Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.


SCENA PRIMA.

Cortile in casa di Momolo corrispondente alla Brenta.

Celio, Beatrice, Trappola fattore.

Trappola. Signori, il padrone non è ancora alzato, e non è solito alzarsi così per tempo.

Beatrice. Dite a mio fratello che mi preme parlargli.

Trappola. Perdoni; quando è serrato in camera, non vuole che si disturbi.

Celio. Moglie mia carissima, questo vostro fratello vuol essere la mia rovina.

Beatrice. Spero che non perderete il danaro, che gli avete prestato. Sapete che ha una lite importantissima che lo tormenta, ma se la vince, come si spera.... [p. 250 modifica]

Celio. Sì, certo: ha la lite in Venezia, e viene a divertirsi in campagna. Che ha egli fatto di quelle somme di danaro, che gli ho prestato più volte? Se le ha consumate qui sulla Brenta, ed il signor fattore lo sa. (ironicamente verso il fattore)

Trappola. Io non so niente di questo, signore; anzi so all’incontrario, ch’è qualche tempo che trovasi senza un soldo.

Beatrice. Per cagion della lite.

Trappola. Lo dico anch’io per cagion della lite, (con finzione) (Non credo che nemmeno ci pensi).

Celio. E dei cinquanta zecchini che gli ho prestati ieri, che cosa ne ha egli fatto? (a Trappola)

Trappola. Ieri gli prestò cinquanta zecchini? (a Celio)

Celio. Sì, ieri.

Trappola. (Ho piacer di saperlo. Passeranno per le mie mani), (da sè)

Beatrice. Li avrà spediti a Venezia....

Celio. Non signora; la cosa è come ho detto; e come ve lo ridico in presenza di quest’altro galantuomo, che fìnge di non saperlo. Mi scrivono da Venezia, che si parte una compagnia per venirlo qui a ritrovare. Vi è una certa vedova basta, non vo’ dir niente. La verità si è ch’egli lo sa, ch’egli la aspetta, e che i cinquanta zecchini anderanno, come ne sono andati tant’altri.

Beatrice. Io non lo credo.

Celio. Se non lo credete voi, lo credo io; e giacchè vedo il suo precipizio vicino, non voglio perdere il mio. Dite al vostro padrone che pensi a pagarmi, o almeno ad assicurare il mio credito, altrimenti mi scorderò della parentela, dell’amicizia, e e farò quei passi che si convengono. (a Trappola)

Trappola. Io glielo dirò, signore.

Beatrice. Avreste cuore di rovinar mio fratello?

Celio. E voi avreste cuore di veder rovinato vostro marito?

Beatrice. Grazie al Cielo, voi non ne avete bisogno.

Celio. Convien pensare all’avvenire. Se avremo figliuoli, le cose non anderanno così.

Beatrice. Finora noi non ne abbiamo.

Celio. Non ne avete speranza d’averne? [p. 251 modifica]

Beatrice. Io non dico nè sì, nè no.

Celio. Basta, sia come esser si voglia, il mio non lo voglio gettare sì malamente. Nelle occorrenze son pronto a far del bene a tutti, ma coi miei danari non voglio fomentare i vizi di un prodigo sconsigliato. (parte)

SCENA II.

Beatrice e Trappola.

Beatrice. Non ha torto mio marito.

Trappola. Lo dico ancor io.

Beatrice. È tempo che mio fratello pensi a mutar sistema.

Trappola. Il signor Momolo è ancora giovine.

Beatrice. Queste pratiche ch’egli ha, lo rovinano.

Trappola. Glielo dico ancor io.

Beatrice. Vedete un poco voi, che avete giudizio, di metterlo al punto.

Trappola. Oh, se badasse a me! gli faccio delle lezioni da Seneca.

Beatrice. Non è possibile ch’io lo veda?

Trappola. Per ora no. È andato a letto a giorno. Non leverà che tardissimo.

Beatrice. Bene, dunque ritornerò. Ditegli in nome mio ancora, che lo prego ad aver giudizio, di prender cura della sua riputazione. Io l’amo teneramente, ma son moglie alla fine, e sarò forzata ad abbandonarlo. (parte)

SCENA III.

Trappola, poi Momolo.

Trappola. Affè, si mettono in buone mani; io non son nato per fare il precettore. Faccio il fattore, e lo faccio come m’è stato insegnato da qualcun altro; penso prima per me, e poi per lui.

Momolo. Oh, giusto vu ve cercava.

Trappola. Bravo. Si è alzato più presto che non credeva.

Momolo. Co se gh’ha delle cosse che preme, se se leva a bon’ora. [p. 252 modifica]

Trappola. Appunto sono stati qui con premura la sua signora sorella e il suo signor cognato.

Momolo. Xeli andai via?

Trappola. Ora, in questo momento.

Momolo. Ho gusto. Parlemo de quel che preme.

Trappola. Avevano grande ansietà di vederlo.

Momolo. No me parlè altro de ste fredure. Ascoltè quel che ve digo. Stamattina aspetto dei forestieri. Bisogna parecchiar un bon disnar, una bona cena: liquori, caffè, chioccolata, tutto quel che bisogna.

Trappola. (È dunque vero quel che diceva suo cognato). (da sè)

Momolo. Animo, no ve perdè. Sior fattor, fa che tutto sia pronto, perchè no pol far che i capita.

Trappola. Sa ella, signore, perchè mi confondo? Non perchè sia uno che manchi di spirito, e in poco tempo non sappia fare un sontuoso apparecchio, ma perchè mi dà l’animo col poco di far molto, ma col niente non si può far altro che niente.

Momolo. Coss’è sto gnente? Cossa intendeu de dir co sto gnente?

Trappola. M’intendo dire, che senza danari non si va innanzi.

Momolo. E un fattor de la vostra sorte se lassa chiappar senza bezzi?

Trappola. Signor illustrissimo, se avessi l’abilità di fare il lapis philosophorum, vorrei far dell’oro anche per lei; ma quando ella non me ne dà, anzi quando consuma a precipizio tutto quello che io gli do, conviene che io mi ritrovi senza.

