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Le piante lo riconoscevano e gli cantavano la loro canzone, ma lo spirito di G. Giacomo s’affrettava di giungere e andava veloce chè veloci vanno i morti, come dice la vecchia ballata; e andando, molte cose e queste fra le altre pensava:

— O figlio, figlio de le mie carni e de la mia anima, caro in vita e più caro giù ne la morte, se, da quando tua madre ed io ti vegliavamo ne la culla, da quando seguivamo i tuoi primi passi (e tu crescevi fiorente di forza e di virtù ne la vita), se dai nostri occhi si trasfuse ne l’anima tua quest’anima nostra imbelle, io te la strapperò dal petto. Me ne ha dato potere la Morte.

O figliuolo! quegli occhi tuoi, miti di bontà e di fede, certo si sono rispecchiati nei nostri, di me e de la tua semplice madre, chè per lunghe notti, per lunghe ore noi ti fissavamo e con sì grande intensità d’amore che le pupille quasi ci si riempivano di pianto!

Ora io mi levai dal mio letto eterno del cimitero, gelido e buio, io vengo ne la notte e per l’inverno in questa casa, per te; per dissipare quella tenebra di semplicità e di fede che è ne l’anima tua.