d’ingresso all’Esposizione e dalla percentuale del 10 7o che lasciavano le lavoratrici sull’incasso dei lavori venduti. Non mancarono offerte generose di enti morali e di privati.
L’idea di questa Esposizione-vendita e il reale profitto che ne ritraevano le lavoratrici piacquero tanto, che dopo tre anni, la Mostra trasportò i suoi lavori in altri locali più adatti, in tre sale della Promotrice di Belle Arti, in Via della Zecca, 26, dove per l’ampiezza e la bellezza degli ambienti, l’Esposizione dei lavori femminili crebbe di pregio per maggior copia di prodotti esposti e per una più accurata scelta sia nel disegno artistico che nell’esecuzione. E non solo si diffuse l’idea di lavori nuovi, ma anche quella di risuscitare industrie antiche, già vanto dell’abilità e dell’arte delle nostre donne.
Era intanto succeduta nella presidenza la signora Aniceta Lampugnani-Frisetti, gentildonna dì ottimo gusto artistico, valente quanto modesta, semplice, generosa, che diede un impulso grandissimo all’Esposizione. Questa fu posta sotto l’alto patronato di S. A. I. R. la principessa Letizia di Savoia-Napoleone, duchessa d’Aosta, e di S. A. R. la duchessa di Genova madre. Entrambe erano state delle principali acquirenti dei lavori della Mostra e se ne facevano valide protettrici.
Alle patrone antiche altre se ne aggiunsero, altre si rinnovarono: con nobile gara molte gentildonne torinesi, prestarono dei loro lavori, sia antichi per imitadi, sia moderni per averne ispirazione, e così l’Esposizione-vendita si faceva ogni anno più abbondante e più bella. Nelle nuove sale si potè anche stabilire, in giorni fissi della settimana, un servizio di thè, accrescendo così il contributo all'opera buona, accoppian- dolo all'attrattiva di un simpatico convegno.
Intanto fin dal quarto anno della sua nascita, le migliorate condizioni finanziarie permettevano di diminuire la percentuale delle lavoratrici e ridurla al 5 7% di accrescere la probabilità dei premi sorteggiati alle azioniste, stabilendo il sorteggio cosi: alle azioniste di L. 5 un regalo ogni due numeri: alle azioniste di L. 1 un regalo ogni 4, Inoltre il Comitato stabiliva un fondo annuale che servisse di patrimonio alla Società per spese im- previste.
Così nel 1906 alla sua ottava Esposizione il Comitato Esposizione-vendita si presenta sotto i piìi lieti auspici e come chiuse il suo esercizio con L. 1000 di fondo (dopo aver incassato in un mese di esposizione nel 1905 piìi di L. 12.000 delle quali L. 10.500 circa furono date alle espositrici), spera nella primavera del 1906 di superare gli incassi, di fare maggiori compere dalle espositrici, di accrescere il numero dei oni alle dame azioniste, e così allargare sempre piìi la sfera d'azione estendendola alle lavoratrici, non soltanto di Torino, ma a quelle di altre città, che vorranno mandare i loro pro- dotti industriali femminili artistici alla Mostra torinese.
Il 7 aprile 1905 la contessa Brazzà presidente della " Cooperativa per le Industrie femminili di Roma ", teneva a Torino, nel salone della Promotrice di Belle Arti, dove si era appena chiusa l'Esposizione mensile di lavori femminili, una conferenza sulle Industrie femminili d'Italia; parlava del Comitato Centrale di Roma, della Esposizione permanente di tali industrie nel palazzo di Via Marco Minghetti, proprietà della
1) L'incasso della esposizione-vendita della primavera 1906 superò le L. 18.000, di cui 16.000 circa alle lavoratrici. Cooperativa, e invitava il Comitato di Torino a unirsi con quello di Roma. Ma il Comitato Esposizione-vendita desiderò restare autonomo, perchè l’Esposizione mensile a Torino raccoglieva già molti lavori non solo della città, ma anche di altre regioni, e perchè il bene alle lavoratrici piemontesi si poteva fare pii^i direttamente. Tuttavia per annuire all’idea italiana di solidarietà fra le varie regioni, di cui si faceva calda fautrice la contessa Brazzà, si fermava un altro Comitato con elementi comuni ad entrambi e S. A. I. R. la principessa Letizia di Savoia-Napoleone duchessa d’Aosta, che già era e si manteneva alta patrona del Comitato Esposizione-vendita, assumeva la presidenza effettiva del Sottocomitato piemontese il quale prendeva il nome di Comitato regionale piemontese.
