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268 | ATTO PRIMO |
Ottavio. Quant’era meglio, che non si fosse condotto codesto pazzo! (a Clarice)
Momolo. (Se andasse via anca st’altro, el me farave servizio), (da sè)
Clarice. (Non ho mai scoperto ch’egli avesse dell’inclinazione per me). (ad Ottavio)
Momolo. Caro sior Ottavio, me despiaseria che per gnente se avesse da romper l’allegria, la conversazion.
Ottavio. Eh, non è niente, non gli badate.
Momolo. La me fazza un servizio, sior Ottavio, la vaga a trovarlo, la lo quieta, la ghe diga da parte mia che, se l’ho offeso, son pronto a domandarghe scusa.
Ottavio. Ora, ora, in due parole lo accheto. (in atto di partire)
Clarice. No, è troppo presto; trattenetevi.
Momolo. Sì, subito, fin che el ferro xe caldo; la prego, no la perda tempo. (ad Ottavio)
Ottavio. Subito, in un momento. (parte)
SCENA XII.
Clarice e Momolo.
Momolo. (Anca questo xe andà). (da sè)
Clarice. (Mi trovo imbarazzata da solo a sola). (da sè)
Momolo. Siora Clarice, sentemose un pochetin.
Clarice. Non importa, sto volentieri in piedi.
Momolo. La me fazza sta grazia. Cossa gh’hala paura? la xe in casa de un galantomo, e no son capace de disgustarla. Via, la se senta.
Clarice. Lo farò per compiacervi. (siedono)
Momolo. Me fala un’altra grazia?
Clarice. Cosa vorreste?
Momolo. Se degnela de tor sto anello?
Clarice. Oh, questo poi no.
Momolo. Ma perchè no?
Clarice. Serbatelo per quando vi farete sposo1.
- ↑ Così le edd. Fantino-Olzati (Torino) e Zatta; Paperini ecc.: vi farete lo sposo.