Il figlio di Grazia/XXIII
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XXIII.
Una mattina di gennaio, quando il paese, la valle tutta era come sprofondata nelle neve, Vincenzo ricevette una lettera da Torino. Era di un famoso alpinista ch’egli aveva accompagnato parecchie volte sulle cime più difficili, e ora gli scriveva ch’era stata combinata con alcuni scienziati un’escursione alpina per studiarvi la montagna nel cuore dell’inverno: misurar le temperature, prender fotografie de’ vari aspetti del monte, studiare la respirazione dell’uomo a quell’altezza, e far molte altre osservazioni interessanti....
Lasciamo a voi Vincenzo — diceva la lettera — di fare tutti i preparativi che occorrono, di procurare guide forti e sicure, e corde che non si rompano. Noi arriveremo quassù fra nove giorni. — «L’impresa non è facile,» pensò Vincenzo, «però non è impossibile: peccato che Natale non ci possa accompagnare! il suo braccio non è ancora servibile e per questa salita occorrono le zampe sane e molto forti.»
Fu un vero dolore anche per Natale di veder partire una fredda notte, la carovana, e di non poterla accompagnare. Anch’egli, come parecchi altri del paese, la seguirono per un tratto di strada, e quando dovettero lasciarla, un vecchio pratico della montagna disse colla voce tremolante: «Que’ dottori e que’ professori sono giovani e si capisce come siano imprudenti, ma Vincenzo che ha i peli grigi.... Basta! Dio gliela mandi buona!»
Grazia e Bernardo, quando videro rientrare il loro Natale gli sorrisero tutti e due coll’aria di dire: — questa volta sia benedetta la tua ferita che ti fa restare a casa — e mezz’ora dopo, quando Grazia versò ai suoi uomini un bicchiere di vino caldo, disse: «bevete alla salute di quelli che ora sono sulla montagna.» E molte altre donne pregarono Dio quella notte perchè i viaggiatori tornassero l’indomani sera sani e salvi.
Ma la sera venne e non tornarono: gli uomini del paese, il Curato, e le madri e le mogli delle guide partite, erano riuniti ad aspettarli nella gran cucina della locanda. Passavano le ore e nessuno arrivava.
«Prima di mezzanotte sono qui» disse Natale entrando. C’è una luna stupenda e ci si vede come di giorno.»
Le donne, che cominciavano a sentire un gran peso sul cuore, sollevarono i visi e sorrisero a quella voce che portava la sicurezza del ritorno.
Fecero seder Natale in mezzo ad esse e lo tempestarono di domande sulla difficoltà di certi passaggi, sui pericoli possibili, ma Natale non temeva nulla. «C’è Vincenzo» diceva «e quando c’è lui non si può temer nulla. È la guida più coraggiosa e più prudente d’Italia.»
Ma passò la mezzanotte ed erano ancora in attesa. Natale non parlò più e uscì fuori, incamminandosi su pel sentiero chiuso fra due muraglie di neve, incontro ai viaggiatori.
Arrivato a uno svolto, di dove si dominava un profondo vallone, si fermò.
Di lì si sarebbe potuta vedere la comitiva scendere dalla montagna, e Natale aguzzò gli occhi per distinguere le lanterne, aguzzò le orecchie, gridò a lunghi intervalli: ooop! ma nulla si vedeva, nessuna voce rispose. Il solenne, profondo silenzio era rotto soltanto a tratti da colpi che parevano, a quella lontananza, di fucili, ed erano il ghiacciaio che si spaccava, poi s’udivano rombi lunghi che venivano dall’alto, di valanghe che precipitavano.
Natale pensò: — la montagna questa notte si muove come se fosse primavera. Che Dio protegga i viaggiatori — e tornò indietro impensierito, non osando rientrare nella cucina perchè le donne non vedessero sul suo viso ch’egli era inquieto. Andò nella stalla della locanda.
