Il guarany/Parte Prima/Capitolo VII

Parte Prima - VII. La preghiera

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Prima - VII. La preghiera
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CAPITOLO VII.


LA PREGHIERA.

Il giorno andava morendo.

Il sole abbassandosi sull’orizzonte quasi adagiavasi sopra le grandi foreste, che illuminava de’ suoi ultimi raggi.

La luce debole e soave dell’occaso, versandosi su quel verde tappeto, increspavasi in onde di oro e di porpora sopra gli alberi frondeggianti.

I cardi silvestri schiudevano i loro fiori bianchi e dilicati; e l’oricory apriva le sue palme più recenti, per accogliere nel calice la rugiada della notte.

Gli animali più serotini andavano in cerca delle loro dimore; e la jurity, chiamando la compagna, mandava que’ gorgheggi dolci e soavi con cui si congeda dal giorno.

Un concerto di note gravi salutava il tramonto [p. 60 modifica]del sole, e confondeasi col rumore della cascata, che sembrava frenare l’asprezza della sua caduta e cedere alla dolce influenza della sera.

Era l’avemaria.

Come è solenne e grave nel mezzo dei nostri boschi l’ora misteriosa del crepuscolo, in cui la natura si prostra ai piedi del Creatore per mormorare una prece notturna!

Quelle grandi ombre di alberi che si stendono sul piano; quelle infinite gradazioni di luce pe’ dirupati delle montagne; que’ raggi smarriti, che trapassando il fitto seno delle frondi, vanno a scherzare un istante sul terreno; tutto ciò respira una poesia immensa, che riempie l’anima di meraviglia.

L’urutao nel fondo della foresta manda le sue note gravi e sonore, che rimbombando per le lunghe chiostre delle boscaglie, vanno ad eccheggiare in lontananza come il tocco lento e posato dell’angelus.

Le aurette aleggiando intorno ai ventagli più elevati degli alberi, traggono fuori un debol susurro, che sembra l’ultimo eco dei rumori del giorno, e l’estremo sospiro del vespro che muore.

Tutte le persone riunite sullo spianato sentivano più o meno l’impressione potente di quest’ora solenne e cedevano involontariamente a quel sentimento vago che non è tristezza, ma un certo rispetto frammisto a timore.

D’improvviso i suoni malinconici di una trombetta si diffusero per l’aria, rompendo il concento [p. 61 modifica]della sera; era uno degli avventurieri che suonava l’avemaria.

Tutti si scoprirono il capo.

Don Antonio de Mariz, avanzandosi fino all’orlo dello spianato dal lato dell’occaso, si cavò il cappello e s’inginocchiò.

Intorno a lui vennero ad aggrupparsi sua moglie, le due fanciulle, Alvaro e don Diego; gli avventurieri, formando un grand’arco di circolo, prostraronsi ad alcuni passi di distanza.

Il sole col suo ultimo riflesso rischiarava la barba e i capelli argentei del vecchio fidalgo, e rilevava la bellezza di quel busto di antico cavaliere.

Era ad un tempo una scena semplice e maestosa, quella che era rappresentata da questa preghiera mezzo cristiana e mezzo selvaggia; da tutti quei visi, illuminati dai raggi dell’occaso, spirava un sacro rispetto.

Loredano fu il solo che conservò il suo sorriso sdegnoso, e seguiva collo stesso sguardo torvo ogni minimo moto di Alvaro, inginocchiato da presso a Cecilia e rapito in contemplarla, come se ella fosse la divinità cui dirigeva la sua prece.

Nel tempo che il re della luce, sospeso sull’orizzonte, gettava ancora uno sguardo sopra la terra, tutti si concentrarono in un profondo raccoglimento, e dicevano un’orazione muta, che appena agitava impercettibilmente le loro labbra.

Alla fine il sole si nascose: Ayres Gomes stese [p. 62 modifica]il moschetto sopra l’abisso, e con un colpo salutò il tramonto.

Era notte.

Tutti si alzarono; gli avventurieri, fatto il saluto, presero a ritirarsi poco a poco.

Cecilia offerse la fronte al bacio di suo padre e di sua madre, e fece una graziosa riverenza a suo fratello e ad Alvaro.

Isabella sfiorò colle labbra la mano di suo zio, e inchinossi in faccia di donna Lauriana, per ricevere una benedizione lanciata col sussiego e l’alterigia di un abbate.

