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250 ATTO PRIMO


Celio. Sì, certo: ha la lite in Venezia, e viene a divertirsi in campagna. Che ha egli fatto di quelle somme di danaro, che gli ho prestato più volte? Se le ha consumate qui sulla Brenta, ed il signor fattore lo sa. (ironicamente verso il fattore)

Trappola. Io non so niente di questo, signore; anzi so all’incontrario, ch’è qualche tempo che trovasi senza un soldo.

Beatrice. Per cagion della lite.

Trappola. Lo dico anch’io per cagion della lite, (con finzione) (Non credo che nemmeno ci pensi).

Celio. E dei cinquanta zecchini che gli ho prestati ieri, che cosa ne ha egli fatto? (a Trappola)

Trappola. Ieri gli prestò cinquanta zecchini? (a Celio)

Celio. Sì, ieri.

Trappola. (Ho piacer di saperlo. Passeranno per le mie mani), (da sè)

Beatrice. Li avrà spediti a Venezia....

Celio. Non signora; la cosa è come ho detto; e come ve lo ridico in presenza di quest’altro galantuomo, che fìnge di non saperlo. Mi scrivono da Venezia, che si parte una compagnia per venirlo qui a ritrovare. Vi è una certa vedova basta, non vo’ dir niente. La verità si è ch’egli lo sa, ch’egli la aspetta, e che i cinquanta zecchini anderanno, come ne sono andati tant’altri.

Beatrice. Io non lo credo.

Celio. Se non lo credete voi, lo credo io; e giacchè vedo il suo precipizio vicino, non voglio perdere il mio. Dite al vostro padrone che pensi a pagarmi, o almeno ad assicurare il mio credito, altrimenti mi scorderò della parentela, dell’amicizia, e e farò quei passi che si convengono. (a Trappola)

Trappola. Io glielo dirò, signore.

Beatrice. Avreste cuore di rovinar mio fratello?

Celio. E voi avreste cuore di veder rovinato vostro marito?

Beatrice. Grazie al Cielo, voi non ne avete bisogno.

Celio. Convien pensare all’avvenire. Se avremo figliuoli, le cose non anderanno così.

Beatrice. Finora noi non ne abbiamo.

Celio. Non ne avete speranza d’averne?