Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Camera di monsieur Bainer con sedie.

Monsieur Bainer, poi monsieur Guden.

Bainer. (Solo, passeggiando senza dir niente.)

Guden. Eccomi a voi, signore.
Bainer.   Monsieur Guden, sedete, (siedono)
Io sono un uomo onesto, un onest’uom voi siete.
Chiaro fra noi si parli, e non ci aduli in cuore
Nè timor, nè rispetto, nè un sconsigliato amore.
Un evento impensato, opra di stolta mano,
Vi obbliga non volendo ad isvelar l’arcano.
Vi discoprite amante della nipote, è vero;
Ma qual ragion può farmi creder l’amor sincero?
Quando s’intese mai, che un divenisse amante
Di femmina in un giorno, e quasi in un istante?

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Aspetto verisimile l’evento in sè non tiene;

Non si perdonerebbe tal caso in sulle scene.
Temo a ragion che abbiate detto d’amar per gioco,
Ed or sol dell’impegno sia conseguenza il foco.
Marianna or non vi sente; sinceritade io bramo.
L’amate, o non l’amate?
Guden.   Sì, vi rispondo, io l’amo.
Strano sembra a me stesso, in così brievi giri,
Per lei mandar dal petto le fiamme ed i sospiri.
Non so che dir; lasciamo di simpatia i portenti,
Che son d’un vero amore difficili argomenti;
Lasciam della bellezza, della virtude il dono,
Adulazion sospetta, di cui nemico io sono;
E più d’ogni suo pregio, dote lasciam da parte,
Che arrossirei pensando di arricchir con tal arte.
Quel che di lei m’accese, vo’ giudicar più tosto
A compatirmi afflitto un animo disposto;
Piacer d’essere insieme d’amabile persona,
Trovarla in giovinezza, saggia, discreta e buona;
E più di tutto io credo trovare in lei dipinta
L’immagine vezzosa della mia bella estinta.
Presto si fa scherzando a compiacersi un poco,
Da una scintilla ancora presto si accende un foco.
Quando è sincero il cuore, quando la fiamma è onesta,
Fuor d’un legame eterno altro sperar non resta;
E se al desio rassembra non discordar chi s’ama,
Cresce la speme, e il cuore accelera la brama.
Gli ostacoli ancor essi forza aggiungono a forza,
E presto amor piacevole a sospirar ci sforza.
Ecco, signor, qual penso fatta la mia catena,
Soggetta ad una critica fors’anco in sulla scena.
Ma solo il verisimile poeta ha nel pensiero,
E pien di casi è il mondo, ed il mio caso è vero.
Bainer. Sempre più vi ravviso giovine saggio, in cui
Filosofia si vede, che sparsi ha i lumi sui.

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Voi la nipote amate, vi ama ella pur, lo veggio;

Ad un amor reciproco io che risponder deggio?
Uditemi: bambina venne Marianna meco;
Son da venti e più anni avvezzo a viver seco.
Ella è l’unico bene, che mi sia caro al mondo;
Con lei ha da vedermi, chi mi desia giocondo.
Moglie non presi ad onta di tanti amici miei,
Per l’unico piacere di vivere con lei,
Temendo che una zia superba, stravagante,
Non amasse Marianna quant’io le sono amante.
Ora voi la chiedete, la chiede un uom ch’io stimo,
Giovine saggio, onesto, e di ricchezze opimo.
Veggo che a voi negandola, tolgo a lei sua fortuna,
E fuor dell’amor mio, non vi è ragione alcuna.
Ma! voi che amor sentite, lungi però dal mio,
Perderla non vorreste, e perderla degg’io?
Da lei, che per tanti anni godei mirarmi appresso,
Dunque dovrei per sempre allontanarmi adesso?
Nel settentrione algente andrà la mia Marianna?
So che il negarlo è ingiusto, ma un tal pensier mi affanna.
Guden. Signor, entro in voi stesso, e apprendo il duol sì fiero,
Che il cuore in sul momento risvegliami un pensiero.
Solo di mia famiglia, non ho chi mi comanda:
I beni di Polonia tradur posso in Olanda.
Sotto la scorta vostra, sotto il vostro consiglio,
Ecco, se noi sdegnate, ecco, signore, un figlio.
Bainer. Ah sì, vostra è Marianna a questa legge, il giuro.
(si alzano)
Guden. L’amor suo, l’amor vostro; bene maggior non curo.

SCENA II.

