Il libro dei morti/Capitolo X
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CAPITOLO X.
Epilogo.
Rolando, cavaliere, quando a le chiuse di Roncisvalle per le gran ferite si sentì venir meno, suonò il corno, sì che le tempie gli si spezzarono e per gli echeggiati monti il suono se ne andò sino a Parigi e l’udì re Carlomano da la barba fiorita.
Ma non giungeva cavaliere nessuno.
Allora, vedendosi vicino a morte, si piegò in ginocchio e s’appoggiò a la sua spada Durendal, che aveva forma di croce, e fu gloria in vita come fu salute in morte.
Così morì il buon cavaliere Rolando.
⁂
Così moriva un giorno G. Giacomo, cavaliere egli pure de la fede; anch’egli abbandonato, perchè solitario e sdegnoso ne la modernità; e le mani scarne erano abbrancate ad una grossa croce, su cui stava inchiodato un Cristo. Le pupille, già ottenebrate da l’ombra de la morte, si fissavano in alto come a scrutare la via che l’anima avrebbe fra poco percorsa per giungere a Dio, suo principio e sua fine.
Egli morì. Era l’ora che i buoi tornano a le stalle trascinando l’aratro, fumano le ville, e dai sommi monti cadono le tenebre.
E le tenebre gli si serrarono dattorno per sempre.
No: l’anima di G. Giacomo, sciolta da l’impaccio del corpo, non salì su per il bel sereno, ridente e trionfatrice de la materia; nè il regno di Dio dischiuse le sue porte luminose.
Quel vecchio e buon padre Iddio, nel cui seno sperarono di riscaldarsi quelli che ebbero freddo in questo lungo inverno de la vita; al cui cuore come a sorgente viva, avrebbero bevuto gli assetati di amore, di giustizia e di bene, il vecchio e buon Iddio non v’era!
Ahimè! le povere madri solitarie che chiamano e pregano per i loro figliuoli morti, ed elle muoiono con gli occhi lagrimosi di speranza; ahimè, i vostri figli non li rivedrete; non vi verranno incontro al limitare del regno di Dio; ma giù anche voi piomberete ne le tenebre che non hanno aurora.
Nè fu dolore, nè fu disinganno per G. Giacomo: perchè erano le invincibili forze de la materia che proseguivano il loro cammino con legge fatale; cammino lungo sì che a la mente de l’uomo pare eterno, cammino doloroso, che attraverso il tormento de le infinite forme de la vita, conduce esso pure ad un regno ove è signora una Dea.
Ma non è la dolce Dea, radiante di dolcezza e di speranza, che accoglie le preghiere di tutti; che è torre eburnea, salute de gli infermi, rosa mistica, stella del mattino!
La Morte è La gran dea a cui tutto sospira e tende dopo la multiforme e secolare battaglia de la vita, e in lei tutto si riposa e si scancella.
Fu dunque così come dovea essere e però non fu dolore nè disinganno.
⁂
Ma ne l’umido letto del camposanto, sotto le radici dei cipressi che cantano ai venti le querele dei morti, un rimorso cocente rodeva lo spirito di G. Giacomo; nè il lento tramutarsi del suo essere in nuove forme di vita valeva a lenirne il dolore. Egli pregò la Morte perchè gli concedesse di ritornare ancora per breve ora su nel mondo. Voleva andare dal suo figliuolo e stenebrargli la mente de l’errore in cui lo avea allevato e indicargli la via de la felicità. E la Morte sì gli concesse, e gli diede meraviglioso potere d’imprimere per incanto ne la mente del suo figliuolo la conoscenza del vero.
⁂
Dunque fu in una notte fredda e piena di luna che egli si levò dal suo letto del camposanto e si avviò verso quella che fu la casa de la sua gente e la sua.
Le piante lo riconoscevano e gli cantavano la loro canzone, ma lo spirito di G. Giacomo s’affrettava di giungere e andava veloce chè veloci vanno i morti, come dice la vecchia ballata; e andando, molte cose e queste fra le altre pensava:
— O figlio, figlio de le mie carni e de la mia anima, caro in vita e più caro giù ne la morte, se, da quando tua madre ed io ti vegliavamo ne la culla, da quando seguivamo i tuoi primi passi (e tu crescevi fiorente di forza e di virtù ne la vita), se dai nostri occhi si trasfuse ne l’anima tua quest’anima nostra imbelle, io te la strapperò dal petto. Me ne ha dato potere la Morte.
O figliuolo! quegli occhi tuoi, miti di bontà e di fede, certo si sono rispecchiati nei nostri, di me e de la tua semplice madre, chè per lunghe notti, per lunghe ore noi ti fissavamo e con sì grande intensità d’amore che le pupille quasi ci si riempivano di pianto!