Dipoi la famiglia, raccoltasi vicino alla porta, si dispose a passare una di quelle corte serate, che precedevano altre volte la semplice ma succolenta cena.

Alvaro, per essere quello il primo dì del suo arrivo, fu invitato dal vecchio fidalgo a prender parte a quella refezione di famiglia, gentilezza che fu da lui accolta come un immenso favore.

Ciò che spiegava quell’aggradimento e quel valore dato a un convito tanto semplice, era il regime casalingo, che donna Lauriana avea stabilito nella sua abitazione.

Gli avventurieri e i loro capi viveano in una parte della casa separata affatto dalla famiglia; durante il dì correano i boschi, e si occupavano nella caccia o in vari lavori di cordami e di tarsia.

Era soltanto nell’ora della preghiera che riunivansi un momento sullo spianato, ove pure recavansi, quando il tempo era buono, le signore per fare l’orazione della sera. [p. 63 modifica]

Quanto alla famiglia, teneasi questa nel corso della settimana sempre ritirata nell’interno della casa; la domenica era consacrata al riposo, alla distrazione e all’allegria; allora seguiva qualche sollazzo straordinario, come un passeggio, una partita di caccia o un barcheggio sul fiume.

Da ciò si capisce la ragione perchè Alvaro avesse tanto desiderio, come dicea Loredano, di arrivare al Paquequer in giorno di sabbato, e prima delle sei; il giovane sognava la buona ventura di quei corti istanti di contemplazione, e la libertà della domenica, che forse gli fornirebbe l’occasione di arrischiare una parola.

Formatosi il crocchio della famiglia, la conversazione appiccossi tra don Antonio de Mariz, Alvaro e donna Lauriana; Diego si teneva un poco appartato; le fanciulle, timide, ascoltavano, e quasi mai osavano pronunciare una parola senza esserne richieste direttamente, il che accadeva ben di rado.

Alvaro, desioso di udire la voce dolce e argentina di Cecilia, di cui avea gran voglia pel lungo tempo passato senza sentirla, studiò un pretesto che la chiamasse alla conversazione.

— Dimenticava di contarvi, signor don Antonio, diss’egli giovandosi d’una pausa, uno degli accidenti del nostro viaggio.

— Quale? Sentiamo; rispose il fidalgo.

— A un quattro leghe di qui incontrammo Pery.

— Alla buon’ora! disse Cecilia; sono due giorni che non abbiamo nuove di lui. [p. 64 modifica]

— Nulla di più naturale, replicò il fidalgo; egli corre tutto questo deserto.

— Sì! riprese Alvaro, ma il modo come lo incontrammo, non vi parrà tanto semplice.

— Che facea dunque?

— Trastullavasi con una tigre, come voi col vostro capriolo, donna Cecilia.

— Dio mio! sclamò la fanciulla mettendo un grido.

— Che hai, figlia mia? dimandò donna Lauriana.

— Temo che a quest’ora egli sia morto, madre mia.

— Non si perde gran cosa, rispose la signora.

— Ma io sarei la causa della sua morte!

— Come ciò, figlia mia? disse don Antonio.

— Ecco, rispose Cecilia, asciugandosi le lagrime che le spuntarono sugli occhi; conversava i giorni scorsi con Isabella, e parlando di tigri, di cui ella avea gran paura, dissi scherzando, che avrei avuto desiderio di vederne una viva!...

— E Pery andò in busca di uno di questi animali per soddisfarti; replicò il fidalgo sorridendo. Non ci è di che meravigliarsi. Ne ha già fatto delle più grosse.

— Ma, padre mio, cotesta è cosa che si possa fare! La tigre deve averlo ucciso.

— Non vi affannate, donna Cecilia; egli saprà trarsi di pericolo.

— E voi, signor Alvaro, perchè non lo aiutaste a difendersi? disse la fanciulla risentitamente. [p. 65 modifica]

— Oh! se aveste veduto la rabbia da cui fu preso, allorchè facemmo segno di trarre sopra l’animale!

E il giovane raccontò parte della scena passata nella foresta, e che già descrivemmo.