Pettizz e detti.

Pettizz. È lecito, signore, di farvi un’imbasciata? (a monsieur Bainer)

Bainer. Che vuoi? dell’imbasciate è questa la giornata.
Pettizz. Monsieur Lass, che desidera parlarvi con premura.

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Bainer. Verrà per istuccarmi colla sua quadratura.

Ma ricusai poc’anzi d’udir le sue parole:
Non vo’ parer superbo; venga pur quanto vuole.
Pettizz. (Parte.)
Guden. Andrò dai negozianti d’Olanda principali,
Sopra di cui son tratte le lettere cambiali.
Si prenderà opportuna da lor la direzione,
Per trasportare in Leiden mia mercantil ragione.
Seco lor tratterete, e chiaro si vedrà,
Se Guden vi ha parlato finor con verità.
Bainer. Prova non ha bisogno maggior la vostra fede.
Bainer è amico vostro, e vi conosce, e crede.
Deesi avvisar la sposa.
Guden.   Fatelo voi, signore.
Dirglielo a me non lice, e poi non avrei core.
Dubiterei ancora, ch’essa dicesse un no.
E se un sì mi risponde, quel che farei non so.
Conosco del mio cuore l’usata debolezza:
Potrei su quel momento svenir per allegrezza.
Solo in pensarvi, io sento che mi circonda un foco...
Ritornerò, signore, ritornerò fra poco. (parte)

SCENA 111.

Monsieur Bainer, poi monsieur Lass.

Bainer. Ecco, per un sentiero sì strano e mal previsto,

Ecco fatto in tal giorno il più felice acquisto.
Dell’amor, con cui soglio per altri interessarmi,
Ecco che il ciel pietoso desia ricompensarmi:
Non perdo la nipote, contenta ella si vede,
Acquistomi un amico, acquistomi un erede.
Vogliano i Dei pietosi, che pria ch’io chiuda il ciglio,
Vegga della nipote bamboleggiare un figlio!
Lass. Bainer.
Bainer.   E bene, amico, compiste il bel disegno?
Lass. Ho abbandonato il circolo; sono in un altro impegno.

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Bainer. Qualche scoperta nuova?

Lass.   Novissima scoperta,
Del circolo quadrato più facile e più certa.
Bainer. Or da lungo discorso vi prego dispensarmi.
Lass. Vel dico in due parole: risolto ho maritarmi.
Bainer. Oh monsieur Lass amabile, quest’è ben altra cosa,
Che consumar nei circoli la mente rugginosa.
Bravo, me ne consolo.
Lass.   Dissi finora il meno.
Ho bisogno di voi.
Bainer.   Disponetene appieno.
Lass. Ho fissato l’oggetto.
Bainer. E chi è? saper si puote?
Lass. Vel dico in confidenza. Questa è vostra nipote.
Bainer. Voi mi onorate troppo.
Lass.   Pensato ho fra di me,
Che partito più proprio al caso mio non c’è.
Filosofi noi siamo, siam tutti due sapienti.
Amici siamo, è giusto che diveniam parenti.
Da tale unione il mondo potrà sperare assai;
Virtù passando ai figli, non finirà giammai.
In grazia dello zio, sposar vo’ la nipote.
Bainer. Siete ben generoso.
Lass.   Quanto averà di dote?
Bainer. (Ecco l’idea primaria della filosofia). (da se)
Il bene ch’io posseggo, frutto è dell’arte mia.
Privarmene non voglio. Marianna è mia parente;
Ma è povera, e di dote non le vo’ dar niente.
Però, se il di lei volto vi piace e v’innamora...
Lass. No, non corriamo in fretta; non ho risolto ancora.
Bainer. Quando risolverete?
Lass.   Quando perfezionato
Averò il mio progetto del circolo quadrato.
Ecco le prime prove, (spiega il foglio) Vedete, e giudicate...
Se le proposizioni son certe e ben fondate.

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Bainer. Vedo di gran figure.

Lass.   Costanmi gran fatica.
Bainer. A Marianna volete che l’amor vostro io dica?
Lass. Se sperar si potesse...
Bainer.   Se non ha dote, è bella.
Lass. Vedete quella linea dell’altra paralella?
Bainer. Amico, io vedo tutto, vedo l’operazione
Del circolo a che tende, conosco l’intenzione.
Figuriam questo punto di monsieur Lass il core,
Figuriamo quest’altro di Marianna l’amore.
La linea tende al centro, ch’è il bel della nipote:
Ma ne impedisce il corso mancanza della dote;
Io potrei veramente formar giusto triangolo,
Ma vo’ di tal figura restar fuori d’ogni angolo;
Onde piegate pure il foglio ed il progetto,
Voi vi formaste in mente un circolo imperfetto.
Lass. (Lo guarda, piega il foglio, lo saluta, e parte.)

