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del sole, e confondeasi col rumore della cascata, che sembrava frenare l’asprezza della sua caduta e cedere alla dolce influenza della sera.
Era l’avemaria.
Come è solenne e grave nel mezzo dei nostri boschi l’ora misteriosa del crepuscolo, in cui la natura si prostra ai piedi del Creatore per mormorare una prece notturna!
Quelle grandi ombre di alberi che si stendono sul piano; quelle infinite gradazioni di luce pe’ dirupati delle montagne; que’ raggi smarriti, che trapassando il fitto seno delle frondi, vanno a scherzare un istante sul terreno; tutto ciò respira una poesia immensa, che riempie l’anima di meraviglia.
L’urutao nel fondo della foresta manda le sue note gravi e sonore, che rimbombando per le lunghe chiostre delle boscaglie, vanno ad eccheggiare in lontananza come il tocco lento e posato dell’angelus.
Le aurette aleggiando intorno ai ventagli più elevati degli alberi, traggono fuori un debol susurro, che sembra l’ultimo eco dei rumori del giorno, e l’estremo sospiro del vespro che muore.
Tutte le persone riunite sullo spianato sentivano più o meno l’impressione potente di quest’ora solenne e cedevano involontariamente a quel sentimento vago che non è tristezza, ma un certo rispetto frammisto a timore.
D’improvviso i suoni malinconici di una trombetta si diffusero per l’aria, rompendo il concento