Ora io mi levai dal mio letto eterno del cimitero, gelido e buio, io vengo ne la notte e per l’inverno in questa casa, per te; per dissipare quella tenebra di semplicità e di fede che è ne l’anima tua.
Chi ha quello sguardo non ha conquiste nel mondo, ed io voglio che tu conquisti.
Certo tu sarai buon lottatore perchè sei cresciuto al sole, libero e forte: hai saldi muscoli per abbrancare ne la lotta, hai sani nervi per godere la vita. Ma io ti darò di più: ti svellerò da l’anima tutti i pregiudizi di fede, di coscienza, di patria; fatale eredità di errori trasmessi col sangue; ti strapperò ogni poetica sentimentalità, ogni visione, ogni utopia che tenta sottrarsi a l’inesorabile analisi de la ragione, e ti stamperò ne la fronte due pupille vive, che fanno incurvare a gli altri il capo: due pupille che non si offuscheranno mai di pianto, scintillanti d’energia, invincibili ne l’ottenere.
Su su, è l’ora, è l’ora! Su da quel tuo letto, se vi riposi; via da quella casa, se tu la ami. Altro letto, altra casa ti aspetta! Il sole oramai sorge, la tua giovanezza oramai tocca e matura il suo fiore; e il tempo già fugge.
Oh, abbatti, o figlio, le viti che piantò tuo padre! Egli potò quei tralci e riposò a l’ombra di queste piante; e il succo di quei grappoli e la canzone di quei pioppi che fremono ai venti ed al sole, addormentarono la sua anima, che non vide il vero, come hanno addormentata la tua.
Io vengo per destarti.
Abbatti dunque quelle piante; abbandona quella casa ove vissero e morirono quelli di tua gente, ove la tua vecchia madre ragiona coi santi e coi morti la sua vana preghiera. Abbandona tutto; dimentica tutto, anche l’angolo del cimitero dove vieni a pregare per me. Dimentica e va lontano! Va lontano in mezzo a gli uomini e conquista! Conquista la gloria che sopravvive per qualche tempo a la morte, la voluttà che allunga i minuti de la vita, il potere che fa sembrare di ferro i fragili stami de l’esistenza. Va! Va e trionfa, perdio tu sei forte ed io ti ho temperato nel battesimo del vero.
Così potessi per te moltiplicare i sensi ed accrescere la facoltà di godere; così potessi io profetare per te e per i figli tuoi un nuovo tempo, in cui le anime ed i corpi, modificati e perfetti con selezione cosciente, avessero valore di oltrepassare il termine de la morte, distruggere le fonti del patimento umano, vincere il tempo e l’ignoto, vivere eternamente felici ne la vita come oggi si vive eternamente tristi ne la morte. —
⁂
Così fremendo fuggiva ne la notte quello spirito; e le piante, che lo avevano visto fanciullo, seguitavano la loro obliosa canzone dicendo: — Oh rimani, rimani con noi, G. Giacomo! Le rondini già varcano il mare, le viole sbucano da la terra, le lucciole oramai accendono le loro fiammelle per danzare attorno a le spiche. Rimani fra noi!
Chè se la tua vita è compiuta, nè più le nostre ombre potranno dare riposo a le tue membra nè i nostri fiori consolare i tuoi sensi, rimani lo stesso con noi; vivi con noi; aleggia, spirito buono, attorno a noi, qui dove è la tua casa. —
⁂
La casa era bianca per la luna che vi batteva in piena luce e dentro, sopra gli alari, ardevano due grossi ceppi di rovere.
Vicino vi sonnecchiava il gatto con gli occhi di fosforo, aperti ne le tenebre, e pur vigilava.
Ecco la stanzettina da pranzo tutta pulita, coi suoi vecchi mobili e odorosa di mele cotogne.
Nulla è mutato: solo di fronte al ritratto de l’avo è stato messo il suo; un ritratto ad olio, che il figliuolo deve aver fatto eseguire, o a memoria o con l’aiuto di qualche fotografia. Certo egli vi si riconobbe con la sua grossa testa grigia, gli occhi pensosi e le labbra appena mosse ad un mite sorriso. Per quanti anni, a mezzodì, avea desinato con allegro appetito e allegro cuore, e fuori de la finestra scopriva la distesa dei campi e il mare in alto risplendere!
Ed anche il suo studiolo era tutto assestato e raccolto come quando egli vi si recava a leggere o a pregare. Lo scaffale con i libri tarlati, messi in fila, il seggiolone di cuoio, il volume di Livio e di Vergilio, da cui, leggendo ne le serene notti al lume de la lucernetta, usciano torme di cavalieri andanti e pompe di trionfi, e ricordanze di gloria! E allora egli vide che la nuova vita seguitava a fiorire su l’antica, ma lietamente, come dava a credere un grosso scartafaccio di conti. Una interruzione di parecchi mesi seguiva l’ultima pagina da lui segnata, poi le note ed i computi de l’azienda domestica erano ripresi secondo l’ordine che egli soleva, e non mancava la spesa de le messe pel suffragio de la sua anima e la spesa de la minestra e del pane e del vino per i poveri, quando suona mezzodì da la pieve, così come egli soleva.