SCENA IV.

Monsieur Bainer, poi madama Marianna.

Bainer. Ecco gl’insidiatori dei splendidi contanti:

Ecco gl’interessati filosofi ignoranti.
È ben che a maritarla con mio piacer sia giunto.
Termineran le insidie. Ecco Marianna appunto.
Marianna. Signor, voi mi diceste, che essendo sol, venissi;
Eccomi ai cenni vostri.
Bainer.   Sì, Marianna, il dissi;
E a tempo a me venite. Spiegò la fiamma ascosa
Monsieur Guden alfine, e vi desia in isposa.
Giovane, e d’alti fregi, ricco, prudente e saggio,
Par che a noi l’abbia scorto di provvidenza un raggio.
Voi l’amate?
Marianna.   Sì certo, l’amo, signor, nol nego.
Questa mia fiamma onesta di compatir vi prego.

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So che mi amate, e vedo che tenerezza umana

Caro farà costarvi vedermi andar lontana.
Ciò costerà a me pure fiero dolor di morte,
Ma superarsi è forza, e cedere alla sorte.
Bainer. Ah ingrata! avreste cuore di abbandonar lo zio,
Dopo cotante prove del tenero amor mio?
Sino in Polonia andreste con il consorte allato,
Lasciandomi, crudele, dolente e sconsolato?
Questi è l’amor di figlia, onde l’amor pagate?
Anima sconoscente! oh donne, oh donne ingrate!
Marianna. Oimè! voi mi atterrite. Col vostro labbro istesso,
Non foste voi, signore, che hammi d’amar concesso?
Che vi abbandoni e parta, voi la cagion non siete?
Bainer. No, barbara nipote, di qua non partirete. (parte)

SCENA V.

Madama Marianna sola.

Come a un tratto il destino, misera! cambiò faccia?

Prima la vita mi offre, morte poi mi minaccia.
Peno ancor io lasciando un zio grato, amoroso;
Ma troppo è dolce cambio la compagnia di sposo.
Perchè non maritarmi con altri a lui dappresso,
Pria che dal forestiere fosse il mio spirto oppresso?
Vuol condannarmi a vivere in uno stato amaro?
Ah, il ben ch’egli a me fece, mi costa troppo caro;
Prima bastar poteami il suo paterno amore,
Altre fiamme ora nutro, altro desio nel core.
Non partirete, ei disse? parla sì risoluto?
Che barbaro comando! che barbaro tributo!

SCENA VI.

Carolina e detta.

Carolina. Ah madama, davvero ne ho consolazione!

Marianna. Sì, consolati meco, che ne hai giusta ragione. (ironica)
Carolina. Come! Non siete voi del forastier la sposa?

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Marianna. Chi tel disse?

Carolina.   Egli stesso. Carolina amorosa,
Dissemi giubilante, da queste soglie andando:
Consola la mia sposa, a te mi raccomando.
Vengo per consolarvi...
Marianna.   La sposa mia consola?
Senti, che frase è questa? che barbara parola?
Dovendo restar sola, misera, abbandonata,
A te si raccomanda, perch’io sia consolata.
Carolina. Spropositi, signora; soggiunge, che in Olanda...
Marianna. Il zio per mia sfortuna, che barbaro comanda,
Dissemi in chiare note: me abbandonar volete?
No, barbara nipote, di qui non partirete.
Carolina. E bene; monsieur Guden dissemi presto presto:
Più in Polonia non torno, qui colla sposa resto.
Marianna. Possibil che sia vero?
Carolina.   Vero, ve l’assicuro.
Marianna. Ora del zio comprendo quel favellare oscuro.
Pietosissimo zio, caro fedel amante,
Oimè, che di dolcezza l’alma mia è delirante;
Sostienmi, Carolina, ahi mi par di morire.
Carolina. Vengono le fanciulle; non vi fate sentire.

SCENA VII.

Madama Elisabetta, madama Federica, madama Giuseppina e le suddette.

Elisabetta. Ma voi ci abbandonate.

