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della sera; era uno degli avventurieri che suonava l’avemaria.
Tutti si scoprirono il capo.
Don Antonio de Mariz, avanzandosi fino all’orlo dello spianato dal lato dell’occaso, si cavò il cappello e s’inginocchiò.
Intorno a lui vennero ad aggrupparsi sua moglie, le due fanciulle, Alvaro e don Diego; gli avventurieri, formando un grand’arco di circolo, prostraronsi ad alcuni passi di distanza.
Il sole col suo ultimo riflesso rischiarava la barba e i capelli argentei del vecchio fidalgo, e rilevava la bellezza di quel busto di antico cavaliere.
Era ad un tempo una scena semplice e maestosa, quella che era rappresentata da questa preghiera mezzo cristiana e mezzo selvaggia; da tutti quei visi, illuminati dai raggi dell’occaso, spirava un sacro rispetto.
Loredano fu il solo che conservò il suo sorriso sdegnoso, e seguiva collo stesso sguardo torvo ogni minimo moto di Alvaro, inginocchiato da presso a Cecilia e rapito in contemplarla, come se ella fosse la divinità cui dirigeva la sua prece.
Nel tempo che il re della luce, sospeso sull’orizzonte, gettava ancora uno sguardo sopra la terra, tutti si concentrarono in un profondo raccoglimento, e dicevano un’orazione muta, che appena agitava impercettibilmente le loro labbra.
Alla fine il sole si nascose: Ayres Gomes stese