Momolo. Orsù, manco chiaccole. Son in te l’impegno e no me voggio far nasar; penseghe vu, e no me fè parer un minchion.

Trappola. Orsù, signore, favorisca di darmi la mia buona licenza, che io non sono in grado più di servirla.

Momolo. Eh via, che sè matto! Ve perdè de animo per cussì poco? Vegnì qua, per darve coraggio, tolè sta borsa con trenta zecchini e disponeli vu a vostro modo.

Trappola. (Qui è dove che io lo voleva). (da sè) Come vuol ella che io distribuisca questi trenta zecchini?

Momolo. Caro vecchio, fe vu.

Trappola. Trenta zecchini sembrano molti, ma quando si [p. 253 modifica] principia spendere, vanno come l’acqua di vita. (So che ne deve avere altri venti). (da sè)

Momolo. Quando che v’ho dito fe vu, fe vu.

Trappola. Mi darebbe l’animo di compartirli bene, e di fare che durassero molto, ma abbiamo tanti debiti con questi bottegai della Brenta, che non so da qual parte salvarmi.

Momolo. No ghe badè a costori; fe el fatto vostro e tirè de longo.

Trappola. Bisogna cascarci per necessità, e se non do loro qualche cosa a conto, non potremo tirare innanzi.

Momolo. Ben, fè vu.

Trappola. Pel trattamento, come vuole restar servita?

Momolo. Ma se ho dito che me rimetto in vu.

Trappola. Quanta gente verrà all’incirca?

Momolo. No so gnente. Per mi me basteria una persona sola, che me sta sul cuor; ma chi sa con quanti che la vegnirà?1

Trappola. Se è lecito, che persona è, signore?

Momolo. Una vedua fresca co fa una riosa. Vederè, vederè che mobile. Un’aria, un brio, una grazia; a Venezia no gh’è de meggio2. No gh’ho mai podesto parlar a mio modo; e per questo l’ho pregada de vegnir fora in tel mio casin. Ah? cossa diseu? hoggio fatto ben?

Trappola. Bravo. Il punto sta ch’ella non venga in compagnia di persone, che gli diano ancora più soggezione.

Momolo. No crederave. Son3 in casa mia. Basta, fe pulito, e sora tutto che la roba sia netta, delicata e che no la spuzza, perchè la gh’ha un naso, che sente i odori tre mia lontan. Un zomo semo andai in compagnia a disnar alla locanda, e ghe xe vegnù mal su la porta, perchè l’ha4 sentio l’odor della carne de manzo.

Trappola. Non ci vuol manzo dunque.5

Momolo. Oibò, la xe delicatissima. Dei capponi no la magna altro che la cimetta dell’ala, dei polastrelli la cresta e dei colombini le cervelette. [p. 254 modifica]

Trappola. A questa sorta di gente si ha da dar da mangiare?

Momolo. Tant’è, son in impegno de farlo.

Trappola. Ci farà impazzire quanti siamo.

Momolo. Diseghe alle donne, che le varda ben ch’el letto sia netto all’ultimo segno, perchè se a caso la trova su i linzioli un gran de lavanda, la va in accidente.

Trappola. Oh che gioja!

Momolo. Animo, andeve a destrigar, che vien tardi.

Trappola. Per esempio, quanto vuole ch’io spenda?

Momolo. Fè vu.

Trappola. Ma se si spendesse troppo, e poi....

Momolo. No me rompe la testa; co6 v’ho dito fe vu, fe vu. (parte)

SCENA IV.

Trappola, poi Colombina.


Trappola. Non ci pensi, che sarà servito. Vuole che faccia io? farò io.

Colombina. Mi ha detto il padrone che io venga a parlar con voi; che cosa avete da dirmi?

Trappola. Oh, vi ho da dir delle cose molte.

Colombina. Via, principiate da una.

Trappola. Principierò da quella che più mi preme. Colombina, vorrei che vi ricordaste7 volermi bene.

Colombina. E il padrone mi ha mandato da voi per questa bella ragione?

Trappola. No, il padrone mi ha ordinato di dirvi che prepariate della biancheria da tavola e da letto, perchè si aspettano dei forestieri.

Colombina. Ho capito. Volete altro?

Trappola. Via, non abbiate fretta. State un poco con me. Mi ricordo che vi ho promesso di comprarvi una vesta: son galantuomo, ve la comprerò. (con arte fa vedere la borsa, col danaro che gli ha dato Momolo) [p. 255 modifica]

Colombina. Eh, lo so che siete di parola.

Trappola. Ma voi non mi volete bene.

Colombina. Oh, caro signor Trappola, v’ingannate, ve ne voglio più di quello che vi credete.

Trappola. Quando vengo per parlarvi, sempre cercate i pretesti per allontanarvi.

Colombina. Lo faccio per la gente di casa. Peraltro il mio cuore è sempre con voi.

Trappola. Cara Colombina, voi mi consolate.

Colombina. Ehi, dite, questa vesta quando me la comprerete?

Trappola. Subito, quando volete.

Colombina. Per me non ci metto difficoltà.

Trappola. Se abbaderete a me, voi avrete tutto quel che volete.

Colombina. Quanto credete voi di dovere spendere in questa vesta?

Trappola. Non saprei; tre zecchini credo che basteranno.

Colombina. Basta saperli spendere. Voi non sarete pratico di queste cose.

Trappola. Volete che vi dia il danaro, che la comprerete voi?

Colombina. Se si tratta di levarvi l’incomodo, lo farò volentieri.

Trappola. Sì, cara Colombina, eccovi tre zecchini, (le dà il danaro)

Colombina. Oh, quanto vi sono obbligata!

Trappola. Ricordatevi di venir da me qualche volta.

Colombina. Tre zecchini! certo posso comprare una vesta non ricca, ma civile. Mi dispiace per il busto.... Ma non importa.

Trappola. Che? non avete il busto?

