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Nel Museo Civico di Torino c’è una bellissima testiera da Ietto e una seggiola; nel palazzo Barolo una coperta, non molto bella in sè, ma che ha il pregio d’aver servito come coperta del letto di Silvio Pellico.

II nome bandera era proprio di una tela bambagia tessuta in Piemonte nel ’700 e ricami bandera si chiamarono tutti quelli fatti su quella tela, la quale era talora liscia, talora a spiga di un colore bianco giallognolo, adoperata per le housses.

Fu la signora Lampugnani, che pensò di risuscitare questi antichi ricami piemontesi. Le fabbriche Ghidini e Rey li avevano riprodotti in seta e in lana, ma sul telaio e con disegni uniformi; si potevano ora e con eleganza riprodurre a mano, restituendo loro così il primitivo pregio e contentare il gusto dei raffinati, che non vogliono le imitazioni, ma le riproduzioni.

Essa comunicò l’idea, la quale piacque, si diffuse e allora molte gentildonne piemontesi rimisero in luce le loro antiche bandere e una nuova ricchezza di ricordi, di cimeli d’industrie femminili si rivelò, suscitando un nobile desiderio di produzione nuova, artistica, geniale, rimuneratrice, che fosse il riflesso autentico dell’antico. S. A. la Presidente del Comitato regionale approvò e il Comitato unanime deliberava, fin dal nascere, che si sarebbe presentato colla Cooperativa di Roma air Esposizione di Milano, con una camera da Ietto in bandera.

Ma i mezzi a ciò erano scarsi: allora una cospicua dama torinese, la contessa Conelli-Savoiroux, con generoso intendimento e squisita cortesia, donò ella stessa la camera, che avrebbe destinata a una sua villa, anticipò parte dei fondi necessari, lasciando al Comitato piena libertà per il disegno e per l’esecuzione.