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IL PRODIGO 263


Brighella. La sarà servida. (Se no ghe fusse de sti matti, el mondo no goderave). (torna verso il burchiello)

Momolo. A viver no gh’ho bisogno che nissun m’insegna. Spendo assae, ma so spender. Son splendido, son generoso e ho gusto che se parla de mi. (parte)

SCENA X.

Camera con sedie.

Clarice, Leandro, Ottavio.

Leandro. Cugina carissima, permettetemi ch’io parli1 con libertà; in questo vostro signor Momolo non ci vedo gran fondamento e dubito siasi fatto un passo falso.

Clarice. Lo sapete che io non ci voleva venire, e non ci sarei venuta, se qui il mio caro signor fratello non mi ci avesse tirata quasi per forza.

Ottavio. Io non so di che cosa vi lamentiate. Il signor Momolo ha dell’inclinazione per voi, e voi mi pare non lo guardiate di mal occhio. S’egli dicesse davvero, non sarebbe un buon negozio per una vedova che non ha gran dote?

Leandro. Il negozio non sarebbe cattivo, s’egli non si fosse rovinato con una prodigalità sì impetuosa, che lo rende ridicolo presso di quei medesimi, che hanno contribuito a precipitarlo.

Ottavio. Su qual fondamento lo dite?

Leandro. Non avete sentito quello che si è discorso di lui da que’ due Veneziani, ch’erano in burchiello con noi?

Clarice. Se è vero la metà soltanto di quello che dicono, il signor Momolo quanto prima non avrà con che vivere.

Ottavio. Chi ci assicura che non parlino per passione?

Clarice. In ogni modo qui ci sto di mal animo.

Ottavio. Ed io ci sto di buonissimo umore; che che succeda, avremo goduto quattro giorni di villeggiatura e ce ne ritomeremo per la strada medesima, per dove siamo venuti.

  1. Zatta: che io vi parli.