Marianna.   Scusatemi di grazia.
(con agitazione)
Federica. Siete molto agitata.
Giuseppina.   Oimè! qualche disgrazia?
Carolina. Ha avuto tal disgrazia per sua mala fortuna,
Che simile vorreste averne una per una.
Marianna. Via via, parliamo d’altro. Amiche, perdonate
Se troppo lungamente vi ho quasi abbandonate.

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Un affar collo zio mi ha trattenuto qui.

Carolina. È un affar, sì signore... voi lo saprete un dì.
Elisabetta. Finor con quei filosofi siam state in compagnia,
Ma parlano di cose che fan melanconia.
Distinguere non sanno i tempi e le persone.
Cosa sappiamo noi d’influsso e proporzione?
Leggere qualche cosa, certo che non è male,
Di storia specialmente, di dogma e di morale;
Ma il studio delle donne, per me son persuasa,
Che prima debba essere l’economia di casa.
Marianna. Voi pensate benissimo.
Federica.   Vi pare poco impegno
Dirigere una casa? qui pur spicca l’ingegno.
Gli uomini le ricchezze pensano ad acquistarle,
E noi con buona regola pensiamo a conservarle.
E di una brava economa il picciolo sparagno,
In casa a capo all’anno produce un bel guadagno.
Giuseppina. Intanto s’io non fossi povera creatura,
Dovrebbon delle lettere pagar la copiatura;
E quello che risparmiamo, ch’è almen tre paoli al giorno,
Serve a lor per comprarmi quel che mi metto intorno.
Carolina. Madama, è qui l’amico. (con allegrezza a madama Marianna, avendo osservato fra le scene.)
Marianna.   Oimè! vien egli innante?
Elisabetta. Mi parete turbata. (a madama Marianna)
Carolina.   Anzi è tutta brillante.
Elisabetta. Il perchè può sapersi? Se non è qualche arcano.
Carolina. Cosa serve il non dirlo? già l’occultarlo è vano.
S’ha da saper fra poco. Madame, consolatevi,
Che la padrona è sposa.
Elisabetta.   Davvero?
Carolina.   Assicuratevi.
Elisabetta. Mi rallegro, madama.
Federica.   Anch’io provo piacere.
Giuseppina. E chi sarà lo sposo?

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Carolina.   Quel signor forastiere.

Elisabetta. L’ammalato? (a madama Marianna)
Marianna.   Sì, quello. (un poco ridente)
Federica.   Andrete al suo paese?
Marianna. No, per grazia del cielo, anch’ei si fa Olandese.
Carolina. Eccolo lì lo sposo. (accennandolo fra le scene)
Elisabetta.7 L’ora è tarda, madama.
Tornare ai nostri tetti ora il dover ci chiama.
Per me grazie vi rendo alle finezze vostre.
Marianna. Madama, mi son note le costumanze nostre.
Lo so che conversare l’uso fra noi dispose
Le figlie colle figlie, le spose colle spose.
Però restar potete; sposa ancora non sono.
Elisabetta. Deggio partir, madama, domandovi perdono:
Consolomi di nuovo del vostro gentil sposo:
Il ciel con lui vi doni la pace ed il riposo.
Finor fu da sorelle fra noi tenero affetto,
Qual figlia in avvenire vi amerò con rispetto.
So che per nozze acquista donna un grado maggiore;
Ma voi, cara Marianna, siete umile di core,
E so che mi amerete con amistà perfetta,
E so che sarò sempre la vostra Elisabetta. (parte)
Marianna. Che bel cor! (a Carolina)
Carolina.   Fa da piangere. (a madama)
Federica.   Addio, diletta amica:
Il cielo vi consoli, il ciel vi benedica.
Credetemi, vel giuro, son dalla gioia oppressa;
Godo del vostro bene, qual farei per me stessa.
Fate il vostro dovere, amate il sposo vostro;
Ma deh, non vi scordate ancor dell’amor nostro, (parte)
Giuseppina. Datemi un bacio almeno. Or che diverse siamo,
Chi sa, gioia mia cara, quando più ci vediamo?
Ma basta, da fanciulle fummo amiche fidate,
Chi sa che non lo siamo ancor... da maritate?
(parte vergognandosi e correndo)

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SCENA VIII.

Madama Marianna e Carolina.

Marianna. Parla il cor veramente.