Colombina. Ce l’ho, ma è tanto vecchio.

Trappola. Se volete, lo compreremo.

Colombina. No, no, non importa.

Trappola. Non costerà molto.

Colombina. Con un zecchino si fa; ma non importa, farò di meno per ora.

Trappola. Quel che avete non sarà poi tanto vecchio.

Colombina. Oh, è vecchissimo; non lo posso affibbiare; la vesta non me la metto, se non ho il busto nuovo.

Trappola. Orsù, tenete un altro zecchino, e fatevi il busto. [p. 256 modifica]

Colombina. Oh, non vorrei che diceste....

Trappola. Non occorr’altro. Fatevi il vostro bisogno, (le dà il zecchino)

Colombina. Oh, per il mio bisogno vi vorrebbero delle altre cose.

Trappola. Come sarebbe a dire?

Colombina. Niente niente, non mi occorre altro.

Trappola. Dunque pel dì della Fiera spero vedervi vestita di nuovo.

Colombina. Così presto sarà difficile.

Trappola. Perchè? vi vuol tanto?

Colombina. Scarpe, calze, un fazzoletto da collo.... Eh, con un po’ di tempo troverò il bisogno.

Trappola. (Ci sono, bisogna che ci stia). (da sè) Quanto ci vorrà per tutte queste cose?

Colombina. Oh certo, non voglio altro, avete fatto anche troppo; non voglio che dite che sono indiscreta. In vita mia non ho mai domandato niente a nessuno e non avrei coraggio di farlo. Mi contento di quello che mi avete dato per vostra bontà; ho qualche cosa da vendere, avanzo due mesi di salcurio e il resto me lo farò prestare; già con altri due zecchini faccio tutto quel che mi occorre.

Trappola. Colombina, voglio avere il merito di aver fatto tutto: eccovi due zecchini.

Colombina. No, certo.

Trappola. Prendeteli.

Colombina. Non voglio.

Trappola. Se poi non volete....

Colombina. Li prenderò, per non parere ingrata. (li prende)

SCENA V.

Truffaldino e detti.

Truffaldino. (Osserva che Trappola dà dei danari a Colombina).

Trappola. Così sarete vestita di nuovo da capo a piedi.

Colombina. Per grazia del mio caro signor Trappola.

Truffaldino. (Oh razza maledetta!) (da sè, in disparte)

Trappola. Mi vorrete voi bene? [p. 257 modifica]

Colombina. È obbligo mio.

Trappola. Sopra tutto non state a dar parole a quel briccone di Truffaldino.

Colombina. Oh, non vi è pericolo.

Truffaldino. (Smania).

Trappola. Basta, ho qualche buona intenzione sopra di voi: se saprete fare, vi sposerò.

Colombina. Sarebbe troppa fortuna per me.

Trappola. Da qui a pochi giorni, vi parlerò con maggior fondamento. Portatevi bene, e Truffaldino mandatelo al diavolo.

Colombina. Oh, l’ho di già mandato.

Truffaldino. (Come sopra).

Trappola. Addio, cara. Vado a provvedere per la tavola. (Se troppo resto qui, le pietanze calano). (da sè, osservando la borsa)

Colombina. Non vi scordate di me.

Trappola. Eh! ci penso anche troppo. (parte)

SCENA VI.

Colombina e Truffaldino.

Colombina. E ben sciocco, se se lo8 crede....

Truffaldino. (Si fa vedere).

Colombina. Vieni, vieni, il mio caro Truffaldino.

Truffaldino. Con chi parlela, patrona?

Colombina. Cosa c’è? Sei tu in collera meco?

Truffaldino. Sopra tutto non dare9 parole a quel briccone di Truffaldino. Oh, non vi è pericolo.

Colombina. Oh, quanto mi vien da ridere di quel caro pazzo di Trappola.

Truffaldino. Mandatelo al diavolo Truffaldino. L’ho già mandato.

Colombina. Ti dirò la cosa com’è.

Truffaldino. No gh’è bisogno da dirme altro. So tutto. L’amigo ha messo man alla borsa e l’interesse ha dà una scalzada all’amor. [p. 258 modifica]

Colombina. Ecco qui, per farti vedere che in me l’amore ha più forza dell’interesse. Questi sono sei zecchini, che mi ha regalati il fattore; se li vuoi, te li dono.

Truffaldino. Per cossa mo t’al donà quei zecchini?

Colombina. Perchè mi faccia un abito nuovo.

Truffaldino. Cossa gh’intrelo co i fatti toi10?

Colombina. Non c’entra e non ci deve entrare.

Truffaldino. Ma perchè at pià quattrini?

Colombina. Ti dirò, caro Truffaldino; già si sa che Trappola ruba al padrone a precipizio, e faccio i miei conti che non mi dona niente del suo.

Truffaldino. Sta razon no la me despiase.

Colombina. In me troverai sempre dei buoni pensieri.

Truffaldino. Elo un bon pensier mandar al diavolo el povero Truffaldin?

Colombina. L’ho detto colla bocca, ma non l’ho detto col cuore.

Truffaldino. Anca questa la voi creder, perchè se sa che vu altre donne no disì mai colla bocca quel che gh’avì in tel cor.

Colombina. Secondo le congiunture. Per esempio, quando parlo con Truffaldino, il mio cuore ed il mio labbro sono l’istessa cosa.

Truffaldino. Ho i me dubbi su sto proposito.

Colombina. Perchè? Hai tu delle prove in contrario?

Truffaldino. Me par de averghene una fresca fresca.

Colombina. E qual è?

Truffaldino. Ti m’ha esebido così per cerimonia i quattrini, e po te li ha tornadi a metter in scarsela.

Colombina. Eccoli qui; te li esibisco di nuovo.

Truffaldino. Mi son un omo discreto. Tutti sarave troppo; me basta qualcossa, da far una spesetta che me bisogna.

Colombina. Volentieri, che spesa vorresti fare?

