Il libro dei morti/Capitolo IX

Capitolo IX

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CAPITOLO IX.


Come ritornò Fortebraccio, lieto di giovanezza e di vittoria, fra quella disfatta famiglia di Amleto! Egli simboleggiava quasi la vita la quale, lasciando dietro di sè vecchi errori e ruine, nuovamente risorge per correre a nuovi errori ed a future ruine.

Così fra quella gente morta ne la modernità fece ritorno Giorgio, figliuolo del medico Lorenzo, se ve ne ricordate. Era giovane già fatto, e sicuro di sè, del suo tempo, del suo sapere, fiducioso ne l’avvenire che gli s’apriva dinanzi; ed era venuto per vivere un po’ di tempo in campagna col babbo e ritrovare anche il suo vecchio benefattore ed amico G. Giacomo, così che sovente si trovavano [p. 186 modifica]assieme a conversare o a far merenda da qualche contadino.

Fra i molti ragionamenti che ebbero, uno ve ne fu che vuol pur essere riferito.

Una volta dunque — ed era un luminoso e riposato vespero di maggio; ne l’aria cheta si stendeva l’olezzo fresco de le fave e del trifoglio fiorito sì che attorno ne rosseggiavano i campi, — o G. Giacomo — disse il giovane, e avea posato affettuosamente il braccio su la spalla del vecchio — io ti conobbi in altri tempi e tu eri lieto in questa tua buona solitudine dei campi dove sei sempre vissuto. Ora, da quando sono qui, io ti vedo triste e spesso te ne vai come smemorato. Che hai tu? che ti affligge? —

— Vedi, figliuolo, la ragione è che in questo mondo, quale si è fatto oggi in così poco tempo, io non mi ci trovo più, e vi sono come smarrito. È tutta una ruina d’attorno a me: non si crede più in nulla, non c’è più senso di pietà, non religione, ed anche la parola di patria, per cui il padre tuo combattè, più non s’ode: la morale ed i costumi dei nostri tempi sono trascurati o avuti in conto di [p. 187 modifica]errore. Molte azioni che una volta erano lodate come buone, oggi sono o derise o condannate; e molte che noi condannavamo, vengono ritenute come savie ed accorte.

È come un temporale che sorge, e l’ombra si stende anche su questi miei campi, e il sole mi si scolora e quasi mi pare che la terra non sia più così lieta e fiorita come una volta e questa nuova età abbia perduta la sua primavera.

Anch’io — aggiunse tristamente sorridendo — dirò col poeta: ipsae rursus concedite silvae. Ma non è per me, ma per quel mio figliuolo che mi affliggo.

Tu lo vedi; egli era stato allevato perchè vivesse una vita come fu la mia: qui passare i suoi anni con bella figliuolanza d’attorno, lavorare nei campi, vivere ne la mia casa.

Il suo corpo, un giorno, avrebbe riposato presso il mio, lassù (e indicava il cimitero su l’alto del colle, il cimitero solatio e solitario dai cipressi grandi che si scagliano al cielo).

Don Leonzio mi disse che la religione comanda di non amare le cose terrene, perchè l’animo è [p. 188 modifica]dilaniato quando le perde; ma dimmi: perchè non dobbiamo noi amare questa vita e questo mondo che sono pur così belli? dove è che Dio ha detto di affliggerci in terra per essere beati in cielo?

Ora tutto è mutato, vedi! Il turbine di questo nuovo tempo che mi freme dattorno, giungerà fino a questa villa e l’abbatterà e prenderà il mio figliuolo tra i suoi vortici, senza che egli neppure se ne avveda, e lo porterà lontano fra l’infinita miseria de la nuova battaglia umana. Egli è giovane semplice, mite e dolce di cuore. Ora Cristo a gli uomini semplici ha promesso il regno dei cieli; ma io, per quello che ho visto, ti dico che ne la vita quale essa è oggidì, gli uomini semplici è molto se avranno da sfamarsi. —

— Certo è che — rispose il giovane — perchè il carnivoro viva, bisogna bene che l’erbivoro muoia; e perchè possa allevare i suoi nati, bisogna che privi de’ loro parenti gli animali più deboli.