Il nuovo Comitato costituitosi il giorno 8 aprile in casa di S. A. I. R. la principessa Letizia stessa riusciva composto di 24 signore e si distribuivano le cariche così:
S. A., R. la Principessa Letizia, Presidente.
S. E. la Contessa A. Visone, Vice Presidente.
Sig.na Teresa Pulgiano-Peyron, Vice Presidente.
Sig.ra Elisa Borgogna-Poma, Cassiera.
Sig.ra Giulia Bernocco-Fava Parvis, Segretaria.
PATRONE CONSIGLIERE
Sig.ra Valeria Ambrosetti-Avondo.
Sig.ra Maria Ceriana-Geisser.
Cont. Maria Colli di Filissano-Carpenetto.
Cont. Sofia Di Bricherasio.
Cont. Cristina Di Masino-Trotti
March. Onorina Di Palazzo (Ì’Ormea.
Cont. Ernesta Di PettinengoMarocco.
Donna Beatrice Engelfred-Falcò.
March. Maria Federici-Berardi
Cont. Amalia Fè d’Ostiani-Casana.
Cont. Maria Galateri di Genola-Rossi.
Cont. Gisella Gasperini-Zacco.
Baron. Gianotti-Sacchi.
Sig.ra Aniceta Lampugnani-Frisetti.
Cont. Maria Morelli di Popolo-Ardoino.
Sig.ra Maria Nigra-Guillot.
Sig.ra Olimpia Pugliesi Levi-Segre.
Cont. Carina Richetta di Valgoria.
Baron. Emilia Weil-Weill Weiss.
Si nominavano membri della Giuria le signore:
Cont. Sofia di Bricherasio.
March. Onorina di Palazzo d’Ormea.
Sig.ra Maria Nigra-Guillot.
Sig.ra Olimpia Pugliesi Levi-Segre.
Cont. Carina Richetta di Valgoria.
Baron. Emilia Weil-Weill Weiss.
MEMBRI SUPPLENTI
March. Federici-Berardi.
Signora Maria Ceriana-Geisser
Primo pensiero del nuovo Cominato regionale piemontese fu di mostrare segno di fratellanza col Comitato Centrale di Roma, e di fiducia nell’opera sua, col prendere azioni da L. 100 l’una. Alla prima seduta dopo la sua costituzione, presiedente l’augusta Principessa, che non mancò mai alle sedute o regionale piemontese
di poi, spiegando intelligente energia e perspicacia di propositi, si raccolsero 15 azioni pari a L. 1500. Altre 7 azioni vennero in seguito e così nel suo primo anno di vita, non ancora spirato, il Comitato regionale piemontese versava alla Cooperativa Industrie Femminili di Roma " L. 2200 per 22 azioni da L. 100 l'una.
In seguito si mandavano lavori di vario genere, ricami su tela, su cuoio, su fustagno; in seta o pirogravure, trine, oggetti d’uso comune o di lusso, per la vendita permanente in Roma.
Ma l’obiettivo principale, al quale convergevano le attenzioni del Comitato regionale piemontese, era la partecipazione col Comitato di Roma alla grande Esposizione internazionale di Milano nella primavera del 1906.