Truffaldino. Vorave farme un abito de panno piuttosto civil, coi so bottoni d’arzento e anca un pochetto de guarnizion. Vorave farme un tabarro da galantomo, un bel cappello bordà, [p. 259 modifica] otto o diese camise coi maneghetti, una spada d’arzento e, se se podesse, voria comprarme un relogio11.

Colombina. Tutta questa roba con sei zecchini?

Truffaldino. No vôi miga spenderli tutti; vôi che ghe ne resta anca per ti.

Colombina. Sai che cosa sono sei zecchini?

Truffaldino. Sie zecchini i sarà sie zecchini.

Colombina. Per fare tutto quello che dici, ve ne vorrebbero cento.

Truffaldino. Sie zecchini quanti soldi fali?

Colombina. Questo conto io non lo so fare; so bene che fanno di nostra moneta cento e trentadue lire.

Truffaldino. Mo cento e trentadò lire no el più de cento zecchini?

Colombina. Povero Truffaldino, si vede che non sei avvezzo a maneggiar danari, e non sai che cosa siano nè i zecchini, nè le lire, nè i soldi. Lascia fare a me, che col tempo spero di contentarti e di poterti fare un abito da galantuomo. Seguita a volermi bene, e non dubitare. (parte)

SCENA VII.

Truffaldino, poi Momolo.

Truffaldino. La dis che no conosso i danari, e la va via senza lassarme principiar a conosserli. Sie zecchini! me par che i sia una montagna d’oro.

Momolo. Cossa feu qua, sior? (a Truffaldino)

Truffaldino. Gnente.

Momolo. Ben, andè a far qualcossa, andè a laorar.

Truffaldino. Bisogna prima che la me domanda, se ghe n’ho voja.

Momolo. Tocco de temerario! cussì se responde al patron?

Truffaldino. Mi no cognoss altri12 patroni che un solo.

Momolo. E chi elo el patron che ti cognossi?

Truffaldino. El fattor.

Momolo. El fattor? No ti sa ch’el fattor xe mio servitor, come i altri; ch’el magna el mio pan, e che mi ghe dago el salario? [p. 260 modifica]

Truffaldino. Mi no so alter. L’è tanti anni ch’el fattor me comanda, e no conosso e no vôi conosser altri patroni che lu.

Momolo. E mi no ti me cognossi per gnente?

Truffaldino. Gnente affatto.

Momolo. Se te comando, no ti me vol ubbidir13?

Truffaldino. Missier no.

Momolo. Sastu che te posso cazzar via?

Truffaldino. Co no me cazza via el fattor, mi no gh’ho paura.

Momolo. Ti me faressi vegnir suso el mio caldo.

Truffaldino. Mi no me n’importa un bezzo.

Momolo. Tiò, temerario. (gli dà uno schiaffo)

Truffaldino. Zitto, che ghe lo vago dir14 al fattor. (parte)

SCENA VIII.

Momolo solo.

Certo, nissun me stima; tutti cognosse el fattor; questo vuol dir perchè ghe lasso troppa libertà a sto sior, e un de sti zorni el me fa da paron anca a mi; ma no so cossa dir; son avvezzo cussì, me comoda sto devertirme senza pensar a gnente. Trappola xe un omo che sa far pulito, e co gh’ho bisogno de bezzi, el li trova. Xe vero che da qualche tempo in qua el me li fa un pochetto penar, ma el farà per tegnirme in fren. Adesso per altro son in tun15 gran impegno, se vien sta signora che aspetto. S’ha da spender, s’ha da farse onor, e senza Trappola saria desperà.

SCENA IX.

Vedesi arrivare un hurchiello con varie persone, e si sentono alcune voci di barcaruoli, che gridano per arrivare, ad uso di quelli che navigano per la Brenta; poi sbarcano Clarice, Leandro, Ottavio. Momolo va ad incontrarli, poi Brighella.


Momolo. Eccoli, eccoli, allegramente. Son qua, son qua a servirla.

Ottavio. Servidore umilissimo del signor Momolo. (scendendo in terra) [p. 261 modifica]

Momolo. Patron reverito. Chi ela, signor, se è lecito? (sospeso)

Ottavio. Non mi conoscete? Un vostro buon amico. Il fratello della signora Clarice.

Momolo. Me ne consolo infinitamente. (Che bisogno ghe giera, che vegnisse con ela sto intrigo de so fradelo?). (da sè) Animo, signora, che la desmonta. (verso il hurchiello)

Leandro. La riverisco divotamente. (a Momolo smontando)

Momolo. Servitor suo. Chi xela, signor? (sospeso)

Leandro. Sono un cugino del fu marito della signora Clarice.

Momolo. La parentela xe un poco lontana.

Leandro. Son io quello che l’assiste ne’ suoi affari.

Momolo. (Meggio! gh’avevela altri da menar con ela?). (da sè) Cossa fala che no la desmonta, siora Clarice?

Leandro. Sta accomodandosi un poco il capo.

Momolo. Con grazia, che la vaga a servir, che vaga a darghe man a desmontar.

Leandro. Non v’incomodate; anderò io. (torna verso il hurchiello)

Ottavio. Suo cugino la serve sempre. Ella non vuol essere servita da altri che da suo cugino. (a Momolo)

Momolo. (Stago fresco da galantomo!) (da sè)

Ottavio. Eccola, che ora viene.

Momolo. (Sto zerman no me piase gnente). (da sè) Siora Clarice, ben arrivada.

Clarice. Bene arrivata mi dite? non potea arrivar peggio.

Momolo. Perchè? Cossa xe sta?

Clarice. Ho patito in laguna, ho patito nella Brenta; ho maledetto cento volte il momento che mi sono imbarcata per venir qui.

Momolo. Me despiase che per causa mia....

Clarice. Orsù, io ho bisogno di riposare.

Momolo. Subito; presto. Brighella16. (chiama)

Brighella. Signor.

Momolo. Fe che le donne ghe parecchia un17 letto.

Brighella. Subito.... [p. 262 modifica]

Clarice. Dunque sarò venuta qui per andare a letto? Per tutto questo, me ne poteva stare a Venezia.