Questa è la legge che governa quanti animali vivono sotto il sole; ma legge benefica, perchè tende ad aumentare il benessere de la specie, favorendo il moltiplicarsi de gli individui più forti e felici [p. 189 modifica]ed impedendo quello dei più deboli e dei meno felici. —

— Disse G. Giacomo: — Ma i più forti ed i più felici saranno forse i più buoni? —

— Ecco vedi — rispose il giovane — una di quelle parole su le quali non sarà facile l’intenderci. Secondo natura, o G. Giacomo, sono buoni quegli uomini le cui azioni sono adatte al loro fine; e primo quello di conservare l’individuo e procacciare tutti quei beni che rendono gradita l’esistenza, secondo garantire ed elevare fortemente la prole, in fine raggiungere questo duplice scopo senza impedire che pure altri, forniti di pari forze ed attitudini vi pervengano, anzi aiutarli, per modo che le congiunte energie valgano ad assicurare il benessere di una società nuova, senza errori del passato, sicura del suo tempo e de le sue forze, fiduciosa ne l’avvenire. —

Disse G. Giacomo:

— E le povere madri solitarie che pregano e chiamano i figliuoli morti, e i vecchi rimasti soli ne la vita, per cui una parola d’affetto è più cara che un raggio di sole, e i giovani nel cui occhio [p. 190 modifica]mite tu leggi una disposizione al sogno e a l’abbandono, e quelle anime fragili e delicate che il rude contatto de la folla umana offende sì che anteporrebbero di morire piuttosto che entrare con essa in battaglia, e, infine, tutto l’esercito di coloro che la sventura o la natura ha colpito, tu non li conti? dove andranno essi? e chi sono per te? Per me sono i buoni.

Ma più buoni sono quelli che soffrono, che piangono al pianto de gli altri, che non hanno fatto cadere una lagrima dal ciglio del loro padre e de la loro madre; quelli che vivono semplici, ignorati, modesti; quelli che si accontentano de la minestra e danno la pietanza a gli altri; che sfuggono ogni intemperanza del senso; che pure essendo forti amano di sacrificarsi a gli altri, piuttosto che sacrificare gli altri al proprio bene; e questo non solo perchè lo vuole Dio e ci ha promesso un premio; ma anche perchè corrisponde ad un non so che di eroico che non certo è in tutti gli animali che vanno sotto il sole, eppure un tempo si credeva conforme a la natura umana. —

— O uomo semplice — rispose sorridendo [p. 191 modifica]il giovane, — molti di quelli che tu hai chiamato buoni non sono per me e per la scienza che de gli infelici o de gli ammalati di spirito; ed è loro sorte perire presto e far posto a gli altri. —

— Ma sai tu dirmi — domandò il vecchio — quale è la cagione prima di questo mutato modo di giudicare? —

Rispose: — Hai tu letto Plutarco? Egli narra, non so in che punto, che veleggiando una nave per l’Egeo, si udì ne la tranquillità del tramonto una voce che diceva: «Il dio Pan è morto!» Così io ti dirò che, secondo una nuova e più precisa conoscenza de le origini e de lo svolgersi de la vita, il tuo vecchio Dio è stato detronizzato come un re in esiglio, sbarazzato da la fatica de la creazione, e che per la scienza di certe leggi immutabili, è stato anche sgravato de la cura di governare il mondo. Si scrutò il cielo, ma il regno di Dio non si è trovato; così pure si studiò il corpo umano, ma l’anima è sfuggita a l’analisi: si sono invece scoperte sicure leggi, per cui da la materia stessa si originano quei moti e quei [p. 192 modifica]sentimenti che un tempo erano attribuiti ad una forza immateriale e misteriosa. —

Il vecchio non rispose, come quegli in cui la fede era troppo viva per discutere simile proposito, ma chinò tristamente il capo, e il giovane proseguì:

— Ora movendo da questi principi positivi de la scienza, ne segue che la vecchia morale deve essere modificata, ed anche i rapporti sociali, economici e politici subiranno di necessità un mutamento sostanziale. Che se alcuni filosofi sentimentali, come già fu dei neo-platonici, vogliono conciliare assieme queste nuove idee de l’evoluzione con le antiche de la creazione, ciò si potrà accettare come un fenomeno storico e come un mezzo che la coscienza escogita per rendersi più agevole il passaggio; come anche la tua religione nel dogma ha un valore, ed è bene che rimanga, almeno finchè l’esatta religione de la scienza non sia maturata ne gli animi. Ciò non toglie che siate ne l’errore e nel falso. E questi tentativi stessi di conciliazione fra il nuovo e l’antico, questa tristezza che tu provi, non ti fanno capire che [p. 193 modifica]il vecchio edificio è minato ne le sue intime basi? —

— Io non ti posso dare nè ragione nè torto, perchè io non ho studiato tanto; ma dimmi, queste belle cose te le hanno insegnate i tuoi maestri? Fortuna che non ci mandai il mio figliuolo! O le hai imparate ne’ tuoi viaggi in terra di Germania? Allora se vi ritorni, di’ a loro che noi, con il nostro sole e con i nostri bei campi e il nostro mare (guardalo laggiù come splende), potevamo vivere bene lo stesso, e che se le potevano tener per loro quelle idee! —

Il giovane sorrideva e l’altro continuò nel suo pensiero dominante:

— Dunque anche tu sei convinto che il figlio mio o i figli di lui non potranno condurre la vita che io vissi? —

— Così io penso, ma non sarà il turbine de la modernità, come tu hai detto, che li strapperà di qui; ma saranno essi medesimi che entreranno buoni o volenterosi combattenti in mezzo a gli uomini del nostro tempo, a la conquista di beni più veri e sicuri che la tua fede e l’ozio de’ tuoi campi. — [p. 194 modifica]

— E credi tu che allora si potrà ottenere un bene maggiore, o, se più ti piace, un dolore minore? —

— Non credo, ma ne sono certo, giacchè la scienza indistruttibile, non arrestabile, fatalmente progressiva nel suo cammino, ed applicata, come oggi è, ad ogni manifestazione de la vita, ha in sè tale forza ingenita da costringere gli uomini ad assurgere quando che sia ad un tipo umano consentaneo ad essa, cioè infinitamente più elevato di quello che oggi non sia. —

— Ma non ti pare che il principio dia a credere il contrario? — disse con tristezza G. Giacomo — ma guardati attorno e dimmi se leggendo la storia dei tempi trascorsi, ti è mai avvenuto di abbatterti in un’età in cui la contraddizione, il turbamento e l’errore (per non dire altro) siano stati in maggior grado che oggi; in cui, a nome di non so quale libertà, la tirannia sia stata più dura, giacchè non solo le ricchezze vive de la nazione, come le terre, i prodotti; ma anche i commerci, le industrie, e soprattutto ciò che pare meno soggetto altrui, cioè l’intelligenza, si vanno [p. 195 modifica]di mano in mano infeudando a non so quale prepotente ed invisibile forza che tutto domina come un mostruoso braccio d’acciaio di una macchina, nascosta e quasi sepolta entro terra, moveva a furia infiniti ordigni in un opificio che io vidi, e teneva a sè avvinti centinaia di lavoratori.

Hanno avuto il coraggio di abbattere e poi di schernire tutto ciò in cui noi de la vecchia generazione credevamo come cose belle e buone: non più religione, non più legami indissolubili de la famiglia, non più onore a le opere libere e liete de l’ingegno o de l’arte; anche la rigidezza del carattere, anche l’eroismo per la patria, le tradizioni e la fede del tuo vecchio padre sono oramai derise; e vedi costoro che si vantano di essersi liberati da questi errori del passato (come li chiamano) e da la schiavitù di Dio, con quanta grazia si assoggettino poi a la schiavitù de gli uomini e di pregiudizi e vanità nuove ed inconcepibili.