Le Industrie Femminili Italiane " vi avrebbero portato i prodotti artistico-industriali-femminili, speciali ad ogni regione: manifestazione grandiosa d’italianità collettiva anche in questo campo, dove l’attività e il gusto artistico femminile si aprono nuove vie tendenti al miglioramento intellettuale, morale ed economico delle lavoratrici. Ogni regione italiana ha un patrimonio avito di lavori, usciti da mente e da mano femminile, che opportunamente rivelato, risuscitato, corretto e perfezionato, a seconda delle esigenze della vita moderna, può essere fonte nuova di guadagno alle donne, sia andando ad opera in laboratori, sia rimanendo nella propria casa, accudendo alle domestiche faccende.
Ed alla grande Esposizione di Milano le " Industrie Femminili d’Italia", nelle loro svariate manifestazioni, riveleranno una volta di più l’ingenito amore dell’arte, che nasce e si nutre sotto il suo splendido cielo.
Con quale industria femminile propria si sarebbe presentato il Piemonte?
La nostra regione ebbe nei secoli passati nella sua arte, sia architettonica che decorativa, un’impronta francese, perchè la vicinanza colla Francia, le relazioni di parentela fra le Case di Francia e di Savoia avevano naturalmente dato un sopravvento ai gusti e alla moda importati d’oltre Alpi. Il settecento francese aveva dettato la sua moda, in tutto, al Piemonte, il quale però modificandone gli accessori aveva stabilito, nella decorazione soprattutto, un gusto proprio denominato Barocco piemontese.
A questo barocco s’ispiravano i motivi di ricamo sulle stoffe, sia per arredamento che per abbigliamento, e specie i parati delle stanze e le coperte dei mobili erano ricamate in quello stile.
Tanto in Francia che in Piemonte fino dal secolo XVII usavano coprire le ricche suppellettili con housses, le quali alla loro volta erano talora ricchissime e di gran pregio. Togliere le housses ossia découvrir era permesso soltanto nelle grandi occasioni per ricevimenti solenni.
Narra a questo proposito l’Havard che nel 1745 il Doria, inviato di Genova alla Corte di Francia, essendo stato pubblicamente ricevuto dalla Regina, vi furono prima molte pratiche per sapere se si sarebbero o no scoperte le suppellettili. Gli addetti al mobilio avevano già principiato à découvrir quando il duca di Richelieu, capitando all’improvviso, lo vietò. Ma il Re, sopraggiunto poco dopo, ordinò che si continuasse l’operazione, indispettendosi anzi col Duca che l’aveva interrotta.
Anche nelle famiglie private le housses occupavano un gran posto, e negli inventari che ci furono tramandati, figurano sempre, quali oggetti di valore, perchè fatte di rascia, di seta, di velluto e anche di cuoio, con ricami e ornamenti di seta, di argento e di oro. Anzi, in occasione di feste, di ricevimenti, di danze spesse volte i mobili erano rozzi e brutti e per salvare il decoro e le apparenze si toglievano a prestito 0 a nolo delle ricche housses per coprirli.
Dapprima usavansi metterle quali semplici stoffe per coprire i mobili e preservarli dalla polvere e dall’azione distruggitrice della luce; in seguito le adattarono con più esattezza ai mobili, quasi una camicia, e le chiamarono housses à la romaine; quando rivestivano da cima a fondo il mobile, furono anche chiamate housses trainantes e tenute ferme da nastri o da semplici fermagli.
Tra queste housses à la romaine erano in voga nel Piemonte quelle di tela bandera ricamata in lana monocroma o policroma a disegni a fiori, giranti sovra un motivo architettonico, o sparsi a ghirlandette e a mazzi, alternati da nastri che s’intrecciavano, correvano, dando all’intero disegno una vaghezza e una leggerezza sorprendente. Specie i letti erano coperti da grandi housses in tal genere, e per la grazia e la praticità, poiché si potevano lavare, per una certa garbata rusticità, formavano il mobilio preferito di camere da letto campestri.
In molte ville antiche patrizie piemontesi, come al castello di Guarme dei conti Collegno, alla villa di Campiglione presso Pinerolo dei marchesi S. Germano, alla villa Moglia presso Chiesi dei marchesi Federici, di Castagneto presso Chivasso dell’ing. cav. Arturo Ceriana, alla villa Agnelli in Villar-Perosa nella valle del Chisone, al castello di Cherasco dell’on. Fracassi e in molti altri, ville e palazzi della nobiltà e dell’alta borghesia piemontese, ne esistono tutt’ora dei bellissimi avanzi.