Momolo. No hala dito, che la se voi repossar?

Clarice. Certo che a star qui in piedi mi trovo scomoda.

Momolo. Andemo; la se lassa servir. (vuol darle il braccio)

Leandro. Non s’incomodi. (le dà egli il braccio)

Clarice. Signor fratello, andiamo. (ad Ottavio)

Ottavio. Eccomi, signora sorella. (le dà l’altro braccio)

Clarice. Favorite, signor Momolo. Vogliamo godere la vostra conversazione. (parte con Leandro ed Ottavio)

Momolo. Me par anca mi, che i me voggia goder.

Brighella. Sior padron, ho paura che la voggia spender mal i so bezzi.

Momolo. N’importa, siora Clarice xe una donna prudente. Animo, fe portar in terra la so roba e domandè ai barcarioli, se el burchiello xe pagà.

Brighella. Benissimo. (No se pol andar in rovina co manco gusto). (si accosta al burchiello)

Momolo. El fradelo e el zerman. Del fradelo pazenzia; el zerman me despiase un pochetto de più. L’ho fatta vegnir qua per aver libertà de dirghe el mio cuor, e chi sa se gnanca ghe poderò parlar? Pussibile che i ghe staga sempre taccai? Pussibile che no possa arrivar a saver se la me vol ben, e a cavarghe de bocca se la se vol maridar?

Brighella. Signor, dis el paron, che no i l’ha paga, ma che l’è d’accordo con uno de quei signori e che i lo pagherà.

Momolo. Sì, sì, el sarà d’accordo col zerman. Quanto gh’hali da dar?

Brighella. Do zecchini del nolo, e po el cavallo, el remurchio, la bona man18.

Momolo. Ho capio. Tolè, deghe sti tre zecchini e che i vaga a bon viazo.

Brighella. La varda che quei siori no se n’abbia per mal.

Momolo. Eh via, caro vu, che no savè gnente. I xe vegnui per mi e a mi me tocca a pagar. Andè là, destrigheve. [p. 263 modifica]

Brighella. La sarà servida. (Se no ghe fusse de sti matti, el mondo no goderave). (torna verso il burchiello)

Momolo. A viver no gh’ho bisogno che nissun m’insegna. Spendo assae, ma so spender. Son splendido, son generoso e ho gusto che se parla de mi. (parte)

SCENA X.

Camera con sedie.

Clarice, Leandro, Ottavio.

Leandro. Cugina carissima, permettetemi ch’io parli19 con libertà; in questo vostro signor Momolo non ci vedo gran fondamento e dubito siasi fatto un passo falso.

Clarice. Lo sapete che io non ci voleva venire, e non ci sarei venuta, se qui il mio caro signor fratello non mi ci avesse tirata quasi per forza.

Ottavio. Io non so di che cosa vi lamentiate. Il signor Momolo ha dell’inclinazione per voi, e voi mi pare non lo guardiate di mal occhio. S’egli dicesse davvero, non sarebbe un buon negozio per una vedova che non ha gran dote?

Leandro. Il negozio non sarebbe cattivo, s’egli non si fosse rovinato con una prodigalità sì impetuosa, che lo rende ridicolo presso di quei medesimi, che hanno contribuito a precipitarlo.

Ottavio. Su qual fondamento lo dite?

Leandro. Non avete sentito quello che si è discorso di lui da que’ due Veneziani, ch’erano in burchiello con noi?

Clarice. Se è vero la metà soltanto di quello che dicono, il signor Momolo quanto prima non avrà con che vivere.

Ottavio. Chi ci assicura che non parlino per passione?

Clarice. In ogni modo qui ci sto di mal animo.

Ottavio. Ed io ci sto di buonissimo umore; che che succeda, avremo goduto quattro giorni di villeggiatura e ce ne ritomeremo per la strada medesima, per dove siamo venuti. [p. 264 modifica]

Leandro. Ma intanto si dirà che noi ancora siamo della partita di quelli che aiutano a precipitarlo.

Clarice. Questa è una cosa, che mi dà da pensare.

Ottavio. Ed io non me ne prendo verun fastidio. Intanto che siamo qui, vedremo con più chiarezza lo stato e la condotta del signor Momolo, e ci regoleremo.

Leandro. Dicono che il signor Momolo, fra le altre sue belle qualità, abbia quella di essere un poco libertino.

Ottavio. Mia sorella è una vedova, saprà regolarsi.

Clarice. Egli è vero; non ho soggezione di lui, ma vi prego non lasciarmi sola.

Ottavio. Povera ragazza! vi fidate poco di voi medesima.

Clarice. Voi non avete che barzellette pel capo.

Leandro. La signora Clarice merita più rispetto. E per procacciarsi un secondo marito non ha bisogno di correr dietro a nessuno. Non le mancheranno partiti più convenienti.

Ottavio. Via, se ne avete qualcheduno più pronto, esibitelo; mia sorella mi pare annoiata della sua vedovanza.

Clarice. Voi non sapete quel che vi dite. (ad Ottavio)

Ottavio. Eh sì, vi conosco negli occhi.

Leandro. Il partito non è lontano, ma chi vi aspira non ardisce spiegarsi.

Clarice. Dite da vero, signor Leandro?

Leandro. Non ardirei su tal proposito di scherzare.

Ottavio. Ho capito. Il signor cugino vorrebbe stringere la parentela.

Leandro. Signore astrologo....

Clarice. Ecco il signor Momolo.

SCENA XI.

Momolo e detti.

Momolo. Servitor umilissimo de sti patroni. Siora Clarice, con tutto el cuor. Perchè in pie? perchè no se sentela?

Clarice. Son stata seduta tanto in burchiello, che ne sono annoiata.

Momolo. Eh via, che la se senta, che discorreremo un pochette. (Va a prender due sedie, una per Clarice e l’altra per lui) [p. 265 modifica]

Clarice. Sederemo tutti dunque. (a Momolo)

Momolo. Sti signori m’immagino che i se vorrà devertir. Hale visto el zardin? (a Leandro ed Ottavio)

Leandro. Non ancora; ma lo vedremo.