Sonò il tocco, suonarono le due ore all’orologio del campanile. Nella cucina gli uomini discutevano, in piedi, presi dall’inquietudine; le donne singhiozzavano coi visi nei grembiali, ginocchioni davanti a un’immagine della Madonna che Dorina aveva illuminata di cerini. Il curato passeggiava su e giù, e ogni volta che passava accanto a quel gruppo desolato stendeva la mano su una di quelle teste e diceva con calma «non piangete ancora: un ritardo di qualche ora non vuol dire una disgrazia; coraggio, pregate, ma non piangete.»
L’uscio della cucina si spalancò e tutti si voltarono con una speranza sul volto: ma era Natale; Natale il quale disse con voce forte: «ho preparato tutto. Chi mi accompagna?»
Nel primo istante non compresero, poi s’udì un grido di spavento di Dorina, e subito dopo la voce del curato che disse: «C’era da aspettarselo! Bravo Natale: chi accompagna Natale che va a cercarli sulla montagna?»
Tre o quattro giovinotti e due uomini maturi si fecero innanzi. Natale, più alto di tutti, girò lo sguardo su gli altri uomini, e stendendo il braccio, disse con una voce che non ammetteva replica e uno sguardo che pareva passare da parte a parte un uomo: «E anche tu vieni!»
Tutti si voltarono, e dall’angolo dell’enorme camino videro rizzarsi la figura mingherlina di Nocente de’ Caprezzi. «Non sono mai stato sulla montagna» balbettò, ma non potè a meno di subire il fascino di quello sguardo, e si portò avanti, quasi senza volerlo.
«Ci anderai ora, se non sei un vigliacco!»
— Lo è, lo è — pensarono tutti, ricordandosi la sua paura di far il soldato, e s’aspettavano che rifiutasse. Ma capirono che Natale se lo voleva con sè, ve lo avrebbe trascinato se non avesse voluto, e si domandarono perchè mai ci teneva tanto d’aver un compagno così debole e così malpratico che invece di soccorrere, avrebbe forse avuto bisogno d’essere soccorso.
Gli altri uomini andarono a casa a mettersi le scarpe ferrate, ma Natale tenne con sè Nocente per paura che gli sfuggisse. Un quarto d’ora più tardi la squadra, armata di torcie, di picconi, di fiaschette di cognac e di coperte di lana, era pronta alla partenza nel cortile. Non avevano dimenticato una barella.
«Signor curato, li benedica!» disse una donna singhiozzando. Quegli uomini chinarono un ginocchio a terra sulla neve; soltanto Natale, chi sa perchè, rimase in piedi, col viso pallido illuminato dalla luna.
Il prete li benedisse, e alzò la mano e lo sguardo a ripetere la sua benedizione a quegli che avea ideato e dirigeva quella santa spedizione.
«Che Dio ti faccia la grazia di salvarli tutti, figlio mio!» disse colla voce commossa. «Ed Egli ti compensi di ciò che farai in queste ore per i tuoi simili.»
Lo sguardo di Natale si chinò e tutta la sua anima tremò di un’immensa felicità. Fece per rispondere, ma le sue labbra si aprirono invece a un ineffabile sorriso.
La voce dolcissima di Dorina disse per lui. «Così sia!» e a lui parve la voce della sua propria anima.
⁂
Camminarono dapprima in gruppo, su un nevaio, colle loro racchette legate sotto i piedi per non sprofondare troppo nella neve.
Natale, incamminandosi, aveva detto colla voce sommessa a Nocente. «Non allontanarti da me!» E Nocente aveva pensato con un brivido. — E finita! questa notte in un modo o nell’altro mi vuol buttare in un burrone — e si mise in una tasca, a portata della mano, il suo coltello.
Dopo quel campo di neve svoltarono nella valle in uno stretto sentiero dove non si poteva camminare che in fila. Natale aperse la marcia, mise dietro a sè Nocente, e gli altri dopo.