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Nel Museo Civico di Torino c’è una bellissima testiera da Ietto e una seggiola; nel palazzo Barolo una coperta, non molto bella in sè, ma che ha il pregio d’aver servito come coperta del letto di Silvio Pellico.
II nome bandera era proprio di una tela bambagia tessuta in Piemonte nel ’700 e ricami bandera si chiamarono tutti quelli fatti su quella tela, la quale era talora liscia, talora a spiga di un colore bianco giallognolo, adoperata per le housses.
Fu la signora Lampugnani, che pensò di risuscitare questi antichi ricami piemontesi. Le fabbriche Ghidini e Rey li avevano riprodotti in seta e in lana, ma sul telaio e con disegni uniformi; si potevano ora e con eleganza riprodurre a mano, restituendo loro così il primitivo pregio e contentare il gusto dei raffinati, che non vogliono le imitazioni, ma le riproduzioni.
Essa comunicò l’idea, la quale piacque, si diffuse e allora molte gentildonne piemontesi rimisero in luce le loro antiche bandere e una nuova ricchezza di ricordi, di cimeli d’industrie femminili si rivelò, suscitando un nobile desiderio di produzione nuova, artistica, geniale, rimuneratrice, che fosse il riflesso autentico dell’antico. S. A. la Presidente del Comitato regionale approvò e il Comitato unanime deliberava, fin dal nascere, che si sarebbe presentato colla Cooperativa di Roma air Esposizione di Milano, con una camera da Ietto in bandera.
Ma i mezzi a ciò erano scarsi: allora una cospicua dama torinese, la contessa Conelli-Savoiroux, con generoso intendimento e squisita cortesia, donò ella stessa la camera, che avrebbe destinata a una sua villa, anticipò parte dei fondi necessari, lasciando al Comitato piena libertà per il disegno e per l’esecuzione.
Vittorio Arondo, il valente pittore torinese, il direttore e riordinatore del nostro Museo Civico, profondo conoscitore e scrupoloso maestro di tutto ciò che è arte piemontese, e molto reputato anche all’estero, aiutò del suo consiglio, confortò della sua approvazione; un valente disegnatore, Lorenzo Zola, insegnante d’ornato alla Scuola professionale femminile Maria Letizia, fece il disegno; il pittore Stagliano, la figura dei due puttini che figurano nella testiera; la signora Piovano-Schiavo, diresse i lavori con molta competenza, accogliendo nel suo laboratorio molte giovani abili nel ricamo e nel disegno; il cav. Federico Martinotti, compì il mobilio con due oggetti, un inginocchiatoio e una commode in radica di noce intarsiata di mogano copiati dall’antica, di grandissimo pregio. Nè mancò in questa occasione l’attività e la diligenza di alcune fra le patrone, tra le quali è doveroso tributare speciale elogio alla contessina Sofia di Bricherasio, conosciuta in Torino quale valente ed esperta artista, che vigilò scrupolosamente sull’opera. Nè soltanto al laboratorio della Piovano, lavorarono molte giovani, ma parte del lavoro fu pure dato a lavoratrici private, quali uscite dalla Scuola professionale M. Letizia, quali appartenenti alle «Figlie dei Militari», quali ai grandi 8 laboratori, protetti da signore torinesi sotto la vigilanza delle Suore di Carità.
In uno di questi laboratori, quello di S. Gioacchino, tre signore appartenenti pure al Comitato regionale, signora Maria Ceriana-Geisser, signora Valeria Ambrosetti-Arondo e signora Elisa Borgogna-Poma, fecero eseguire, sempre in bandera e copiando un disegno antico, tre altri oggetti; donna Teresa Pulliano fece riprodurre la coperta di Silvio Pellico all’Istituto delle Maddalene (Opera pia Barolo): così alla Mostra di Milano questa antica industria di ricami, schiettamente piemontese, apparirà completa anche nelle varie sue fasi.