Momolo. Questa xe la vera ora de goderlo. No xe troppo sol, e pò col sol el se gode più. Le vederà delle strade coverte, dei viali ombrosi che rende un fresco el più delizioso del mondo.

Leandro. Dopo pranzo lo goderemo, in compagnia colla signora Clarice.

Ottavio. Per verità, per quanto i viali sian freschi, a quest’ora non ho mai veduto che si vada a passeggiare in giardino.

Momolo. Sale zogar al trucco?

Ottavio. Io sì, me ne diletto.

Momolo. Via donca, che i vaga, che i zoga, che i se deverta20.

Leandro. Al trucco io non ci so giocare.

Momolo. Che i vaga in portego, che i se fazza dar un mazzo de carte, che i zoga quattro partide a picchetto.

Leandro. Signore, con sua buona grazia, prendo una sedia e per ora mi contento di restar qui. (prende una sedia e si pone a sedere)

Ottavio. Bene dunque, faremo qui la nostra conversazione. (fa lo stesso)

Clarice. La compagnia è il più bel divertimento della campagna.

Momolo. (Za lo vedo. Soli no se avemo mai da trovar). (da sè)

Ottavio. Come si diverte il signor Momolo nella sua bella villeggiatura?

Momolo. Per dir la verità, mi me deverto benissimo. Poche volte son solo. Vien sempre qualche amigo a trovarme. Co21 xe bon tempo, no passa zorno che no gh’abbia amici che me favorisse; qualche volta semo diese, dodese, e l’Autunno vinticinque, trenta. Co no vien nissun, vago al caffè; se trovo galantomeni, i meno a disnar con mi, e co no gh’è altri, fazzo vegnir i contadini e le contadine. Che dago da magnar e da bever fina che i vol. Se fa dei zoghi e pago mi per tutti. Tutte ste putte che se marida, le me invida mi per compare. Son solito a darghe trenta o quaranta ducati, acciò che le [p. 266 modifica] se marida più presto. Fazzo mi el disnar, la festa, le nozze e tutto quel che bisogna. In somma procuro de star alegro, me deverto, co son qua, son contento, e per stabilir e redopiar la mia contentezza, no me manca altro che una novizza.

Clarice. Vi manca una sposa, eh? Oh, è difficile che la troviate.

Momolo. Perchè, patrona? Perchè xe difficile che la trova?

Clarice. Avete fatto di voi medesimo un ritratto troppo cattivo per ritrovarla.

Momolo. Co sarò maridà, no farò miga cussì.

Leandro. Chi è prodigo per natura, difficilmente cambia costume.

Ottavio. Quando sarà ammogliato, non farà così.

Clarice. Vi piace troppo la conversazione.

Ottavio. Non farà così, quando sarà ammogliato.

Momolo. No certo. Co me marido, scambio subito la maniera de viver e devento tutto muggier.

Clarice. Quanti giovani hanno detto lo stesso! e colla moglie al fianco sono diventati peggiori.

Momolo. Mi no farò cussì. Sarò colla muggier come un putelo da latte co la so mama.

Leandro. S’io fossi donna, non vi crederei certamente.

Momolo. Caro sior zerman della siora zermana, no semo in sto caso, e ve prego de no ve scaldar el figà.

Ottavio. E se io fossi una donna, non vorrei altro marito che il signor Momolo.

Momolo. E ve protesto che ve chiameressi contento. E ela, signora Clarice, no la dise gnente.

Clarice. Io son donna; non posso parlare, come essi parlano.

Momolo. La parla come donna; cossa ghe par? songio un omo tanto sprezzabile?

Clarice. Avete delle qualità che meritano tutta la stima e tutto l'amore; ma ne avete altresì di quelle che fanno torto al vostro merito personale.

Momolo. Quale xele? presto, che la le diga, che in sto momento ghe prometto da omo d’onor de spoggiarmene affatto e de renderme degno della so grazia. [p. 267 modifica]

Leandro. Mia cugina non vi ha esibito ancora la grazia sua.

Momolo. Caro sior cusina, faressi maggio de andar in portego.

Ottavio. Mia sorella è una donna, che sa distinguer chi merita.

Momolo. Bravo, sior fradelo; vu sè un omo de garbo. Quanto che pagarave, che fussi mio parente.

Ottavio. Questo potrebbe farsi col mezzo di mia sorella.

Momolo. Ah, cossa disela? (a Clarice)

Leandro. Non è questo il tempo per simili ragionamenti.

Momolo. Patron caro, mi no parlo con ela. (a Leandro)

Clarice. Dice bene mio cugino, voi parlate fuor di proposito.

Momolo. La gh’ha rason, la compatissa. Delle volte se parla senza che la mente gh’abbia tempo de pensarghe suso. La bocca xe un istrumento del corpo, un organo che se lassa mover dal cuor, ma le parole che vien dal cuor, le xe sempre le più sincere. Muemo discorso, la varda sto aneletto, sta quadriglia de brillantini: ghe piaselo? Cossa disela de sta chiarezza, de sta uguaglianza?

Clarice. L’anello è bellissimo. I brillanti sono eguali e perfetti.

Momolo. Saravela una temerità, se la pregasse de permetterme che....

Leandro. Alle donne civili non si offeriscono de’ regali.

Momolo. E i omeni civili no rompe le tavarnelle ai galantomeni.

Leandro. Che son queste tavarnelle? (alzandosi)

Momolo. A ela, patron, la ghe la spiega in volgar. (ad Ottavio)

Ottavio. Caro signor Leandro, voi siete troppo focoso. Siamo qui per godere la quiete e non per alterarci di tutto.

Leandro. Sono in compagnia di mia cugina, e non ho da permettere che si offenda il di lei decoro.

Clarice. In quanto a questo poi, per sostenere il mio decoro non ho bisogno d’aiuti. (s’alzano tutti)

Momolo. Bravissima.

