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266 ATTO PRIMO


se marida più presto. Fazzo mi el disnar, la festa, le nozze e tutto quel che bisogna. In somma procuro de star alegro, me deverto, co son qua, son contento, e per stabilir e redopiar la mia contentezza, no me manca altro che una novizza.

Clarice. Vi manca una sposa, eh? Oh, è difficile che la troviate.

Momolo. Perchè, patrona? Perchè xe difficile che la trova?

Clarice. Avete fatto di voi medesimo un ritratto troppo cattivo per ritrovarla.

Momolo. Co sarò maridà, no farò miga cussì.

Leandro. Chi è prodigo per natura, difficilmente cambia costume.

Ottavio. Quando sarà ammogliato, non farà così.

Clarice. Vi piace troppo la conversazione.

Ottavio. Non farà così, quando sarà ammogliato.

Momolo. No certo. Co me marido, scambio subito la maniera de viver e devento tutto muggier.

Clarice. Quanti giovani hanno detto lo stesso! e colla moglie al fianco sono diventati peggiori.

Momolo. Mi no farò cussì. Sarò colla muggier come un putelo da latte co la so mama.

Leandro. S’io fossi donna, non vi crederei certamente.

Momolo. Caro sior zerman della siora zermana, no semo in sto caso, e ve prego de no ve scaldar el figà.

Ottavio. E se io fossi una donna, non vorrei altro marito che il signor Momolo.

Momolo. E ve protesto che ve chiameressi contento. E ela, signora Clarice, no la dise gnente.

Clarice. Io son donna; non posso parlare, come essi parlano.

Momolo. La parla come donna; cossa ghe par? songio un omo tanto sprezzabile?

Clarice. Avete delle qualità che meritano tutta la stima e tutto l'amore; ma ne avete altresì di quelle che fanno torto al vostro merito personale.

Momolo. Quale xele? presto, che la le diga, che in sto momento ghe prometto da omo d’onor de spoggiarmene affatto e de renderme degno della so grazia.