Nocente rise dentro di sè, pensando che in quel momento, se avesse voluto, era padrone lui della vita di Natale; e guardava quella larga schiena dove gli sarebbe stato facile piantare il coltello.
Piantarlo si, ma piantarlo non voleva dire uccidere quel gigante. Il gigante si sarebbe rivoltato, egli avrebbe tentato fuggire, ma dietro aveva tutti gli altri che lo afferrerebbero.... Nocente si senti un gran freddo correre per le ossa, e una voce dentro gli ripeteva; — ci sei, ci sei, ora la paghi, non c’è scampo! —
Camminavano tutti in silenzio, ma abbastanza sicuri perchè un sentiero, sebbene scomparso sotto la neve, c’era, si scorgeva, non si potea smarrirlo; ma ben presto lo smarrirono, e allora camminarono più prudenti, badando dove mettevano i piedi, tastando il terreno col bastone ferrato; i loro piedi affondavano ed erano costretti ogni tanto a levarsi le racchette piene di neve e scuoterle. Passarono vicino a un ultimo bosco di faggi, poi cominciò il cammino pericoloso. Avevano a destra una parete rocciosa ripidissima, a sinistra l’abisso: camminavano con precauzione; una nebbia scendeva giù dalle vette, insieme a un vento gelato che sibilava nelle orecchie; la luna s’era nascosta dietro una cresta e un leggero chiarore illuminava il cielo.
La voce di Nocente disse: «non posso più camminare: io non vedo niente, lasciatemi tornare indietro.» Una mano lo afferrò e lo sollevò: egli mandò un urlo e chiuse gli occhi: ma la mano non lo aveva abbandonato, lo depose di nuovo sul sentiero e la voce di Natale gli disse: «stammi davanti! indietro nessuno ritorna: apri la marcia!»
L’altro protestò di non conoscere la strada, ma la mano di ferro quasi lo portò innanzi di peso, e la voce severa gli soffiava nel collo parole che lo facevano rabbrividire: — Lo vedi? sei nelle mie man.! posso fare di te ciò che voglio. Mi insulterai ancora? Prova a insultarmi! —
Mi vuol trascinare più in alto — pensò Nocente — in qualche punto dove lui sa, poi mi precipiterà in fondo alla valle. —
Si fermarono a riprender fiato e scambiarsi i sacchi che portavano sulle spalle. Nocente con voce piagnulosa disse di non aver più forza di portare il suo, e Natale se lo caricò, poi lasciò passar avanti gli altri e rimase ultimo con lui.
È l’alba: spengono le lanterne e camminano di nuovo su un nevaio sprofondando fino al ginocchio: di lì si domina gran parte della montagna e Natale fa echeggiare la sua voce, sperando in una risposta, ma non gli rispondono che rombi di valanghe che ora vedono precipitare come una grossa nuvola di nevischio.
«Coraggio! bisogna salire fino alla capanna» dice Natale: «se non li troviamo là, allora perlustreremo la montagna.» E proseguono. Rasentano una parete di ghiaccio, superano una cresta dalla quale si dominano due abissi uno destra e l’altro a sinistra.
Il sole che spunta illumina la carovana, ma laggiù, a quella profondità di più di cento metri, non si scorge che buio.
Nocente non ha più sangue nelle vene, sente che la sua ultima ora s’avvicina; egli non osa alzare gli occhi in viso a Natale, a quel forte, stato sempre generoso con lui (ora lo riconosce nel fondo della sua coscienza) ma che ora rappresenta per lui l’inesorabile, l’inevitabile giustizia divina. Nocente non supplica, non trova nella sua gola serrata dall’agonia la forza di dire una parola, di pregare misericordia.
Egli, che nella sua cattiveria ha sempre sentito la sua debolezza e s’armava di essa per sentirsi forte, sa, sente, capisce di non poter fare più nulla.
Lassù, a quell’altezza, davanti a quell’immensa, solenne natura il senso di una forza superiore a tutti gli uomini, di una potenza eterna e misteriosa gli invade l’anima.