Leandro. Bene, accomodatevi come volete. (in atto di partire)

Momolo. (El va). (da sè)

Clarice. Stimo la vostra amicizia, ma non per questo....

Leandro. E inutile che diciate di più. (parte sdegnato)

Momolo. (El xe andà). (da sè) [p. 268 modifica]

Ottavio. Quant’era meglio, che non si fosse condotto codesto pazzo! (a Clarice)

Momolo. (Se andasse via anca st’altro, el me farave servizio), (da sè)

Clarice. (Non ho mai scoperto ch’egli avesse dell’inclinazione per me). (ad Ottavio)

Momolo. Caro sior Ottavio, me despiaseria che per gnente se avesse da romper l’allegria, la conversazion.

Ottavio. Eh, non è niente, non gli badate.

Momolo. La me fazza un servizio, sior Ottavio, la vaga a trovarlo, la lo quieta, la ghe diga da parte mia che, se l’ho offeso, son pronto a domandarghe scusa.

Ottavio. Ora, ora, in due parole lo accheto. (in atto di partire)

Clarice. No, è troppo presto; trattenetevi.

Momolo. Sì, subito, fin che el ferro xe caldo; la prego, no la perda tempo. (ad Ottavio)

Ottavio. Subito, in un momento. (parte)

SCENA XII.

Clarice e Momolo.

Momolo. (Anca questo xe andà). (da sè)

Clarice. (Mi trovo imbarazzata da solo a sola). (da sè)

Momolo. Siora Clarice, sentemose un pochetin.

Clarice. Non importa, sto volentieri in piedi.

Momolo. La me fazza sta grazia. Cossa gh’hala paura? la xe in casa de un galantomo, e no son capace de disgustarla. Via, la se senta.

Clarice. Lo farò per compiacervi. (siedono)

Momolo. Me fala un’altra grazia?

Clarice. Cosa vorreste?

Momolo. Se degnela de tor sto anello?

Clarice. Oh, questo poi no.

Momolo. Ma perchè no?

Clarice. Serbatelo per quando vi farete sposo22. [p. 269 modifica]

Momolo. E se la fusse ella la mia sposa, lo toravela?

Clarice. In quel caso non potrei ricusarlo.

Momolo. La fazza conto de esserghe e la lo toga.

Clarice. No, signore. Non siamo nel caso.

Momolo. Se no ghe semo, ghe podemo esser.

Clarice. Oh, prima di essere in questo caso, ci converrebbe molto discorrere.

Momolo. Via, principiemo a discorrer. La me diga la so intenzion.

Clarice. Prima di tutto....

SCENA XIII.

Brighella e detti.

Brighella. Signor....

Momolo. Che te casca la testa.

Brighella. Obbligatissimo alle so grazie.

Momolo. Cossa voleu in vostra malora23.

Brighella. Xe vegnù da Venezia sior Dottor Desmentega.

Momolo. Diseghe che el vaga via, e che el se desmentega che mi sia a sto mondo.

Brighella. L’è vegnù con premura granda, perchè dentro de oggi se tratta la so causa.

Momolo. Ah sì, no me recordava. Diseghe che l’aspetta.

Brighella. Signor sì, e che me desmentega. Che te casca la testa24. (parte)

Clarice. Signor Momolo, non trascurate i vostri interessi; badate al vostro Dottore. (si alza)

Momolo. Che la me diga quel che la me voleva dir.

Clarice. Un’altra volta. Non perdete di vista quello che preme. Ci rivedremo.

Momolo. Mo la toga almanco sto anello.

Clarice. No, tenetelo, custoditelo. Lo prenderò, se mi sarà lecito di pigliarlo. (parte) [p. 270 modifica]

SCENA XIV.

Momolo, poi il Dottore.

Momolo. Ho capio, la xe una donna prudente. No la vol25 regali, sè le cossè no xe messe a segno. Lo tegnirò in deposito. El xe per ela, el xe cossa soa. Presto, che me destriga de sto palazzista. Co vedo sta zente, me vien la freve. Chi è de là? Sior Dottor, che la vegna avanti.

Dottore26. Signor Momolo, la riverisco.

Momolo. Coss’è, sior Dottor, che novità gh’avemio della nostra causa?

Dottore. La novità più bella in tal proposito si è, che oggi è la giornata in cui si deve decidere, e V. S. se la gode in villa, senza prendersi cura de’ suoi interessi.

Momolo. La mia causa xe ben raccomandada ai mii defensori, e no me par che ghe sia bisogno de mi. De ste cosse no me n’intendo; lasso far, me remetto a chi sa. Se l’andarà ben, sarà meggio per mi; se l’andarà mal, averò sparagna el desgusto de esser presente a una seccatura.

Dottore. Stimo infinitamente l’indifferenza, con cui V. S. se la passa in una causa di tanta conseguenza.

Momolo. Cossa voleu che fazza? Xe tre anni che va drio sto negozio. Xe tre anni che la mia roba al Dolo xe sequestrada; se la perdo, me despiaserà manco, perchè xe tre anni che no la godo, e se vadagno, i se appellerà, e tant’e tanto per adesso no posso sperar d’aver gnente.

Dottore. Questa mattina si deve trattar la causa.

Momolo. Stamattina se tratta la causa, e vu che sè el sollicitador27 più informà de tutti, impiantè i mii interessi per vegnirme a rimproverar? [p. 271 modifica]

Dottore. La causa si tratta al tardi, all’ora di Rialto, e sarò a tempo di esservi.

Momolo. Via donca, tornè a Venezia, e lasseme goder in pase sto pochetto de ben.

Dottore. Sono venuto per una cosa che preme.

Momolo. Ghe vol bezzi? Se ghe vol bezzi, no ghe n’ho gnanca un.

Dottore. Ieri sera si è fatto l’ultimo consulto cogli avvocati, e sempre più si scopre la causa pericolosa.

Momolo. Se perderala? pazenzia. Za ve l’ho dito, che son parecchià.

