In risaia/Il folletto

XXXII

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IL FOLLETTO

sei anni dopo



DD
a qualche tempo la mula di Gaudenzio non era più la stessa; si faceva ogni giorno più bisbetica ed ombrosa.

Scacciava le mosche cavalline con certi colpi di coda, che le sferzavano il dorso come staffilate; poi, stizzita d’essersi fatta male, voltava il muso indietro, colle labbra aperte e i denti stretti che pareva un cane arrabbiato.

Quand’era attaccata al carro, nessuno era più capace di guidarla; o pigliava certi dirizzoni da far temere che avesse a correre senza più fermarsi fino in capo al mondo, o si piantava dura, immobile, come se i suoi quattro piedi avessero messo radice nel [p. 218 modifica] terreno. E guai a toccarla colla frusta! S’impennava peggio d’un puledro.

La famosa frusta di Gaudenzio, che altre volte schioccava nelle vaste risaie col suono gaio d’una salva di mortaletti e faceva battere il cuore a tutte le fanciulle del circondario, ora gli pendeva lenta dietro le spalle come una biscia morta, mentre lui camminava a fianco del carro adattandosi al passo capriccioso della mula; era lei che guidava il carrettiere.

Intanto i fittabili, che non lo vedevano mai arrivare puntuale, ed una volta l’aspettavano tre giorni per un trasporto da Oleggio a Momo, un’altra volta se lo trovavano nel cortile mezza giornata prima del tempo fissato, col carico scomposto e la mula fumante come un camino per la corsa sfrenata, dicevano crollando il capo:

— Gaudenzio non è più il carrettiere d’una volta. Dev’essere quel capriccio per la Rosetta, quel capriccio che non s’è potuto cavare, che gli porta via la testa. [p. 219 modifica]

Ma Gaudenzio non era uomo da morire dietro un capriccio. Dacchè la sposa di Pietro gli aveva fatto capire che non voleva far torto al suo uomo, aveva sposata la Lucia, e non ci aveva pensato più.

Ed ora poi aveva ben altro in mente che gli amori. Il pensiero della sua bestia lo crucciava giorno e notte; e quando i camerati lo compiangevano, che era giù di cera come se uscisse dall’ospedale, e gli domandavano con affettuosa premura se aveva poca volontà, rispondeva, togliendosi la pipa di bocca e sputandosi melanconicamente fra i piedi:

— La salute non va male, non va: ma quest’affare della mula mi fa paura. Il carrettiere e la sua mula, sapete, è tutt’uno; se la mula non cammina, il carrettiere non mangia. Ho già perduta la pratica della risaia grande a Borgo Vercelli, che mi faceva lavorare metà dell’inverno; è quella che fornisce il riso a tutti i salumai di Novara.... [p. 220 modifica]

Una sera che diceva questo nella stalla, la vecchia Santina, gli domandò se la mula mangiasse volentieri.

— Per mangiare, mangia, rispose Gaudenzio, che era sempre pronto a parlare della sua bestia, per sentire se mai c’era modo di guarirla. Ma addenta il fieno rabbiosamente, come se fosse un fascio di serpenti che la volessero mordere.

La Santina, che era vecchia assai, e la sapeva lunga sulle malattie delle bestie e dei cristiani, ed aveva persino un segreto per guarire la sciatica, che si tramandavano le donne della sua famiglia di generazione in generazione, alzò due volte il capo come per dire:

“Ho capito; so di che si tratta.„

Poi fece un’altra domanda:

— Ed avrà la coda ingarbugliata come una vecchia matassa, eh?

— E guai a volergliela pettinare! rispose Gaudenzio affermando. [p. 221 modifica]

— Allora, ve lo dico io cos’ha la vostra mula, sentenziò la Santina con tono dottorale: Ha il folletto!

