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252 ATTO PRIMO


Trappola. Appunto sono stati qui con premura la sua signora sorella e il suo signor cognato.

Momolo. Xeli andai via?

Trappola. Ora, in questo momento.

Momolo. Ho gusto. Parlemo de quel che preme.

Trappola. Avevano grande ansietà di vederlo.

Momolo. No me parlè altro de ste fredure. Ascoltè quel che ve digo. Stamattina aspetto dei forestieri. Bisogna parecchiar un bon disnar, una bona cena: liquori, caffè, chioccolata, tutto quel che bisogna.

Trappola. (È dunque vero quel che diceva suo cognato). (da sè)

Momolo. Animo, no ve perdè. Sior fattor, fa che tutto sia pronto, perchè no pol far che i capita.

Trappola. Sa ella, signore, perchè mi confondo? Non perchè sia uno che manchi di spirito, e in poco tempo non sappia fare un sontuoso apparecchio, ma perchè mi dà l’animo col poco di far molto, ma col niente non si può far altro che niente.

Momolo. Coss’è sto gnente? Cossa intendeu de dir co sto gnente?

Trappola. M’intendo dire, che senza danari non si va innanzi.

Momolo. E un fattor de la vostra sorte se lassa chiappar senza bezzi?

Trappola. Signor illustrissimo, se avessi l’abilità di fare il lapis philosophorum, vorrei far dell’oro anche per lei; ma quando ella non me ne dà, anzi quando consuma a precipizio tutto quello che io gli do, conviene che io mi ritrovi senza.

Momolo. Orsù, manco chiaccole. Son in te l’impegno e no me voggio far nasar; penseghe vu, e no me fè parer un minchion.

Trappola. Orsù, signore, favorisca di darmi la mia buona licenza, che io non sono in grado più di servirla.

Momolo. Eh via, che sè matto! Ve perdè de animo per cussì poco? Vegnì qua, per darve coraggio, tolè sta borsa con trenta zecchini e disponeli vu a vostro modo.

Trappola. (Qui è dove che io lo voleva). (da sè) Come vuol ella che io distribuisca questi trenta zecchini?

Momolo. Caro vecchio, fe vu.

Trappola. Trenta zecchini sembrano molti, ma quando si prin-