Dottore. Se si venisse a un giustamento, non sarebbe meglio per voi?

Momolo. Magari! giustemose pur. Demoghe quel che i vol; meggio ferii che morti.

Dottore. Io spero che faremo un aggiustamento assai vantaggioso per voi.

Momolo. Tanto meggio. Via da bravo, saverò le mie obbligazion.

Dottore. Dopo il nostro consulto, mi trovai ieri sera coll’avvocato della parte avversaria, e capisco che anch’egli teme dell’esito, e non sarà difficile l’accomodarsi.

Momolo. Oh, che bella cossa che la saria, che se comodessimo; che tornasse i ossi a so segno, che i campi del Dolo fusse liberai dal sequestro, e che scuodesse28 l’intrada, e che se fasse presto!

Dottore. Io spero molto, e spero di accomodarla un poco.

Momolo. Bravo, se un omo de garbo. Vedere, se sarò galantomo.

Dottore. Sarebbe necessario che voi veniste meco a Venezia.

Momolo. Caro compare, ancuo gh’ho un impegno. Me raccomando a vu, me rimetto in vu, andè a Venezia e fe vu.

Dottore. Mi date la facoltà di trattare e di concludere?

Momolo. Sì, caro vecchio; fe vu.

Dottore. Vado a Venezia subito, e questa sera verrò a ritrovarvi colla risposta.

Momolo. Bravo. Ve aspetto. Speremio ben?

Dottore. Io spero benissimo.

Momolo. Libereremo el sequestro? [p. 272 modifica]

Dottore. Io lo credo sicuramente.

Momolo. Saroggio patron dei campi?

Dottore. Quasi quasi ve lo prometto.

Momolo. Me consolè, me fè tornar dies’anni più zovene. Sieu benedetto. Porteve ben. Me despiase che no gh’ho adosso cento zecchini, che ve li voravè donàr.

Dottore. Sfortuna mia veramente, ma non importa, son certo della sua riconoscenza.

Momolo. Savè chi son29; no vardo bezzi, no vardo roba; poverazzo! Se vegnù a posta per avvisarme!

Dottore. Certo, e ho lasciato tutti i miei affari.

Momolo. M’avè trovà in cattiva occasion. Ma aspettè, no vol che partì scontento. Tolè sto anello; godelo per amor mio. (vuol dargli l’anello, che ha esibito a Clarice)

Dottore. Oh, non permetterò mai....

Momolo. Tolelo, ve digo. Quando esebisso, esebisso de cuor.

Dottore. Lo prenderò, per non ricusar le sue grazie.

Momolo. E stassera porteme la nova30.

Dottore. Questa sera.

Momolo. E sora tutto, che liberemo el sequestro.

Dottore. Sarà liberato.

Momolo. Disponè de cento zecchini.

Dottore. Obbligatissimo. (Questi sono clienti che meritano di esser serviti. Voglia il Cielo, che riesca bene. Ma lo spero con fondamento). (parte)

SCENA XV.

Momolo solo.

Momolo. Se va ben sto negozio, se sti campi me torna in casa, tomo a metterme in piè31. Se tratta de sie mile ducati d’intrada. Se se giustessimo, me contenterave de quattro mile. Sto Dottor el xe un ometto de garbo. El merita tutto. Gh’ho donà [p. 273 modifica] quell’anello.... Ma apponto ghe l’aveva esibio a siora Clarice, e la m’ha dito che ghe lo tegna in deposito. N’importa gnente, se va ben sto negozio, ghe ne comprerò uno da una piera sola, spenderò tre o quattro mile ducati. Ghe farò veder chi son. E a sto sior zerman ghe farò veder, se gh’ho cuor da spender, se so trattar co le donne. Un pochetto de fortuna che gh’abbia, Momolo no ghe la cede a nissun. (parte)

Fine dell’Atto Primo.

  1. Ed. Zatta: che la vegnirà!
  2. Savioli e Zatta più brevemente: Una vedoa. Vedere, vedere. Un’aria, un brìo, una grazia. No gh’ho ecc.
  3. Zatta: so.
  4. Savioli e Zatta: la gh’ha.
  5. Savioli e Zatta hanno il punto interrogativo.
  6. Co: quando.
  7. Zatta aggiunge: di.
  8. Zatta: se lo.
  9. Zatta: non date.
  10. Così Savioli e Zatta; Paperini: to.
  11. Così Zatta; Paperini: reloggio.
  12. Zatta: cognoss’altri.
  13. Così Zatta; Paperini: obbedir.
  14. Zatta: ghe lo vago a dir.
  15. Tun o t’un: da te un, con te pleonastico.
  16. Zatta: Subito, presto. Brighella.
  17. Zatta: el.
  18. Zatta: e la bonaman.
  19. Zatta: che io vi parli.
  20. Paperini: diverta.
  21. Co: quando.
  22. Così le edd. Fantino-Olzati (Torino) e Zatta; Paperini ecc.: vi farete lo sposo.
  23. Così Fantino-Olzati; Paperini, Zatta ecc.: mal’ora.
  24. Queste parole non sono in corsivo, ma fra parentesi, nelle edd. Savioli e Zatta.
  25. Così Fantino-Olzati; Paperini, Zatta ecc.: vuol.
  26. Così Fantino-Olzati, Savioli, Zatta; invece Paperini, Gavelli (Pesaro) ecc. hanno: Il Dottore.
  27. Interveniente, patrocinatore. «Propriam. era quello che sotto la scorta d’un avvocato difendeva ai tempi Veneti ed agiva nelle cause altrui. Dicesi anche Procuratore»: Boerio, Diz. del dialetto venez., Ven., 1856. Cir. Ferro, Diz. del diritto comune e veneto ecc. Ven., 1778 e Mutinelli, Lessico veneto ecc., Ven., 1851.
  28. Così Fantino-Olzati; Paperini e tutti gli altri: squodesse.
  29. Zaita: so.
  30. Zatta: niova.
  31. Tutte le edd.: piè.