Tutti nella stalla chinarono ripetutamente il capo guardandosi l’un l’altro con aria di compassione come per dire:

“Proprio questa gli è toccata!„ E Gaudenzio sospirò:

— Ah! È ben questa la mia paura....

E non osò dir altro perchè non lo poteva credere che la sua bella mula fosse a quei termini.

A lottare colla gente di questo mondo Gaudenzio non aveva paura. Col suo cappello sull’orecchio ed i pugni sui fianchi avrebbe sfidato un granatiere. Ma con quei del mondo di là, chi è che la può dire?

E se ne stava coi gomiti sulle ginocchia e la fronte nelle mani fumando, e sputandosi fra i piedi senza dir nulla. Ma udiva tutte le storie di folletti che si ricordavano intorno a lui, ed erano come tanti nuvoloni neri che [p. 222 modifica]si accavallavano sul suo capo. Si sentiva minacciato da qualche gran guaio.

Pietro, che era entrato nel passare, disse della sua sorella Nanna, la moglie di Pacifico, che aveva avuto quel gran male al capo da perderne tutti i capelli a quel modo. Ed i medici dicevano che era stato per aver messa la gallina nera in testa quando le era venuto la cefalite. Ma la gallina nera l’avrebbe fatta guarire, se non fosse stata presa nel pollaio della Mariannina, dove c’era il folletto, che poi nell’annata le erano morte più di trenta galline. Era stato il folletto la causa della disgrazia della Nanna.

— Ma il peggio s’è visto in casa di Giosuè del Cascinino, entrò a dire la Santina. È vero che Giosuè s’era fatta la roba coi denari del padrone, e s’era fabbricata la casa proprio di fronte al Cascinino dei signori, che era una vergogna. Ma il castigo fu troppo brutto.

— Me la ricordo; quella del maiale.... borbottò la Marta, che era vecchia più della [p. 223 modifica] Santina, e ci pativa che l’altra fosse la prima a raccontare le storie.

Ma la Lucia, la donna di Gaudenzio, che aveva due figliuoli ed uno per istrada, le prendeva a cuore quelle storie che potevano mettere in chiaro il male della mula, e domandò alla Santina:

— O, com’è andata a Giosuè? Era il maiale che aveva il folletto?

— Sentirete! rispose la Santina. Era andato per S. Martino a stabilirsi nella sua casa, ed a carnevale, per darsi l’aria da possidente, volle ammazzare il maiale tutto per sè. La sua donna lo andava dicendo intorno da un mese, perchè tutti lo sapessero:

“Ora che s’ammazzerà il maiale, e si salerà il lardo e s’insaccheranno i salami, s’avrà un gran lavorare....„

Aveva una superbia! Quando l’ebbero ammazzato fecero un bel piatto, col fegato ed il cervello, e mandarono l’Angiolina, la loro figliola, vestita dalla festa, dal vecchio padrone [p. 224 modifica] del Cascinino a portargli quell’assaggio in un bel tovagliolo bianco. Ma il padrone non volle accettarlo, perchè sapeva quanto gli aveva rubato Giosuè; e l’Angiolina tornò indietro con quella mortificazione. Però era stata un’ispirazione che aveva avuta il padrone del Cascinino, perchè la prima volta che Giosuè e la sua donna mangiarono di quel maiale, ebbero un mal di ventre, un mal di ventre, da rotolarsi per terra. Fecero stagnare la pentola, credendo che fosse il riso bollito là dentro che li avesse fatti ammalare, tanto più che l’Angiolina, che in quei giorni aveva poca volontà e mangiava soltanto caffè e latte, non aveva sofferto quel male. Ma la seconda volta che mangiarono del maiale, il male fu tanto grave che morirono tutt’e due. Ed il medico disse che erano morti perchè la bestia aveva la trichina.... vuol dire che il folletto ce l’aveva messa. Infanti a veder quel maiale quando correva colla coda alta e riccioluta come un cavatappi, e metteva quei grugniti acuti che [p. 225 modifica]facevano tremar l’acqua nelle risaie, si capiva che era indemoniato.

