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218 il folletto


reno. E guai a toccarla colla frusta! S’impennava peggio d’un puledro.

La famosa frusta di Gaudenzio, che altre volte schioccava nelle vaste risaie col suono gaio d’una salva di mortaletti e faceva battere il cuore a tutte le fanciulle del circondario, ora gli pendeva lenta dietro le spalle come una biscia morta, mentre lui camminava a fianco del carro adattandosi al passo capriccioso della mula; era lei che guidava il carrettiere.

Intanto i fittabili, che non lo vedevano mai arrivare puntuale, ed una volta l’aspettavano tre giorni per un trasporto da Oleggio a Momo, un’altra volta se lo trovavano nel cortile mezza giornata prima del tempo fissato, col carico scomposto e la mula fumante come un camino per la corsa sfrenata, dicevano crollando il capo:

— Gaudenzio non è più il carrettiere d’una volta. Dev’essere quel capriccio per la Rosetta, quel capriccio che non s’è potuto cavare, che gli porta via la testa.