⁂
Proseguiva il suo viaggio per quella che fu la sua casa. Giunse ne la stanza che fu la sua.
In un canto del gran letto vi riposava quella che era stata così buona e mansueta compagna de la sua vita. Auliva la stanza di verginità rifiorente in quella casta vecchiezza; e la testa grigia, la faccia scarna era adagiata su di un alto guanciale e le mani esili giunte sul petto ed intrecciate ad una grossa corona.
Forse si era addormentata pregando; e le labbra, mosse ogni tanto, parevano come ragionare coi santi e coi morti di cose lontane. Povera vita di donna, un dì giovane sposa, lieta del suo uomo, del suo figliuolo, de la sua casa, ora solitaria e vedova, scendeva ne l’ineffabile ignoranza de le cose e del mondo verso la morte.
G. Giacomo, non t’indugiare, l’ora fugge! Lunghe sono le notti de l’inverno, ma il gallo ormai canta mattutino, e dal chiuso pollaio indovina i miti incendi de l’alba.
Affrettati: nulla puoi tu fare per lei; la sua vita declina come declinò la tua; lasciala in pace nel suo letto: vedi, ella vi si è composta come ne la bara; lasciala parlare coi santi; lasciala sognare finchè ha tempo: si desterà fra breve giù nel regno de la Morte.
Fuggì, e fu ne la stanza del suo figliuolo. Un lumino ardeva davanti a l’imagine de la Madonna e diffondeva attorno mite luce.
Il giovane giaceva fermo, supino, ne la beatitudine del sonno, con il capo profondato nel guanciale. Una de le braccia usciva fuori de la coperta e la mano larga e callosa di forte lavoratore si stendeva su di una cuna come a proteggere; l’altro braccio passava sotto il collo di una donna, la cui testa fiorente di giovanezza, era posata sul petto di lui, il suo petto dove era il suo mite ed imbelle cuore.
G. Giacomo stette a lungo a contemplare, e i momenti de la notte fuggivano l’un dopo l’altro, e il sole che mette in fuga i fantasmi, s’annunciava al biancheggiare del cielo.
Perchè dunque non si affrettò a compiere l’opera per cui era venuto, e gliene aveva dato potere la Morte, perchè contemplando, di gran pianto si riempivano le orbite de gli occhi? Quale nuova pietà o nuova idea era maturata in lui in così breve tempo, a la vista de le sua casa e del suo figliuolo addormentato?
Forse pensò che, se a quel suo viaggio si era mosso per il bene del figlio, nessun altro bene poteva essere maggiore di quello di cui godeva, e che sorgendo dal suo letto, e abbandonando la sua casa, per quanti maggiori piaceri la vita vera gli avesse potuto somministrare, certo il suo riposo non sarebbe stato più così sereno e dolce come allora, e le sue guance sarebbero divenute pallide, e frementi le sue carni; forse pensò che era meglio, finchè gli era concesso, vivere ne la vita come in un sogno perchè così più si avvicina al sonno de la morte; forse lo vinse amore de la sua vita passata, forse chi sa, dinanzi a la inesorabile Morte gli parve che tanto valesse conoscere il vero come vivere ne l’errore, o, forse, meglio questo mirabile errore, gettato come disfida e ribellione de l’uomo contro la fatalità de le cose: fonte perenne di valore e di eroica bontà.
⁂
Vero è che G. Giacomo non disse le magiche parole al figliuolo, e questi non balzò dal suo letto, non s’armò per la battaglia, non abbandonò la sua casa, ma visse in quella come era vissuto suo padre, visse coltivando la terra e ben profondo immergendo l’aratro nel suo misterioso seno che sotto i morti raccoglie e su fa rifiorire l’odoroso frutto de la vite e de la spica: così tu pure, o mite lume de la Madonna, ardesti intatto tutta quella notte e molte altre ancora; e la Madonna, soave bambola mistica, simbolo vano, che pur diventa realtà per le secolari lagrime umane di cui si pasce, e che ella trasmuta nel fiore de la speranza, la Madonna sorrise ancora radiante e vincitrice da la sua tela.
⁂
Lo spirito doloroso di G. Giacomo ritornò ne la sua tomba; e intanto per la cilestre distesa del mare si levava il fremito del vento che precede l’aurora: le acque s’increspavano rabbrividendo a l’appressarsi del sole; il quale sorgeva, fresco come lo sposo dal suo letto; il sole che, come canta l’antico poeta, impone il giogo ai buoi e chiama gli uomini a le semplici e liete opere de la vita.
ΤΈΛΟΣ.