Carolina.   Oh quanto pagherei,
Che fossero a sentirle certi paesani miei,
Che dicon delle donne... So io quel che ragiono.
Vengano qui a vedere le donne cosa sono.
Vien il padron.
Marianna.   Rammento, ch’egli mi disse ingrata.
Ebbe ragion di dirlo, e son mortificata.
Carolina. Ed è con lui lo sposo.
Marianna.   Credimi, afflitta sono.
Carolina. Ma via, non vi affliggete; lo sapete ch’è buono.

SCENA IX.

Monsieur Bainer, monsieur Guden e detti.
Poi monsieur Taus e monsieur Mann.

Bainer. Ecco lo sposo vostro, (a madama Marianna, sostenuto)

Marianna. (Guarda l’uno e l’altro mortificata.)
Guden.   Madama, io vi ho sperata,
Vostro nel presentarmi, più lieta e consolata.
Oimè, pentita siete forse dell’amor mio?
Marianna. Alzar gli occhi non oso in faccia dello zio.
Tacciar di sconoscente m’intesi, e con ragione,
E fa la mia vergogna la mia disperazione.
Bainer. No, figlia, l’età vostra, l’amore io compatisco,
E il dolor che mostrate per cagion mia gradisco.
Porgetevi la mano, si compia il matrimonio.
Signori, favorite servir di testimonio.
(a monsieur Taus ed a monsieur Mann, quali si avanzano)
Guden. Ecco, diletta sposa, ecco la mano e il core.
Marianna. Ecco tutta me stessa.
Carolina.   Viva, viva l’amore.

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Taus. Madama, delle nozze l’ore son buone e amare,

Come il flusso e riflusso instabile del mare.
Prego il ciel che per voi, giovane bella e fresca,
Sia la gioia amorosa un mar che sempre cresca, (parte)
Mann. Madama, mi consolo. Ma guardatelo in cera;
Mi spiace, che sarete vedova innanzi sera. (parte)

SCENA ULTIMA.

Monsieur Bainer, monsieur Guden, madama Marianna, Carolina, poi il Marchese Croccante

.

Marianna. Oimè!

Guden.   Sciocco, indiscreto! (in atto di seguitarlo sdegnato)
Bainer.   No amico, rammentate
Di raffrenar la collera; e voi non ci badate.
(a madama Marianna)
Quegli è un pazzo ostinato, medico per disgrazia.
Marianna. Mi fa morir lo stolto.
Carolina.   Medico malagrazia.
Bainer. Alla cena si pensi; che l’ora omai s’accosta.
Marchese. Amico, son venuto a prender la risposta.
(a monsieur Bainer)
Bainer. Eccola qui, signore; ecco mostrar vi voglio
L’esito fortunato, che ottenne il vostro foglio.
Voi chiedeste la sposa, io non sapea per cui:
Guden si è dichiarato, e l’ho sposata a lui.
Marchese. Come! a me sì gran torto? Preferire un mercante
A un cavalier mio pari, marchese di Croccante?
Ed io, medico ingrato, contro del mio costume
Avrò per compiacervi quasi bevuto un fiume?
Basta così; lo giuro, non tien la mia parola,
Se passo a medicarmi sotto d’un’altra scuola.
Vo’ ber finche ne ho voglia, vo’ rinfrescarmi il petto,
Vo’ ber per ravvivarmi, vo’ ber a tuo dispetto.

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E dopo aver bevuto quanto mi piace e pare,

Del torto che ricevo, mi verrò a vendicare. (parte)
Guden. Questi è quel pazzo adunque, che fu del foglio autore!
Bainer. Dell’error mio cagione.
Marianna.   Oh fortunato errore!
Guden. Spiacemi che ho sentito, ch’ei di furor s’accese.
Bainer. I pazzi non si temono qui nel nostro paese.
Pensiamo a viver lieti. Giacchè la sorte amica
Uniti ha i vostri cuori, il ciel vi benedica.
Centomila fiorini sarà la vostra dote;
(a madama Marianna)
Vi accetto in casa mia per figlio e per nipote.
Vedervi in altro stato nella salute io godo;
Ecco quel ch’io vi dissi, chiodo discaccia il chiodo.
Il docile consiglio la mente ha persuasa,
Ma non credea che aveste a esercitarlo in casa.
Basta, ne son contento. Il ciel per strade ignote
Il zio rende felice, non men che la nipote;
E il vostro cuor se stesso a medicare apprese,
Colla ragion per guida, dal Medico Olandese.

Fine della Commedia.

Note