— Sono stati grulli ad ammazzarlo in quello stato, disse la Marta togliendosi di bocca la castagna, che teneva per far saliva da bagnare il fuso. Se avessero sparso tre coppi di miglio sull’uscio del porcile, il folletto, che deve raccoglierlo chicco per chicco e contarli tutti per poter entrare, avrebbe perduta la pazienza e sarebbe fuggito. Così si fa.

— Bisognava saperlo che l’animale era stregato. Ciascuno le sue bestie le ha a cuore, e non vuol pensare al male.

— Ma come si fa a saperlo? domandò Gaudenzio. Supponiamo, per un dire, la mia mula; chi lo capisce se ha il folletto, o se è soltanto una malattia?

— Basterebbe aver coraggio, s’affrettò a dire la Marta; si potrebbe assicurarsene, perchè al punto della mezzanotte, nella coda della bestia stregata si vede un crine rosso, che splende come una fiamma. [p. 226 modifica]

— E che a strapparlo, ribattè la Santina che voleva sempre dire più delle altre, diventa d’oro, e più s’aggomitola più s’allunga.

— Chi non lo sa? saltò su l’altra vecchia, parlando colla castagna in bocca per far presto a troncarle la parola; ma per questo bisogna dire “Folet foli — Lassel lu e ciappem mi„ e quelle parole lì, al folletto, un buon cristiano non le dice di certo.

La Santina non trovò nulla da replicare e tirò via a filare in silenzio, girando la castagna in bocca dalla stizza, che se avesse avuti i denti l’avrebbe masticata.

Intanto i giovinotti discorrevano sommesso colle spose, di quel tiro birbone che aveva fatto l’anno innanzi il folletto alla serva del parroco, che, povera donna, aveva dovuto andarsene via dal paese colla vergogna.... Ed era stato il folletto....

E le donne ridevano facendosi rosse, mentre i giovinotti s’avvicinavano tanto per guardarle negli occhi, che loro non avevano più posto da far girare il fuso. [p. 227 modifica]

Allora Gaudenzio, che non poteva sentir a ridere con quella pena sul cuore, disse coi denti stretti sulla pipa:

— Felice notte alla compagnia.

Diede un urtone alla sua donna perchè lo seguisse, ed uscì dalla stalla senza guardar nessuno.

Camminava a gran passi, picchiando forte i piedi sulla neve diaccia che scricchiolava, o gli pareva di sfogare la sua bile a quel modo, come se schiacciasse qualcuno che gli avesse fatto del male. La Lucia penava a tenergli dietro e non aveva coraggio neppur di parlargli.

Tutta la notte sentì lui rivoltolarsi nel letto con dei sospironi che la facevano tremare, e la mula agitarsi come una spiritata giù nella stalla.

La sera seguente, tornando dalla stalla della Santina, Gaudenzio disse alla moglie:

— Sali tu a dormire; io voglio cavarmi questa spina dal cuore. Sono già le undici: [p. 228 modifica] andrò in giro a fumare una pipa all’aria aperta, che mi fa bene, ed a mezzanotte entrerò a vedere che cos’ha questa mula.

— Per carità, Gaudenzio! esclamò la Lucia; pensate che avete due figlioli, a momenti tre....

Gaudenzio crollò le spalle e borbottò:

— Di cosa hai paura? È la prima volta, forse, che vado nella stalla a mezzanotte?

— Le altre volte non c’era il folletto, nè quella stregoneria del crine rosso.... Sarebbe meglio spandere il miglio addirittura....

— Il miglio costa denari; prima di spanderlo bisogna vedere, rispose Gaudenzio con mal garbo; e, voltandole la schiena, la piantò sull’uscio e se ne andò.

La Lucia salì la scala esterna tutta coperta di neve, aperse l'uscio sul ballatoio ed entrò nella stanza.