Oh io pure piango e vorrei combattere per la libertà, ma una libertà più lieta ed umana! —

— G. Giacomo — disse il giovane — ne le tue parole si sente piuttosto il dolore che il sereno [p. 196 modifica]giudizio de l’uomo savio. Ora sappi che i fatti umani non si debbono giudicare, per ben giudicare, dal momento che si attraversa, ma con più ampia e profonda comprensione, e mirando più che al presente, a l’avvenire; ed allora quei mali che così ne rattristano, ci parranno inerenti ad un dato e necessario ordine di fatti e di idee, le quali debbono seguire il loro corso: al fanatico, qualunque esso sia, io concedo pure la speranza vana o di affrettarne l’andare o di voler ricondurre le acque verso la sorgente, ma a l’uomo superiore spetta di ben considerare tutti i vari fenomeni sociali, morali e politici del suo tempo: e, per quanto sia convinto che ben poco egli potrà fare, tuttavia capirà che è suo dovere persistere ne l’illuminare e rivolgere a scopo di bene le forze che ha sotto mano, e ciò con l’energia del filantropo e con la serenità del filosofo. Così pensando, io trovo naturale e logico quello che avviene ancorchè sia triste perchè so quali ne furono le cause e so quale è l’avvenire migliore che ci attende. —

— E sia pure; ma non soffri tu — domandò il vecchio — non soffri tu a vedere tramontare e [p. 197 modifica]cadere tanti dolci affetti, tante gentili e buone costumanze in cui credevano i nostri antichi? E pur supponendo che il futuro possa essere migliore de l’oggi, e il male generare il bene, che importa per questo quando è ne l’oggi e nel male che ci conviene di vivere? —

Rispose sorridendo il giovane: — Voi, credenti nel regno di Dio, giudicate questa vita come vana e passeggera e avete fede in quella che godrete lassù: ebbene anche noi abbiamo la nostra fede, perchè sentiamo di formar parte di questa infinita, eterna a meravigliosa materia; e ne la conoscenza de le sue leggi e ne la ricerca spassionata del vero troviamo un piacere se non lo stesso, certo forte come quello che voi provate ribellandovi col concepire un effimero e fantastico regno di Dio; ma parimenti come voi, per salire ben ispediti su per il bel sereno, avete scritto ne le vostre leggi che non conviene essere gravi de gli affetti terreni, così sappi che anche noi, che riponiamo ogni bene su la terra, dobbiamo non essere di troppo affezionati a l’antico, ma solo considerarlo in quanto è esso pure un fatto necessario finchè il nuovo non [p. 198 modifica]sia pronto; e ancorchè ci sanguini il cuore, conviene vincere ogni sentimentalità, altrimenti non si andrà mai sicuri per la via de l’avvenire.

Venendo poi al caso presente di cui tu ti duoli, la ragione è che tu a la fine de la tua vita ti sei trovato quasi improvvisamente al tempo de le demolizioni, e quali demolizioni! Queste vecchie mura del regno pontificio vi tenevano rinchiusi ne la loro cerchia; gli altri ne l’errore multiforme del passato; te, o povero amico, in questa dolce, onesta, ma obliosa solitudine dei campi e in uno stato di vita che potrebbe essere desiderabile ed invidiato, se tale pace fosse compatibile con l’indole de l’uomo. La rivoluzione politica fu il fatto occasionale che abbattè quelle mura; se quella fosse mancata, credi che sarebbero cadute lo stesso per decrepitezza, ma, più probabilmente, per l’impeto de l’atmosfera esterna. Comunque sia la breccia fu aperta e l’aria, satura di novità, di verità, di ribellione vi è entrata a torrenti.

Ti meravigli tu di quello che avviene? Certo che è doloroso veder cedere i puntelli de l’edificio antico quando ancor vi si abita e quando il nuovo [p. 199 modifica]non è pronto. È il tempo de le ruine, non te lo nego, e molte ruine grondano sangue.

