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Dopo quel campo di neve svoltarono nella valle in uno stretto sentiero dove non si poteva camminare che in fila. Natale aperse la marcia, mise dietro a sè Nocente, e gli altri dopo.

Nocente rise dentro di sè, pensando che in quel momento, se avesse voluto, era padrone lui della vita di Natale; e guardava quella larga schiena dove gli sarebbe stato facile piantare il coltello.

Piantarlo si, ma piantarlo non voleva dire uccidere quel gigante. Il gigante si sarebbe rivoltato, egli avrebbe tentato fuggire, ma dietro aveva tutti gli altri che lo afferrerebbero.... Nocente si senti un gran freddo correre per le ossa, e una voce dentro gli ripeteva; — ci sei, ci sei, ora la paghi, non c’è scampo! —

Camminavano tutti in silenzio, ma abbastanza sicuri perchè un sentiero, sebbene scomparso sotto la neve, c’era, si scorgeva, non si potea smarrirlo; ma ben presto lo smarrirono, e allora camminarono più prudenti, badando dove mettevano i piedi, tastando il terreno col bastone ferrato; i loro piedi affondavano ed erano costretti ogni tanto a levarsi le racchette piene di neve e scuoterle. Passarono vicino a un ultimo bosco di faggi, poi cominciò il cammino pericoloso. Avevano a destra una parete rocciosa ripidissima, a sinistra l’abisso: camminavano con precauzione; una nebbia scendeva giù dalle vette, insieme a un vento gelato che sibilava nelle orecchie; la luna s’era nascosta dietro una cresta e un leggero chiarore illuminava il cielo.

La voce di Nocente disse: «non posso più camminare: io non vedo niente, lasciatemi tornare indietro.» Una mano lo afferrò e lo sollevò: egli mandò un