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Così moriva un giorno G. Giacomo, cavaliere egli pure de la fede; anch’egli abbandonato, perchè solitario e sdegnoso ne la modernità; e le mani scarne erano abbrancate ad una grossa croce, su cui stava inchiodato un Cristo. Le pupille, già ottenebrate da l’ombra de la morte, si fissavano in alto come a scrutare la via che l’anima avrebbe fra poco percorsa per giungere a Dio, suo principio e sua fine.
Egli morì. Era l’ora che i buoi tornano a le stalle trascinando l’aratro, fumano le ville, e dai sommi monti cadono le tenebre.
E le tenebre gli si serrarono dattorno per sempre.
No: l’anima di G. Giacomo, sciolta da l’impaccio del corpo, non salì su per il bel sereno, ridente e trionfatrice de la materia; nè il regno di Dio dischiuse le sue porte luminose.
Quel vecchio e buon padre Iddio, nel cui seno sperarono di riscaldarsi quelli che ebbero freddo in questo lungo inverno de la vita; al cui cuore