Ma quando una casa deve fatalmente essere abbattuta, chi non sa che oltre a le mura e a le porte fracide può, per avventura, essere minato qualche buon dipinto su le pareti o qualche modanatura fatta con arte?

E non v’è dubbio che, almeno per il nostro paese, con il livello medio de la coltura e del carattere, il diffondersi de le idee naturali è prematuro; ed una prova tu la ottieni osservando come lo scetticismo abbia preceduto la scienza, e, caduto il vecchio dogma de la fede e de la morale teologica, le coscienze incapaci di guidarsi di per sè, domandino ad una scienza da strapazzo nuovi dogmi che siano guida di condotta.

Eppure, perchè non te lo dirò io? Questo scetticismo che così ti affligge ed invero rattrista, ha esso pure la sua missione. Ed ecco come: l’umanità ha oscillato per secoli ne l’errore; oggi solo è al possesso del vero, e per questo vero, triste o lieto che sia, dovrà fatalmente andare. Ma questa novissima via bisogna che sia sgombra di tutti gli [p. 200 modifica]impedimenti antichi; grondi sangue al tuo cuore, o G. Giacomo, ma tutto ciò che ci congiunge al passato deve essere distrutto. Ebbene lo scetticismo è il gran distruttore; esso lavora ad apparecchiare il terreno neutro, il luogo puro su cui sorgerà l’edificio del tempo a venire. —

— Cadrà dunque anche il dolce amore di patria, per cui il padre tuo pianse e combattè? anche il sacro legame de la famiglia, per cui tua madre fu sposa così pia e dolorosa e tu ne nascesti ed ella morì? —

— Anche, G. Giacomo, in quanto quegli affetti contengono una morbosa sentimentalità repugnante a la pura e fredda ragione. Ma credi che altra patria, altra famiglia ci si apparecchia ne l’avvenire. A questo rivolgi il pensiero e credi anche che quel ferro che uccide, quel ferro stesso sana; perchè coloro che oggi si valgono dei materiali progressi de la scienza solo per opprimere con nuova ed ipocrita forma di schiavitù, cadranno sotto la ribellione di quelli stessi che radunarono al proprio servaggio; e lo scetticismo che distrugge tutto quello in che voi credete, o buoni sognatori [p. 201 modifica]del regno di Dio, distruggerà infine i distruttori stessi, giacchè solo con la fede si edifica. Ma sorga alfine un’età in cui gli uomini possano vivere ne la piena beatitudine de l’essere, come è loro diritto, senza mendicare a continui errori ed a vani sogni un bene contrario a la verità ed a la ragione: noi che combattemmo periamo pure dimenticati, purchè resti in piedi il vessillo ed il fato si compia! —

E a la fine de le sue parole, dette con voce in cui fremeva un occulto e doloroso entusiasmo, il vecchio levò le braccia e amorosamente le avrebbe voluto posare su le spalle del giovane, ma questi se ne allontanò bruscamente, salutò e si partì; e G. Giacomo, rimasto solo, lo seguì alquanto con lo sguardo finchè lo perdette di vista, e seguendolo, crollò il capo e mormorò:

— Anche tu che hai studiato, sei un sognatore. Povero giovane! —

Poi si avviò verso casa.

Antica e stanca sorgeva la luna; e i campi, odorosi per le biade fiorite, si confondevano ne l’oscurità crescente. [p. 202 modifica]

Attraversò l’aia, salì le scale de la sua casa; la cena era già pronta e la tavola fumava di buone vivande e la stanza luceva. La moglie ed il figliuolo gli ragionarono de le cose de l’azienda domestica: le giovenche erano pregne; domani lui, il figliuolo, sarebbe andato a la fiera del villaggio vicino. Non era forse bene vendere le giovenche pregne? Avrebbe comperato due poderosi buoi per ben frangere i maggeni per l’aratura.