Avrebbe voluto vegliare per aspettar il marito. Ma aveva già vegliato la notte prima, era stanca e stava poco bene. Aveva fatto un [p. 229 modifica] povero matrimonio: i figli erano venuti dietro subito, ed in causa della mula, il lavoro di Gaudenzio era diminuito; e faceva una vita grama, povera donna.

Pensò di mettersi a letto per riposarsi le ossa che le dolevano, e di dire il rosario stando distesa. Nel suo stato il Signore glie l’avrebbe perdonato. Ma dopo poche avemmarie, il sonno la vinse e s’addormentò profondamente.

Al punto della mezzanotte Gaudenzio si trovò sull’uscio della stalla; una stalluccia di pochi metri quadrati, dove si assiderava tutta sola quella povera mula.

Accese la lampadetta di ferro appesa al muro, la staccò e s’accostò alla mula per vedere se avesse quel crine rosso fiammante nella coda.

Nessuno avrebbe riconosciuto in quel momento il bel Gaudenzio petulante, che, sei anni prima, col ciuffo diritto ed il cappello sull’orecchio, faceva girar la testa a tutte le mietitrici, che ballavano sull’aia della risaia grande.

Ora il cappello se l’era tirato sugli occhi, [p. 230 modifica] perchè non voleva guardare nelle ombre degli angoli, che chissà cosa ci avrebbe veduto; e tremava tutto nell’accostarsi alla mula, e quando le mise la mano sulla coda gli parve che scottasse.

Ma il pelo rosso non si vedeva.

Bisognava cercarlo in quell’arruffio diabolicamente intricato; e Gaudenzio, reggendo la lampada con una mano, si diede a frugare coll’altra nei crini.

Non l’avesse mai fatto!

La mula, che non voleva sentirsi toccare, alzò rabbiosamente la coda, che, sfiorando la lampada, s’infiammò tutta. Allora, spaurita, spiritata, si diede a scuotere in furia quella massa fiammeggiante che buttava scintille, a tirar calci, a rotolarsi per terra colle zampe in aria, e mandar certi urli che non parevano di questo mondo.

Gaudenzio atterrito, eppur coraggioso dinanzi al pericolo, volle accostarsi per salvare la sua bestia; ma ricevette un calcio [p. 231 modifica] alla tempia, che la mandò a ruzzolare come morto all’altro capo della stalla.

La Lucia, svegliandosi il mattino, che la luce bianca entrava già dalla finestra, fu spaurita di non vedere il suo uomo nel letto.

Che cosa gli era accaduto?

Oh, per amor di Dio che cosa?

Si messe una gonnella addosso e, senza badare ai bambini che piangevano, scese nella stalla, dove trovò quell’orrore: la mula mezza morta colla coda bruciata, e Gaudenzio, colla tempia aperta e sanguinante, che pareva morto del tutto.

In un momento tutti i vicini furono nella stalla chiamati dagli strilli della povera donna, e, mentre alcuni mettevano il ferito sul carro per condurlo all’ospedale di Novara, ed altri andavano in cerca del maniscalco per fargli vedere la mula, la Santina diceva crollando il capo:

— Benedett’uomo! Ha voluto scendere a vedere il folletto, senza dir niente con [p. 232 modifica] nessuno. Non sapeva che, nel toccare la bestia stregata, se non gli si vuol dare l'anima al folletto, bisogna dire:

Gesù, Giusep e Maria
Follett va via, follett va via!

Lui non l’ha detto ed il folletto l’ha trattato a quella maniera. Può ancora ringraziare che aveva la donna in quello stato, che è sotto la protezione della Madonna; altrimenti gli dava fuoco alla casa.

E Gaudenzio, che la scampò per miracolo, freme ancora adesso, dopo tanti anni, quando racconta nella stalla quella terribile storia del folletto.

fine.