— Non ci ha dubbio, disse don Antonio de Mariz; nella sua cieca devozione per Cecilia volle appagarne il desiderio anche a rischio della propria vita. Per me il carattere di questo Indiano è una delle cose più mirabili, che incontrai in questa regione. Dal primo dì che entrò in questa casa salvando mia figlia, la sua vita è stata un atto continuo di annegazione e di eroismo. Credetemi, Alvaro, è un cavaliere portoghese nel corpo di un selvaggio.

La conversazione continuò; ma Cecilia rimase mesta, e non vi prese più parte.

Donna Lauriana si ritirò per dare i suoi ordini; il vecchio fidalgo e il giovane conversarono fino alle otto, al qual punto il tocco di una squilla sulla piazzetta della casa venne ad annunziare la cena.

Nell’atto che gli altri salivano i gradini della porta ed entravano nell’abitazione, Alvaro trovò modo di scambiare alcune parole con Cecilia.

— Non mi chiedete di quello che mi ordinaste, donna Cecilia? diss’egli a mezza voce.

— Ah! sì! recaste tutte le cose che vi commisi?

— Tutte; e più ancora... disse il giovane balbettando.

— Che cosa è questo più? domandò Cecilia. [p. 66 modifica]

— Una cosa che non mi chiedeste.

— Questa non la voglio! rispose la fanciulla con un po’ di severità.

— Non vi appartiene già? replicò egli timidamente.

— Non capisco. È una cosa che già mi appartiene, dite?

— Sì; perchè è una vostra memoria.

— In questo caso guardatela, signor Alvaro, diss’ella sorridendo, e tenetene ben conto.

E involandosi, raggiunse suo padre; e alla presenza di lui ricevette da Alvaro una piccola cassettina, che il giovane fece recare, e che conteneva le sue commissioni.

Consistevano queste in fili di perle, merletti di lino, frangie d’oro, nastri, tele d’Olanda e un bel paio di pistole lavorate con molt’arte.

Vedendo quelle armi, la fanciulla mise fuori un sospiro represso, e seco mormorò:

— Mio povero Pery! Forse più non ti gioveranno per difenderti.

La cena fu lunga, con pause, com’era usanza in que’ tempi, in cui il pasto era un’occupazione seria, e la mensa un altare che si rispettava.

Durante la medesima Alvaro fu triste pel rifiuto della fanciulla al modesto presente, che le avea recato con tanto amore e con tanta speranza.

Come tosto suo padre si tolse da tavola, Cecilia si ritirò nella sua camera, e inginocchiata avanti un crocifisso fece un’ardente orazione.

Alzatasi poscia, sollevò un lembo delle cortine [p. 67 modifica]della finestra, e guardò la capanna che ergevasi sulla punta della roccia, ed era deserta e solitaria.

Sentivasi il cuore chiuso all’idea di essere stata per uno scherzo causa della morte di quell’amico devoto, che aveale salva la vita, e che arrischiava tuttodì la sua unicamente per farla sorridere.

Tutto in quella camera le parlava di lui; i suoi uccelli, i suoi due amici che dormivano, uno nel suo nido e l’altro sopra il tappeto; le penne che servivanle di ornamento, le pelli degli animali che i suoi piè premevano, il profumo soave di belzuino che ella respirava; tutto era venuto dall’Indiano, che, come un poeta o un artista, pareva creare attorno di lei un piccolo tempio delle cose più eccellenti della natura brasiliana.

Rimase così a guardar buona pezza dalla finestra: in quel momento neppur si ricordava di Alvaro; il giovane ed elegante cavaliere, tanto gentile, tanto timido, che arrossiva avanti di lei, com’ella avanti di lui.

D’improvviso la fanciulla trasalì.

Alla luce delle stelle vide passare una forma d’uomo, che riconobbe alla bianchezza della tunica di cotone, e alle forme svelte del suo corpo; quando entrò nella capanna, non le restò più il minimo dubbio.

Era Pery.

Si sentì alleggerita da un gran peso: e potè allora abbandonarsi al piacere di esaminare uno per uno, con tutta l’attenzione, i begli oggetti che avea ricevuti, e che le causarono un vivo piacere. [p. 68 modifica]

In questo occupò non meno di mezz’ora; dipoi andò a letto, e come scevra d’ogni inquietudine e tristezza, addormentossi sorridendo all’immagine d’Alvaro, e pensando all’affanno datogli col ricusare il suo presente.