Il suo povero cervello così debole si turba, e Natale ora gli appare come l’angelo dalla spada di fuoco che Dio mandò ai primi uomini e ch’egli ritrova nella sua memoria; e gli cammina allato, non sa come, quasi portato da una mano invincibile che lo deve trascinare alla tomba di ghiaccio che lo aspetta.
Ora devono superare un’ultima cresta al di sopra della quale troveranno il ricovero alpino. È una specie di piramide ripidissima le cui pareti scendono in orribili precipizi.
I viaggiatori salgono con precauzioni infinite: un piede mal posato li può precipitare di qua o di là nel vuoto. Natale s’è messo ancora alla testa e scava colla sua scure dei gradini nel ghiaccio. Nocente che gli vien dopo sale dietro a lui e pensa: è lui che mi prepara la strada, lui che mi guida alla morte.
E proprio nello stesso momento, lo stesso pensiero balena a Natale e l’orrore che lo invade e quasi lo fa oscillare, è più forte di quello che prova la sua vittima.
Da qualche ora egli ha letto negli occhi smarriti di Nocente la sua paura, e mentre egli ha voluto trascinarlo con sè col sentimento generoso di farlo agire come tutti i galantuomi, di obbligarlo a sentire e a operare come gli altri, ora il pensiero di ciò ch’egli teme lo fa pensare a quella ignobile vita che riconosce finalmente la giustizia di una punizione.
Da qualche ora anch’egli cammina come in un sogno: non sapendo più se va a salvare degli uomini o a ucciderne uno: le due idee si urtano, si confondono nella sua testa; due sentimenti, uno di carità, l’altro di crudeltà, uno sublime, l’altro infame, cozzano nella sua coscienza e gli danno la sensazione d essere un altro uomo ch’egli non conosce, che lo esalta e gli fa paura nello stesso tempo.
Ogni momento Nocente mette il piede in fallo, barcolla, è preso da capogiro; ma la mano di Natale, istintivamente lo afferra, lo salva.
Eppure.... Oh come respirerebbe liberamente se potesse tornare in paese colla certezza di non ritrovarlo più! andrebbe diritto alla casa di Raffaella e le direbbe: Raffaella mia buona, vuoi diventar mia moglie? Tu sarai il tesoro della nostra casa e ti compenseremo di tutto ciò che hai sofferto finora nella vita.
Come! Egli potrebbe dire questo, così dolcemente, sapendo di averle ucciso il fratello? Come! all’altare le stenderebbe la mano e potrebbe lasciarla benedire nella sua, se quella mano ora spingesse Nocente nell’abisso, in una tomba che nessuno più ritroverebbe?
Natale s’arrestò sul pendio di ghiaccio e la sua voce, una voce spenta che non pareva più la sua disse al resto della comitiva: «fermatevi un minuto, ho bisogno.... di respirare.» Si buttò colle braccia contro il ghiaccio chiudendo un momento gli occhi e si portò alle labbra la fiaschetta del cognac, poi r??spò e, presa una manciata di neve, si fregò la fronte e le tempia.
Gli altri uomini, fermi, puntati ai loro bastoni, guai davano in su con aria paurosa.
«Ti passa?» chiesero con ansietà.
«Sì, è passato.» E Natale si raddrizzo, sollevando la bocca aperta e gli occhi larghi verso il cielo sereno, come se ascoltasse qualche voce lontana. I voce del Curato che gli aveva detto benedicendolo — Che Dio ti faccia la grazia di salvarli tutti. Ch’Egli ti compensi di ciò che farai in quest’ora per i tuoi simili — e la dolce voce della sua amica che aveva risposto: — Così sia. —
Un gemito s’udì in quel momento. Natale si voltò, vide Nocente col volto sbiancato, gli occhi smarriti e le mani che annaspavano in aria.... Un istante e sarebbe precipitato! Natale lo afferrò, gli disse con la sua voce calda e sincera: — non aver paura! — e lo legò a se colla corda.