A complemento di questi cenni aggiungerò che anche l’industria dei pizzi risale a tempi antichi. Nella Valle Varaita su quel di Cuneo, nella Valle di Cogne e nella Valle Sesia esistono trine speciali ad ago ed a fuselli, bianche o in colore, che prendono nome appunto da quelle valli. Erano patrimonio delle donne di campagna, che ne serbavano gelosamente il secreto. Ora, mercè il cresciuto sviluppo della vendita, parecchie giovani contadine, quando i lavori campestri lasciano loro tregua, vi si esercitano e ne traggono profitto notevole.
Tanto all’Esposizione primaverile di un mese, che si fa ogni anno a Torino, che a quella permanente di Roma, figurano sempre i pizzi di Fobello, di Cogne e di Val Varaita, che aumentano sempre la loro quantità. A Vespolate (Novarese) è sorta da poco per iniziativa della signora Borgogna-Poma una scuola di merletti all’ago torto che imita alla perfezione gli antichi pizzi d’Irlanda. Sono merletti robusti, consistenti, di ottimo uso per biancheria da letto o da tavola. Quei di Fobello (il classico poncietto) sono anche in colore e si adoperano quali ornamenti di abiti. Nella Valle dell’Ossola per iniziativa della signora Nigra-Quillot c’è una scuola di lavori in biancheria, originali e di pregio.
Nelle scuole professionali e nei laboratori tutti questi lavori si riproducono molto facilmente; cosicché non soltanto dalle campagne, ma anche dalla città se ne potrà avere una quantità maggiore da offrire al pubblico. Non bisogna però dimenticare che a Torino e in Piemonte, città e regione eminentemente industriali, la gran massa delle donne del popolo va alla fabbrica. Ivi è più rapido il guadagno, l’opera più facile, e raramente vi si richiede il concorso dell’intelletto educato all’arte. È la piccola borghesia, sono le antiche famiglie, decadute dall’agiatezza all’angustia, che possono esercitarsi nei lavori, sia antichi che moderni, per i quali occorrono tempo, educazione di gusto e diligenza.
Per questo le scuole professionali, gli istituti di educazione e di istruzione, la diffusione delle Riviste d’arte e di lavori, sia nazionali che esteri, aiutano grandemente a migliorare il gusto del disegno e a perfezionare la mano d’opera. Le piccole Esposizioni, come le grandi, dove spesso una nobile gara è incentivo al progresso, hanno giovato a svolgere questa nuova forma di attività, in cui al miglioramento ottenuto dalle classi lavoratrici, ha concorso l’opera generosa e sapiente delle classi agiate.
Diamo l’elenco delle lavoratrici e dei rispettivi laboratori che concorsero all’esecuzione della camera da Ietto e degli altri ricami in bandera:
Laboratorio Sorelle Piovano, Corso Casale, 10 — Emma Chiandano - Leopolda Calzavari - Annetta Viannino - Lucia Gandino - Maria Arduino - Paolina Pignatta - Vittorina Razzetti - Maddalena Genesio - Giuseppina Marchisio.
Lavorarono al proprio domicilio, ma sotto la direzione della signora Piovano:
Sorelle Campana, Corso Oporto, 51 — Anna Borra e allieve. Via Principe Amedeo, 13 - Pepione-Bo e allieve. Via S. Francesco da Paola, 4 - Parodi-Buzzi e allieve, via della Rocca, 19.
Nella "Scuola Professionale Figlie dei Militari" e sotto la direzione della sig. Piovano:
Allieve: Margherita Chella - Rosalia Mazza - Quirina Alferr - Giovannìna Giordano.
Maestra: Ester Fraccaroli.
Laboratorio S. Gioacchino, Via Rivarolo, 2 - Maria Banchi - Egidia Panieri - Olimpia Ferrerò - Francesca Marsengo Cesarina Balloco - Angela Aprà - Adalgisa Molena.
giulia fava pervis-bernocco